Parlano i cervelli emigrati in Usa di Furio Colombo

Parlano i cervelli emigrati in Usa Parlano i cervelli emigrati in Usa NEW YORK — Quali sono i mali di cui soffre l'università italiana, agli occhi degli scienziati e ricercatori che lavorano negli Stati Uniti? Le voci sono quelle di Michael Sovern, rettore della Columbia University, di Bartlett Angelo Giamatti, rettore di Yale, di Dante Della Terza, docente a Harvard, di Bruno Coppi,, professore di fisica ci Massachusetts Institute of Technology, di Bruno Rossi, già docente di fisica nello stesso istituto, consigliere per le questioni spaziali nella Casa Bianca di John Kennedy. Che cosa dicono nell'insieme? C'è stata una sensibile diminuzione di qualità nella formazione universitaria italiana, negli ultimi dieci anni. Ma questa crisi, che è stata ed è ancora piuttosto grave, non sembra aver toccato gli studenti migliori. Coloro che studiano e lavorano qui non hanno affatto la sensazione di ricevere visitatori scientifici di qualità più scadente che nel passato. L'arrivo di ricercatori italiani nelle università americane è sempre molto intenso. Pochi però restano definitivamente lontani dall'Italia. Riferendosi ad un durissimo taglio alle spese per la ricerca in Usa, il fisico Bruno Coppi, .full professor» al M.I.T., in una delle più prestigiose cattedre scientifiche degli Stati Uniti, dice: «Eppure resta qualcosa di profondamente diverso nella università americana. Qui c'è il rispetto per la competenza scientifica del ricercatore. In Italia quella competenza annega in un mare di ottusità burocratica che è egualitaria solo in questo senso: non distingue niente e nessuno e rende impossibile la vita di tutti, dal pensionato al ricercatore scientifico». J7 professor Coppi, che è orgoglioso del suo legame, tuttora intenso e attivo, con la Scuola Normale di Pisa, dice che il nodo al collo della ricerca scientifica in Italia non è tanto nella indifferenza della classe politica («Con un ministro è possibile parlare, è possibile persino suscitare una scintilla di interesse»; guanto nella giungla del sottogoverno e della gerarchia burocratica che è capace di affossare qualunque progetto. Bruno Coppi ' pensa che nessuno, o ben pochi, oggi emigrino nel senso che si poteva dare alla parola in passato: portando altrove lavoro e talento. «Anche i ricercatori che lavorano per la maggior parte del tempo in America continuano a fare, con il lavoro scientifico, quello che gli operai fanno dalla Germania o dalla Svizzera: mandano a casa molto del loro lavoro. In questo caso mantengono rapporti che nutrono lavoro e ricerca scientifica anche in Italia». E' possibile che vi sia stato un decadimento nella preparazione universitaria italiana e che questo decadimento abbia fatto diminuire il numero di coloro che possono aspirare alla carriera scientifica in America? Concordano Dante Della Terza e Bruno Coppi: «E' possibile, è persino ragionevole pensarlo. Qui però continuano ad arrivare giovani di qualità personali e scien- ' he molto alte. Evidentemente l'impegno di alcuni finisce per prevalere anche sulle condizioni ambientali scadenti. I migliori riescono a restare tali, vengono qui a confermare le proprie risorse. A volte sono meno preparati dei colleghi americani ma recuperano in tempi brevissimi. E nella grande maggioranza — convengono i due docenti — non abbandonano l'Italia. Ritornano anche molti fra coloro che avrebbero buone offerte in America». II fisico Bruno Rossi, che con i professori Modigliani, Fano e Luna è uno dei 'grandi italiani» di Cambridge, osserva: «Quanto all'Italia due cose mi sento di dire: vi sono centri e istituti di ricerca che hanno continuato e continuano a funzionare, meritando il rispetto internazionale, nonostante gli ostacoli e la mancanza di attenzione pubblica e politica che tutti sappiamo. Furio Colombo (Continua a pagina 2 In prima colonna)