La fabbrica accolse indifferente i terroristi travestiti da operai

La fabbrica accolse indifferente i terroristi travestiti da operai Tanti motivi di riflessione dal convegno sulla lotta armata La fabbrica accolse indifferente i terroristi travestiti da operai Per questo riuscirono a mimetizzarsi - In carcere, uno su due si è pentito: questo il risultato ottenuto con la legge - Ma per gli irriducibili il carcere è la molla per continuare Anche grazie a determinati atteggiamenti politici e psicologici dei lavoratori, i brigatisti rossi e i «soldati» di Prima linea hanno dimostrato di essere molto abili nel mimetizzarsi dentro la fabbrica. Non a caso, molti dei terroristi catturati erano operai; e alcuni addirittura erano, o lo erano stati, delegati sindacali. Un militante del partito armato su due, una volta finito in carcere, imbocca la strada del pentimento. Fra i 361 imputati nelle maxi-istruttorie sull'eversione di Torino, Milano e Genova, più del 50 % si è dissociato dalla pratica della violenza ed ha collaborato con la giustizia. Questi i dati di maggior interesse, e di maggior riflessione, emersi dal convegno «Lotta al terrorismo» che si è svolto ieri nell'aula del Consiglio regionale a Palazzo Lascaris sotto l'egida del Comitato Regione Piemonte per l'affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione repubblicana. n convegno, durato l'intera giornata e confortato dalla partecipazione di politici, magistrati, sindacalisti, amministratori locali e dalla presenza di un folto pubblico, si è incentrato sulle relazioni di quattro profondi conoscitori del terrorismo: il giudice istruttore Maurizio Laudi e il sostituto procuratore Alberto Bernardi, che da anni coordinano le indagini sull'eversione; il giudice di sorveglianza Nicolò Franco, esperto di problemi carcerari, e il prof. Car 10 Marietti, docente di sociologia della conoscenza. Laudi ha parlato sull'offensiva del terrorismo in fabbrica: e qui, dopo aver ripercorso storicamente Yescalation criminosa della lotta armata contro il mondo dell'indù stria, dai primi incendi di auto (nel '72) alle gogne dei sindacalisti Cisnal (1973), ai fermenti e agli omicidi di dirigenti, capi e capetti (triste cronaca degli ultimi anni) l'oratore si è soffermato sulla capacità mimetica dei terroristi. Come esempio ha citato il collettivo autonomo della Lancia di Chivasso. al cui interno operavano, e non con ruolo secondario, brigatisti; e ricordato quale punto di riferimento fosse, alla Fiat di Ri valta, Matteo Caggegi, mili tante del collettivo autonomo e figura di spicco di Prima li nea; Caggegi mori in uno scontro a fuoco con la polizia 11 28 febbraio '79, mentre con Barbara Azzaroni si appre stava ad assaltare la sede del comitato di quartiere Madon na di Campagna. *E' elementare ritenere — ha detto Laudi — che questi terroristi travestiti da operai nelle assemblee sindacali e con i compagni di lavoro so stenessero tesi elaborate non tanto in veste di membri di un collettivo di autonomia operaia bensì nella veste di soldati di un gruppo clandestino*. Com'è possibile, dunque che essi non suscitassero tra i lavoratori dubbi sulla loro vera identità? Come mai hanno potuto nascondersi e non sono stati denunciati. Secondo Laudi, a favore di tale mimetizzazione hanno giocato diversi atteggiamenti: la clini denza nei confronti dell'atti vita repressiva degli organi dello Stato, storicamente vissuti da gran parte delle masse lavoratrici come entità lontana, quando non ostile ; la naturale ritrosia nel rivelare sospetti che possono avere conseguenze gravissime; la paura di esporsi a minacce e rappresaglie. E la tragica vicenda di Guido Rossa ha avuto un peso decisivo (Rossa denunciò l'impiegato Francesco Berardi che portava dentro l'Italsider di Genova volantini Br e fu ucciso dalle Brigate rosse per punizione n.d.r.). "Inoltre — ha concluso il giudice — una sorta di malin¬ tesa solidarietà può aver condizionato certe fasce di lavoratori: quel tipo di solidarietà che ha impedito il radicarsi della sacrosanta equazione: il terrorista rosso è altrettanto pericoloso del nero». «/ terroristi pentiti e la risposta dello Stato*. E* stato il tema dell'intervento del sostituto procuratore Bernardi. Intervento che, con l'efficace supporto delle cifre e delle percentuali, ha ribadito una realtà sconcertante: che le motivazioni per le quali molti giovani abbracciano la lotta armata sono inconsistenti, tali da appassire al solo con- tatto con la cella. Secondo il relatore alla base della maggior parte delle confessioni dei terroristi catturati ci sono calcoli di convenienza, la paura del carcere, il desiderio di farne il meno possibile. L'estendersi del pentimento rivela quale forza dirompente abbia avuto l'articolo 4 del decreto Cossiga che prevede forti riduzioni di pena per chi collabora con la giustizia. L'analisi di Bernardi comunque non ha risparmiato pure le critiche allo Stato che non ha elaborato subito una risposta politica ai pentiti ed ha permesso alle bande armate di riorganizzarsi nel giro di pochi mesi e di spargere altro sangue (omicidi Taliercio e Roberto Peci) e terrore (sequestri Sandrucci, Cirillo). n prof. Marietti, occupandosi di "Informazione ed eversione* ha sottolineato come la presenza di norme che puniscono severamente la violazione del segreto istruttorio deva accompagnarsi a una rapida riforma delle procedure penali che renda il dibattimento più sollecito; in caso contrario si creerebbe un pericoloso squilibrio. Il giudice di sorveglianza Franco trattando del terrorismo in carcere ha detto: «Per l'eversore detenuto, la prigione non è sentita tanto come costrizione quanto come occasione per proseguire il lavoro cominciato nella società libera*. Claudio Giacchilo

Luoghi citati: Chivasso, Genova, Milano, Piemonte, Torino