La grande Università Alpe Adria

La grande Università Alpe Adria Parte da Trieste il ponte fra la cultura germanica e quella del mondo slavo La grande Università Alpe Adria Firmato un patto di collaborazione scientifica con sei atenei: tedeschi, austriaci e jugoslavi - Il rettore Paolo Fusaroli: «E' il progetto di una grande Europa cementata dai valori della cultura» - Il rettore di Ratisbona: «Ora possiamo inaugurare un'era di rapporti multilaterali, mai queste cose sono state necessarie come oggi» - Alla nostra università fanno capo 13 mila studenti e un migliaio di professori suddivisi fra 10 facoltà DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE TRIESTE — La formula magica è Alpe-Adria. Così si è battezzata la regione che abbraccia insieme la parte orientale delle Alpi e la costa nord-orientale dell'Adriatico. Regione, per i geografi, è ogni parte della superficie terrestre che si distingua dalle circostanti per certi suoi caratteri. Quali caratteri distinguono l'Alpe-Adria dal resto del mondo? Una volta erano caratteri politici: una fetta ben definita del vecchio impero austro-ungarico. E anche caratteri economici: la gravitazione naturale dell'area alpina orientale verso Trieste e il suo porto. Oggi che asburgico è soltanto il nome di una struggente nostalgia, un po' acritica come tutte le nostalgie, Trieste cerca di nuovo la sua collocazione in questo ambito regionale. La cerca nei fatti economici, riproponendo il porto a servizio di questo pezzo d'Europa. Ma la cerca anche nei fatti culturali, con una rinnovata dichiarazione di appartenenza. Cosi si riparla della funzione mediatrice della città, di Trieste-ponte, di Trieste-cerniera. Fra l'Italia e la cultura germanica, fra l'Italia e il mondo slavo, quel mondo che comincia qui sul Carso e si estende per un quarto di pianeta fino a Vladivostok. Fra l'Italia, insomma, e due fra le altre componenti che hanno «fatto» questa realtà cosi complessa. Nei giorni scorsi c'è stata a Trieste una manifestazione nel segno dell'Alpe-Adria. Un patto interuniversitario e internazionale. Sono venuti qui i rappresentanti di sei Università da tre Paesi: Germania, Austria e Jugoslavia, e da tre aree culturali: la tedesca, la slovena e la croata. Le due Università viennesi, l'ateneo bavarese di Ratisbona, le Università di Lubiana, Zagabria, Fiume. Già l'ateneo trie- stino aveva rapporti di collaborazione scientifica con questi centri: l'accordo firmato nel giorni scorsi ne prevede il consolidamento •attraverso comuni programmi di ricerca»: con organizzazione e coordinamento assegnati a Trieste. Come osserva il rettore Paolo Fusaroli, al fondo dell'iniziativa vuole essere -il progetto di una grande Europa cementata dai valori della cultura intesa come collegamento fra sapere e società». Era presente il ministro della Pubblica Istruzione, Guido Bodrato, che non ha mancato di considerare il titolo particolare di questa città all'allacciamento di simili rapporti internazionali. Al governo l'Università triestina chiede l'appoggio finanziario per organizzare sopra l'intreccio delle frontiere la grande Università dell'Alpe-Adria. Gli ospiti stranieri non nascondono un interesse ben più che protocollare: *Noi — dice Hans Bungert, rettore a Ratisbona — avevamo contatti con la sola Università di Lubiana, oltre che con Trieste; ora possiamo inaugurare un'era di rapporti multilaterali, è un'occasione preziosa, mai queste cose sono state necessarie come oggi». Trieste scettica e disincantata, dopo avere celebrato come si conveniva il centenario di un suo bizzarro ospite di nome James Joyce, ha accolto con attento interesse l'inizia- tiva della sua Università. •Sua» non proprio fino in fondo, se ha fondamento la ricorrente denuncia di un certo distacco fra la città e l'ateneo. Qualcuno parla proprio di estraneità, e di questa estraneità indica la rappresentazione fisica nel gigantesco edificio bianco, appollaiato sulle alture verso 11 Carso, tronfio regalo del regime fascista alla «italianissima» anzi «romana» Trieste. Vi fanno capo