Caso Eni, dopo le parole di Andreotti chiesti altri quattro mesi d'indagini di Ruggero Conteduca

Caso Eni, dopo le parole di Andreotti chiesti altri quattro mesi d'indagini All'unanimità un verdetto a sorpresa della commissione Inquirente Caso Eni, dopo le parole di Andreotti chiesti altri quattro mesi d'indagini Sulla nuova proposta decideranno le Camere in seduta comune -1 socialisti, che sembravano voler chiudere .'«affare», cambiano parere per fugare i sospetti diffusi dalle dichiarazioni dell'ex presidente del Consiglio: chi aveva interesse a favorire le «7 sorelle» a danno dell'Eni? ROMA — Colpo di scena all'Inquirente: il caso Eni-Petromin finirà presto (qualcuno già indica la metà di marzo) davanti alle Camere riunite. Ieri, contrariamente alle previsioni, i venti commissari si sono ritrovati d'accordo, l'uno dopo l'altro, nel chiedere al Parlamento un supplemento di istruttoria. L'iniziativa, anche se in maniera informale, è partita dai due esponenti socialisti: già in mattinata l'on. Andò e il sen. Jannelli avevano cominciato a far circolare la voce di un ripensamento. Non avrebbero più aderito, cioè, alla richiesta di «incompetenza» avanzata dal relatore di maggioranza, il democristiano Bussetti, ma avrebbero appoggiato invece la richiesta del comunista Martorelli per un supplemento di istruttoria. La decisione ha colto un po' tutti di sorpresa con la conclusione, poi, che anche i democristiani ed il presidente socialdemocratico Reggiani si sono dichiarati d'accordo, all'unanimità e senza che si procedesse a votazione, per il rinvio alle Camere riunite con la richiesta di una proroga di quattro mesi al fine di sciogliere quei dubbi che, secondo molti, circondano ancora l'intera vicenda. Ma che cosa ha fatto cambiare parere ai socialisti? Cosa è successo perché in meno di 24 ore venisse addirittura ribaltata una decisione che sembrava già presa dalla maggioranza? All'origine di tutto, per ammissione degli stessi socialisti, c'è la deposizione dell'ex presidente del Consiglio, Andreotti, resa dinanzi alla commissione martedì mattina e i consigli da lui stesso forniti all'Inquirente per un approfondimento delle indagini. 'Andremo avanti — ha detto Jannelli preannunciando l'orientamento del suo gruppo — anche per non far affiorare il dubbio che chi ha messo il dito sulla piaga, come hanno fatto i socialisti denunciando le irregolarità del contratto petrolifero, possa essere legato a interessi delle società petrolifere». «Non credo — ha aggiunto — che Andreotti abbia voluto dire questo, ma anche il minimo dubbio Da fugato». «Non è altresì inutile — aveva infatti dichiarato l'ex precidente del Consiglio al termine della sua audizione ricercare chi avesse interesse ad impedire che l'Eni potesse rifornirsi direttamente dall'Arabia Saudita senza passare per le grandi compagnie internazionali». Raggiunto, comunque, l'accordo a chiedere la proroga di quattro mesi (il mandato dell'Inquirente sarebbe scaduto domani) la commissione si è nuovamente riunita nel pomeriggio per preparare la relazione da inviare ai presidenti delle due Camere i quali dovranno fissare la data della seduta comune. Il Parlamento, in quell'occasione, non si limiterà solo a concedere o meno il supplemento di tempo richiesto ma ciascun deputato o senatore avrà anche il diritto di entrare nel merito della questione. Secondo il regolamento, infatti, da oggi in poi titolari di qualsiasi decisione sono le Camere. Al termine dei quattro mesi richiesti l'Inquirente si limiterà a sottoporre al Parlamento il frutto delle sue indagini: spetterà a quest'ultimo decidere se rinviare o meno al giudizio della Corte Costituzionale il comportamento degli ex ministri (Andreotti, Bisaglia e Stammati) coinvolti nella vicenda. L'unanimità che si era ri¬ scontrata al mattino (fatto senza precedenti nella storia dell'Inquirente), si è dissolta però ben presto nel pomeriggio quando si è trattato di metter mano alla relazione dà inviare alle Camere. Anche perché, a quel punto, riprendendo a discutere del merito della vicenda, ognuno è tornato sulle proprie tesi: i democristiani da una parte, raccolti attorno al documento redatto e illustrato dall'on. Bussetti e i comunisti dall'altra a sostenere le ragioni addotte da Martorelli. Secondo Bussetti «non sono emerse nel corso delle indagini circostanze idonee a ipotizzare reati ministeriali» mentre •destano perplessità i comportamenti dei dirigenti dell'Eni e dell'Agip». Il relatore democristiano ha inoltre messo in rilievo che niente lascia pensare, allo stato attuale delle indagini, ad un «ritorno» in Italia della tangente, o di una sua parte, «per finanziare i progetti di uomini o gruppi politici». Di conseguenza, ha sostenuto, la soluzione più logica era quella di rinviare gli atti al magistrato ordinario affinché indagasse sull'operato dei soli «laici». Per Martorelli, invece, »il caso si inserisce in un quadro né trasparente, né regolare. Ma addirittura allarmente». Infatti secondo Martorelli •esistono molti elementi contrari alla tesi dell'Eni per cui i 120 miliardi di lire dovessero servire al pagamento di una mediazione e non già per altri scopi irregolari». Non ci fu, ha spiegato, mai la presunta •mediazione» dell'iraniano Parviz Mina il quale — secondo l'ex presidente dell'Eni Mazzanti e altri dirìgenti dell'ente petrolifero — sarebbe stato il destinatario dei compensi. In sostanza, il relatore comunista non ha accusato nessuno ma ha messo in rilievo che restano da chiarire molti lati oscuri. Riferendosi, infine, all'affermazione di Andreotti secondo cui «qualcuno» avrebbe «boicottato» il contratto Eni-Petromin con l'intento di favorire le compagnie petrolifere internazionali, il relatore comunista ha sostenuto che ciò riveste una importanza pari ai «sospetti» a suo tempo avanzati dal sen. Formica e dall'on. Craxi sul «rientro» in Italia della tangente. Di qui la necessità di altre Indagini. Ruggero Conteduca

Luoghi citati: Arabia Saudita, Italia, Roma