Un re nella camera oscura

Un re nella camera oscura VITTORIO EMANUELE III, FOTOGRAFO QUASI PROFESSIONALE Un re nella camera oscura Di fronte alla tenerezza e al gusto piccolo-borghese con cui ritraeva scene di vita familiare e i cinque figli, stanno aneddoti di crudele indifferenza sui campi di battaglia: «Portate via quei mucchi di cadaveri, guastano il panorama» - Anche la regina Elena si divertiva con l'obiettivo, rivelando una sensibilità particolare Rappresentato come un sinistro naneronzolo dai caricaturisti tedeschi e austriaci, oppure come un benefico, gigantesco cavaliere dai disegnatori inglesi e francesi, Vittorio Emanuele III è costantemente caratterizzato (nella grafica apparsa durante la prima guerra mondiale) dalla presenza dell'apparecchio fotografico, quasi sempre portato a tracolla. La fotografia fu infatti una delle due passioni del Re Vittorioso, sebbene, in decenni di riprese, egli non rivelasse mai un talento per le possibilità della camera oscura paragonabile alle supreme vette di ricercatore e di studioso raggiunte nel dedicarsi all'altra sua ardente inclinazione, la numismatica. L'immagine del monarca in visita al fronte, che riprende con il suo apparecchio portatile luoghi e paesaggi dove sì svolgevano o si erano svolti i sanguinosi scontri, fu, tra il 1915 e il 1918, uno degli argomenti favoriti da scrittori e corrispondenti di guerra. «Ha con sé l'inseparabile macchina fotografica: mentre parla con me fa 3 o 4 fotografie dei 305, tramezzando la conversazione con annotazioni fotografiche: Se non ci fossero uomini in mezzo, questa fotografia verrebbe proprio bene; questa è proprio in luce: una bellezza, ecc.». E' il colonnello Angelo Gatti che parla (Caporetto. Dal diario di guerra, pag. 181). Qualche fonte riveste tale passione di connotati inquietanti, come la testimonianza resa da Umberto Salati nel 1965 a Cesare De Simone ("Soldati e generali a Caporetto, pag. 24). «La... brigata... Modena era stata impegnata due giorni a respingere un attacco nemico. Mi ricordo che c'era un canale, quasi sulla prima linea, con filari di pioppi sulle due sponde. Davanti c'erano ammassati i nostri morti, due o trecento, li avevamo tirati fuori dalle trincee... Nel primo pomeriggio arrivò il re, io non l'ho visto. Ma con altri soldati della mia compagnia fui comandato a spostare di una cinquantina di metri quei mucchi di morti perché il re voleva scattare una foto dei pioppi sul canale e i morti gli guastavano il panorama». Quale è l'attendibilità di una testimonianza del genere? E' una domanda che coinvolge tutt'intera la persona di un monarca come Vittorio Emanuele III, e non soltanto per la sua concezione del proprio ruolo e del proprio status nei confronti della massa anonima, ma anche per gli speciali rapporti che (e non esclusivamente in Italia) si erano venuti a fissare tra l'elite dei Comandi e la truppa grigia e generica, durante la spaventosa carneficina che fu la prima guerra mondiale. Tuttavia, è difficile credere che un atteggiamento di cinismo così sfrontato e ripugnante (come quello di far rimuovere i cadaveri per la buona riuscita di una foto di paesaggio) abbia potuto coesistere, nella medesima mente, assieme alla passione per la vita familiare, all'affetto per la moglie e i figli, insomma alla gemUtlichkeit che Vittorio Emanuele III esprime in una ricca serie di fotografie, di cui una buona scelta viene ora pubblicata dall'Editore Longanesi, a cura di Michele Falzone del Barbaro, sotto il titolo Vittorio Emanuele III ed Elena di Savoia fotografi. Le riprese toccano i limiti di un trentennio, dal 1896 (anno del matrimonio degli allora Principi di Napoli) al 1926; le foto sono state riprodotte grazie alla collaborazione di vari membri della famiglia, o di loro intimi. Pur¬ troppo, l'archivio fotografico di Villa Savoia a Roma venne in gran parte distrutto o disperso quando, tra il settembre 1943 e il giugno 1944, l'edificio venne occupato dalle truppe tedesche; ma ciò che ne resta, integrato per vie collaterali, è significativo per giudicare le intenzioni e il livello dei risultati di questa attività, che non era meno nella Regina Elena. Che anche nelle famiglie regnanti dell'Europa prima del 1914 la fotografia venisse considerata quale mezzo per riprendere scene e momenti della vita privata, familiare, è un fatto ben noto: basti ricordare le molte riprese effettuate in intimità da vari membri degli Hohenzollern, o dai Romanov (quelle degli Asburgo non mi consta siano note, forse perché mai volute divulgare). Ma, al confronto, ciò che sorprende in questa serie