Taccuino di Vittorio Gorresio di Vittorio Gorresio

Taccuino di Vittorio Gorresio Taccuino di Vittorio Gorresio Quante ne ha viste il Papa Quante ne ha viste il Papa questa volta, nel suo secondo viaggio in Africa! Prima di tutto, in Guinea, i capi delle locali comunità musulmane gli hanno voltato le spalle, rendendo così impossibile quell'incontro diretto con i qualificati esponenti dell'Islam nel continente nero, che era uno, e non fra gli ultimi scopi della nuova migrazione di Giovanni Paolo II. Poi è accaduto al pontefice romano di essere presentato, nel Benin, come una specie di capintesta dei rivoluzionari di tutto il mondo: e poi nel Gabon gli è toccato intrattenersi con un presidente fresco di apostasia: EI Hagjj Omar Bongo, educato da nostri missionari e rimasto cattolico fino al 1973 quando si fece musulmano. Dal Gabon alla Guinea Equatoriale ha volato su un piccolo apparecchio con pilota ed equipaggio sovietico, religiosamente agnostico per non dire (come può essere probabile) pacificamente aieo. Infine, appunto nella Guinea Equatoriale, il Paese africano a più forte densità cattolica: 270 mila battezzati su 300 mila abitanti, il 90 per cento (che è una bella proporzione) non ha sentito altro che storie di persecuzioni e di stermini compiuti dall'ex dittatore cattolico Macias, tanto che è stato costretto a usare un termine cristianamente impegnativo: «martirio». Metà della popolazione massacrata in undici anni. Ma allora non è vero che questa Africa è la grande riserva naturale del cattolicesimo, come in questi ultimi tempi più di una volta la Chiesa di Roma ha fatto mostra di considerarla. O quest'Africa rimane oggi, come già nei secoli andati, un continente in sé e per sé difficile, o chi ha combinato questo viaggio ne ha voluto tracciare l'itinerario in maniera che il Papa si rendesse conto di persona di certe realtà ambientali a bella posta scelte fra le più ingrate. Tra le due supposizioni, la prima è la più triste, ma forse anche più verosimile: la seconda farebbe onore al coraggio pastorale di Giovanni Paolo II, papa talmente viaggiatore per il mondo da meritarsi il titolo di Santo Padre missionario in proprio. Snobbato dai musulmani, pilotato dai sovietici, Wojtyla in Africa avrebbe avuto — a quanto riferiscono i cronisti al suo seguito e i locali corrispondenti delle agenzie di stampa — le accoglienze più cordiali e calorose nel Benin (Dahomey, già colonia francese fra la Nigeria e il Togo, tre milioni 600 mila abitanti, capitale Cotunu) dove la popolazione è prevalentemente animista, il culto della maggioranza è il voodoo, e l'ideologia ispiratrice dello Stato, a direzione dittatorial-militare, è la marxistaleninista. Capo supremo è un tenente colonnello, di nome Mathieu Kereku Rose, al potere da una decina d'anni, che in onore del Papa ha fatto un discorso della durata di mezz'ora e solennemente concluso: «Viva sua santità, il papa Giovanni Paolo, pronto per la rivoluzione e per la lotta continua». Rivoluzione e lotta continua sono peraltro la linea di condotta che segue il tenente colonnello Kereku, che ha espulso molti missionari, uno ne ha condannato a morte, padre Abbe Quenum (poi però convertendogli la pena in quella dell'ergastolo che il povero padre sta di fatto scontando), e in ogni modo volle prendersi anche il gusto di cacciare l'arcivescovo Bernardin Gantin, nativo del Paese, gloria ecclesiastica non soltanto del Dahomey, ma anche di una larga fetta dell'Africa nera: e a buon diritto, tanto è vero che sbarcato a Roma questo arcivescovo Gantin fu non soltanto fatto cardinale, ma una volta elevato alla dignità della sacra porpora fu anche preposto a capo della commissione «Justilia et pax» del Vaticano, uno degli organismi che, fra quelli istituiti da Paolo VI, più stanno a cuore dell'attuale pontefice. Ebbene, è giusto noverare tra i successi del secondo viaggio africano di Papa Wojtyla anche il fatto che il governo militare marxistaleninista del Benin ex Dahomey abbia concesso al Papa di Roma di farsi accompagnare, tra gli altri, dall'ex arcivescovo espulso dal Paese, Bernardin Gantin, cardinale preposito ai problemi di «Justitia et pax» universali. Chi avesse poca familiarità con le questioni attinenti alla dirigenza della Chiesa potrebbe essere indotto a considerare di piccola importanza il momentaneo rientro in patria del cardinale Gantin: ma avrebbe torto. L'evento ha un senso, e in ogni modo si inserisce in una tradizione di pazienza che è tutta propria della Chiesa di Roma. 'Si fa quel che si può e ci si contenta giorno per giorno a condizione che anche il più piccolo dei piccolissimi risultati ottenuti sia nella giusta direzione. E poi domani sarà un altro giorno, e si procurerà di secondare anche domani i divini disegni dello Spirito Santo. Tra questi ci può essere anche quello di un Papa pellegrino o per vocazione missionario in prima persona, e noi, al pari di Manzoni «chiniam la fronte al massimo fattor che volle in lui I del creator suo spirito I più vasta orma stampar». In altri termini, ci va tutto benissimo e non abbiamo niente da eccepire a riguardo del calendario dei prossimi viaggi del Papa in Italia e all'estero: 19 marzo a Livorno, 18 aprile a Bologna, 13 maggio in Portogallo per il 65" anniversario dell'apparizione della Madonna di Fatima, e il primo dell'attentato subito in piazza San Pietro a Roma. E poi ancora: viaggio in Inghilterra tra maggio giugno e a Ginevra con propositi ecumenici, e quindi in Spagna per il centenario della morte di Santa Teresa de Avila. che è a metà di agosto. Tutto benissimo, compreso il progetto per la fine di quel mese di tornare in Polonia per le celebrazioni della Madonna nera di Czestochowa. Tutto benissimo, ripeto, ma mi sarà pur lecito afferfermare che più il Papa sii muove peregrinando attraverso i continenti e più c'è l'obbligo di riferire in tutta onesta verità quel che gli accade, in Africa o altrove: naturalmente senza quelli che si chiamano i preconcetti dei laicisti, ma anche evitando ì trionfalismi a buon mercato.