Se fosse un generale?

Se fosse un generale? Se fosse un generale? di ARRIGO LEVI E se invece d'un Kruscev, nel futuro dell'Urss, ci fosse un Jaruzelski? Frane Barbieri ha argomentato con maestria uno scenario neo-krusceviano per il «dopo-Breznev», e spero con tutta l'anima che abbia ragione: quest'ipotesi è la più favorevole per la pace. Ma mi tormenta il dubbio che le speranze di una riforma del sistema sovietico vengano di nuovo deluse e che nel futuro della Russia non ci sia un capo populista alla Krusccv, ma un capo militare nazional-comunista. Il ragionamento di Barbieri consiste, mi sembra, di tre argomentazioni. La prima, che condivido, è che vi sarà dopo Breznev, e dopo una fase di transizione affidata agli ultimi brezneviani, uno scontro, tra i maggiori gruppi di potere. Vi sono infatti contrasti di fondo tra i capi dell'economia, i capi del partito e i militari. Militari e capipartito rimproverano agli uomini dell'economia di non aver creato una base produttiva capace di soddisfare le loro ambizioni: beni per le masse, armi per i generali. Ma la burocrazia economica ritorce la colpa del fallimento sui militari, che fanno portare ad un'economia che è la metà di quella americana il peso di una macchina militare più che americana; e sui capipartito, i quali hanno bloccato le rifórme per il decentramento dell'economia progettate fino dagli Anni Sessanta perché temevano di perdere i loro poteri totalitari. Ora questa situazione rischia di aggravarsi. L'espansionismo aei militari, e la strenua difesa del potere comunista ovunque (in Afghanistan, in Polonia), mettono a repentaglio quell'afflusso di merci, tecnologie e prestiti occidentali che hanno finora in parte rimediato alle deficienze del sistema sovietico. Mettendo in crisi la distensione, capipartito e generali rischiano d'affondare l'economia sovietica. Barbieri sostiene poi (seconda argomentazione), che gli immediati successori di Breznev potranno mantenere gli equilibri tra i gruppi di potere molo per un certo tempo», ma che il loro immobilismo non potrà soffocare a lungo i contrasti. Ci sarà perciò una prova di forza, e la soluzione (terza argomentazione di Barbieri), imposta da una coalizione di capipartito e capi economici più giovani ed innovatori, sarà un «neokruscevismo», con un vasto programma di riforme economiche, di distensione con l'Occidente, di aperture nel campo comunista. Ma andrà proprio così? Avrà il partito il coraggio, che finora gli è sempre mancato, di rifare un'esperienza krusceviana approfondita? Sarà disposto — finora non lo è mai stato — ad accettare una reale perdita di poteri? Anche supponendo che il compromesso brezneviano e post-brezneviano non possa durare (ma potrebbe durare: specie se l'Occidente continuerà imperterrito a mandare tecnologia e capitali all'Est, checché faccia il Cremlino), la soluzione della prova di forza potrebbe essere opposta a quella ipotizzata da Barbieri. Una coalizione di «duri», capipartito e capi militari, potrebbe cioè imporre al vertice un Jaruzelski sovietico, che faccia una politica economica da «comunismo di guerra»; una politica estera ancor più espansionistica; una politica interna ancor più repressiva. Sappiamo troppo poco della nuova generazione sovietica, per poter prevedere quale dei due scenari sia il più probabile. Sappiamo solo che un Jaruzelski su scala sovietica sarebbe la più grave minaccia per la pace che il mondo abbia conosciuto, dai tempi di Hitler e di Stalin.

Luoghi citati: Afghanistan, Polonia, Russia, Urss