sabauda è da un lato la qualità, dall'altro lo spirito che ne traspare. Infatti, molte di queste immagini evadono dal normale livello dei dilettanti, per entrare invece in quello dei pro- i fessionisti, o almeno di chi ha stabilito con il mezzo meccanico un rapporto di meditata esperienza. Eccellenti, quasi sempre, sono le inquadrature (che nei paesaggi rammentano le contemporanee interpretazioni della pittura tardo-naturalistica), specie nelle riprese dovute alla Regina Elena, che anche in questa attività marginale conferma le sue non comuni doti intellettuali e l'alto livello dell'educazione ricevuta nell'Istituto Smolny di Pietroburgo. Quanto al clima e all'ottica sociale e familiare che vi si legge, il discorso è diverso. Le poche immagini del popolo (siano i giardinieri di Racconigi o due cenciosi contadinelli di Sant'Anna di Valdieri) restano nel repertorio del pittoresco, tipico di quella pittura italiana minore dell'Ottocento, cosi cara a Vittorio Emanuele, ma che tuttavia era stato già intaccato e superato nel periodo giolittiano e dopo. Ma non è il caso di rimproverare ad un Re una posizione mentale del genere; l'aggiornamento culturale e di percezione dipende dal continuo rapporto con tutti i livelli della società, un contatto cioè che sarebbe assurdo pretendere da un monarca, anche se costituzionale. Passando invece ai soggetti di vita familiare, essi costituiscono una riprova dell'importanza che questa aveva per Vittorio Emanuele ed Elena: quasi un santuario inviolabile, protetto da una barriera contro le intrusioni della vita pubblica, e del ruolo di personaggi ufficiali. Moltissime delle riprese sono dedicate ai cinque figli, che vengono seguiti nella loro crescita, colti nei loro svaghi e divertimenti, sorpresi in gesti e in attimi del tutto occasionali e immediati. Se ne ricava il senso di una famiglia legata e unita da profondi affetti; ma vi si legge anche un che di dimesso, quasi piccolo-borghese, ben lungi da quanto rivelano le fotografie di altri monarchi dell'epoca, ripresi nella vita domestica. Penso a talune immagini della Zarina Alessandra Fiodorovna, superbamente imperiale anche se distesa sul divano del suo boudoir mauve di Zarskoe Selo o in compagnia dello Zar e dei figli nel lussuoso salon del treno dell'Imperatore. La differenza è la stessa che c'è tra la musica di un Giacomo Puccini, palpitante di melodia e di affetti, e la violenta, quasi dura aggressività timbrica di Alexandr Glazunov; o tra i vetri di Murano e i cristalli di rocca intagliati da Fabergé; oppure anche tra l'Asti spumante e la vodka. Si obietterà che lo Zar era un monarca assoluto, e che il Re d'Italia era vincolato da una Costituzione; ma il 1922 getta un'ombra su tale divario, ed è un 'ombra da cui viene riproposto l'esame della personalità di Vittorio Emanuele III, una figura complicata, introversa, complessata come nessun'altra della storia italiana dell'ultimo secolo. Nella marea di manicheismo che travolse figure e istituzioni nostrane dopo il disastro dell'8 settembre, anche il Re Vittorioso venne sommerso, con una condanna totale, senza appello. In verità, quella data fu talmente grave da giustificare, e in pieno, il giudizio negativo con cui vennero segnati i suoi protagonisti, Vittorio Emanuele in prima fila; oggi, in una prospettiva meno ravvicinata, si apre un primo spiraglio per individuare motivazioni, persone, circostanze. Ed è una visuale da cui Vittorio Emanuele (anche grazie alla presente raccolta fotografica) conferma l'enigma della sua reale essema, che oscilla tra la posizione di Re democratico e quella di rinnegatore dei più solenni impegni, tra il monarca borghese e l'irraggiungibile, mitica entità chiusa nei suoi palazzi e nelle sue ville, tra il personaggio carismatico del 1915-'18 e il pavido fuggiasco in attesa delle auto che dovranno condurlo a Pescara. Una cosa è certa (e bene appare da queste fotografie): che i Savoia non peri>ennero mai ad essere, sino in fondo, i monarchi dell'Italia: c'era in essi un che di spaesato, quasi di villeggianti, quando si muovevano in palazzi, regge e ville dai quali le dinastie dell'Italia pre-unitaria erano state spodestate. C'è una foto, in questo libro (a pagina 40), scattata da .Vittorio Emanuele, con la Regina e uno dei figli davanti al coffee-house dei giardini del Palazzo del Quirinale: il suo significato non è poi diverso da quello della moglie dell'ing. Rossi a Montecatini o della moglie dell'avv. Bianchi a San Pelle- gnno. Federico Zeri Elena di Savoia - Fotografia del principe Umberto sulla spiaggia di S. Rossore (1910)