tredicimila studenti, un migliaio di docenti, suddivisi fra dieci facoltà e alcune scuole di specializzazione. C'è già in questa sede piacentiniana un chiacchiericcio in molte lingue: alcune centinaia di studenti jugoslavi, rappresentanze da alcuni altri Paesi. E ci sono, ovviamente, molti giovani della minoranza slovena di passaporto italiano. E' vero che, come ricorda Samo Pahor, docente all'Istituto magistrale sloveno di Trieste e segretario del Comitato federale per le comunità etnico-linguistiche, 'Que¬ sdrcsz sta scelta è per molti motivata dal fatto che, nonostante le reiterate promesse, il reciproco riconoscimento dei titoli di studio è ancora carente». Pahor considera l'accordo interuniversitario «un fatto senz'altro positivo, perché Trieste ha bisogno di apertura». Ma si ripromette di valutarlo meglio in relazione ai contenuti concreti che ne verranno fuori. Per esempio in relazione all'insegnamento delle lingue slave, capitolo essenziale di una duplice vicenda intercul- - ! turale: il rapporto di buon vicinato con la Jugoslavia, il rapporto al di qua della frontiera fra maggioranza italiana e minoranza slovena. Secondo lo scrittore Fulvio Tomizza, l'accordo con le Università di Austria, Baviera, Slovenia e Croazia traduce nei fatti una 'funzione naturale della città, sia pure ridotta rispetto alle ambizioni, ai sogni e alle utopie di chi vorrebbe resuscitare una Trieste che non esiste più». Il futuro della città, dice lo scrittore istriano, sta proprio nel 'promuovere la collaborazione con il mondo che la circonda». L'Alpe-Adria, appunto. E naturalmente Tomizza considera positivo che non ci si limiti a iniziative di collaborazione demandate alle istituzioni economiche, ma «entri finalmente in campo l'Università, la cultura». Ricorda come proprio le iniziative dell'ex rettore Giampaolo de Ferra, lo stesso che aveva avviato i contatti ora approdati all'accordo fra le sette università, gli abbiano consentito a suo tempo un proficuo contatto con la cultura polacca, precisamente con l'Università di Breslavia. Insomma, dice Tomizza, •questa città un po' trascurata dall'Italia perché periferica, che non sa adattarsi a un ruolo provinciale, deve lavorare su un progetto di cultura: porsi come città che riceve e trasferisce cultura». Approfit¬ tando proprio della sua geografia e della sua storia: del fatto di essere dov'è e di avere vissuto quello che ha vissuto. Claudio Magris, intellettuale triestino e docente di germanistica in questa Università, auspica una collaborazione reale fra i sette atenei. Collaborazione reale significa alcune cose concrete: 'Il riconoscimento reciproco non soltanto delle lauree, ma dei singoli esami, lo scambio di borse di studio, comuni servizi di schedatura d'archivio». Bisogna risolvere certi problemi apparentemente banali: spazi per accogliere gli ospiti d'oltre frontiera, impiegati che sappiano un paio di lingue straniere. Bisogna porre anche gli istituti umanistici in grado di affrontare quella prassi degli scambi internazionali che per i centri di ricerca scientifica è ormai diventata routine. •Ecco — conclude Magris — il valore di questa iniziativa si potrà misurare, al di là dell'indubbio valore delle motivazioni, in base a questo genere di adempimenti: Nella città politicamente inquieta, che dopo la furente rivolta autonomistica si appresta, sotto l'amministrazione commissariale, a un nuovo appuntamento con le urne, l'avviato progetto interuniversitario dell'Alpe-Adria si presta a considerazioni indirettamente autocritiche. •Quando al rimpianto, alle recriminazioni, alle lacrime si sostituiscono il senso del domani e l'ottimismo della volontà — dice Roberto Damiani, docente a Lettere — trovare ascolto non è difficile, in Italia e fuori». Senso del domani e ottimismo della volontà sembrano davvero un giusto richiamo, per una città cosi facilmente portata a dividersi fra l'esaltazione del passato e la commiserazione del presente. Alfredo Venturi Si ritorna a parlare della funzione di Trieste città-ponte tra l'Italia e le culture europee