Il Salvador a Roma

Il Salvador a Roma Il Salvador a Roma di GIANFRANCO PIAZZESI La disputa sul Salvador deve assolutamente concludersi prima di giovedì prossimo: una crisi di governo su questo argomento avrebbe conseguenze quasi fatali. Riconosciuta, anzi ribadita questa ovvia verità debbo tuttavia dichiararmi piuttosto scettico sul tono e la qualità di quello che sarà il comunicato finale. Circolano slogan perentori e vaghi. Per esempio: né Vietnam né Cuba. Ma che significa? Il Congresso americano non intende consentire un intervento armato; Reagan tutt'al più può contrabbandare qualche ufficiale in borghese. E se per assurdo il Congresso cambiasse idea, questo dilemma atroce riguarderebbe soltanto la coscienza dei cittadini americani. Si sente dire: i diritti civili vanno rispettati dovunque, a Varsavia come a El Salvador. Ma in Polonia il potere esecutivo ha deliberatamente represso un movimento sindacale che si era affermato con mezzi non violenti e che aveva ottenuto un riconoscimento ufficiale. A Varsavia i diritti sanciti dalla carta di Helsinki sono stati violati da una parte sola. Nel Salvador è in corso una guerra civile: governativi e guerriglieri hanno le mani insanguinate. I democristiani cercano di giustificare Duartc, che è il capo della giunta militare, definendolo un "-riformatore» ancora in grado di impedire che i nostalgici del latifondismo procedano a una restaurazione. Con gli stessi argomenti i socialisti c i socialdemocratici difendono Ungo, il ca¬ po dei guerriglieri, che sarebbe l'unico baluardo «riformista» dinanzi al dilagare del castrismo. Che bello, se i due si fossero coalizzati per fare un governo di centrosinistra. Invece quasi rutti i giornalisti che hanno seguito la guerriglia da vicino sono piuttosto scettici. Si leggono previsioni infauste. Se vincono i governativi, Duartc sarebbe presto rimosso, se i guerriglieri occupassero la capitale i rivoluzionari comunisti prevarrebbero sui socialdemocratici con irrisoria facilità. La guerra civile, insomma, rischia di concludersi nel modo peggiore, in una maniera comunque repugnantc. A questo punto uno scrittore, un filosofo, persino un giornalista può stigmatizzare gli opposti estremismi e voltar pagina. Il Salvador è lontano, il Sessantotto pure. L'obiezione di coscienza è ormai accettata a destra come a sinistra; il disimpegno non è più scandaloso, specialmente se l'interessato presenta motivazioni di ordine moralistico. Ma per un politico il disimpegno è proibito. Due dittature, anche se ugualmente riprovevoli sul piano morale, non provocano mai le stesse conseguenze. Dopo le deplorazioni, le invettive, una classe politica seria dovrebbe farsi qualche domanda. E se queste iniziative falliscono? Se tante buone intenzioni non servono a niente? Da che parte si sta? Simili domande non saranno certo avanzate nel vertice di giovedì prossimo. Ciò, magari, è saggio dal momento che va evitata una crisi ai governo. Ma qualcosa mi dice che dilemmi così imbarazzanti saranno evitati con cura anche nei vertici successivi.

Persone citate: Ungo

Luoghi citati: Cuba, El Salvador, Helsinki, Polonia, Roma, Salvador, Varsavia, Vietnam