L'altro Salvador, quello «liberato»

L'altro Salvador, quello «liberato» Tra i ribelli che controllano la provincia di Morazàn, oasi di tranquillità lontana dagli orrori della guerra L'altro Salvador, quello «liberato» E' come una società doppia, con le sue strutture e il suo esercito - Si lotta contro le malattie e l'analfabetismo, che raggiunge il 90 per cento - Degli scontri con le truppe governative restano soltanto i segni sulle case e i lutti nelle famiglie - La cellula di base è l'accampamento - Ogni sera una riunione politica e di autocritica - Il problema dell'integrazione femminile NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE PROVINCIA DEL MORAZÀN — E' un paradosso per questo Paese in guerra: la vita di tutti i giorni nel Morazàn, territorio controllato dagli insorti, nell'Est del Paese, è ancora più tranquilla che a San Salvador, dove pure la calma colpisce. Attraversata la linea di demarcazione, piuttosto incerta e variabile, si entra in un altro mondo con le sue leggi, il suo esercito, la sua Chiesa, la sua economia, il suo sistema sanitario e la sua radio. C'è una società doppia, più che un doppio potere. In tempi normali la guerra non si fa neppure sentire, fa meno rumore dei tuoni del temporale tropicale. Ma lascia le sue tracce. Molte case sono state distrutte da incendi o da proiettili di mortaio. Ogni albero, ogni valle hanno la loro storia, la storia di una famiglia o di un villaggio massacrati, oppure quella di un'imboscata vittoriosa contro i soldati della Giunta. C'è grande povertà. Le case sparse sulle montagne sono costruite con adobe, fango secco misto a paglia, e spesso come muri hanno soltanto canne di bambù spaccate in due che non combaciano mai. Cuore della casa è il fogón, il forno di terracotta senza camino. Sgabelli e panche sono fatti con tronchi d'albero rozzamente squadrati. E' la realtà di sempre in questa zona sottosviluppata nella quale gli analfabeti sono l'80-90 per cento della popolazione. I contadini del Morazàn coltivano per il consumo proprio mais e fagioli, e vendendo lo henequen, il sisal, guadagnano il minimo indispensabile per cor" orare qualche abito, il sale e l'olio. «Quasi tutti i bambini sono gravemente denutriti — dice Eduardo, responsabile di un ospedale — gli adulti hanno frequenti nausee, dolori muscolari, svenimenti durante le lunghe marce». E naturalmente tutti hanno parassiti intestinali, e la tubercolosi è molto diffusa. Questa miseria che risale alla notte dei tempi segna volti e corpi. Sul muro dell'ospedale di Guarumas un manifesto esalta le «qualità» rivoluzionarie: semplicità, umiltà, spirito di sacrificio, lavoro collettivo che bisogna applicare «per il popolo sofferente». Uno zoppo con il labbro leporino va come tutte le mattine a raccogliere un po' di rami per farne una scopa. Viene fatto uscire un ferito per cambiargli la fasciatura, le bende vengono messe ad asciugare sugli alberi. Due contadini portano qualche banana e due sacchetti di mais del loro raccolto. Un ferito, ha 16 anni, racconta: "Ero molto giovane quando entrai nell'organiszazione, tre anni fa». Un uomo arriva dalla città vicina con notizie fresche sull'attività della guarnigione e qualche pila per le radio a transistor. Tre ore a piedi per l'andata e tre per il ritorno. Fa il suo rapporto in pochi minuti, riposa l'indispensabile prima di ripartire. -Costa caro liberare un Paese — dice — ma ne vale la pena. Della mia famiglia restano solo due o tre persone, ma vedranno la libertà». In 15 giorni, trascorsi circolando senza controlli fra un accampamento e l'altro, non ho incontrato cubani, né nicaraguegni, né palestinesi, né sovietici, né angolani. Non ho sentito alcuna allusione ad una presenza straniera, esclusi i medici. Rari anche gli uomini venuti dalla città: solo alcuni tecnici pei* la manutenzione di Radio Venceremos, remittente dei ribelli. Tutti gli altri sono originari dello stesso Morazàn e sono impegnati nella difesa della valle che li ha visti nascere. Un solo «comandante» dello Stato Maggiore è originario di un'altra provincia. Tutto, qui, è incominciato per iniziativa di un prete, padre Miguel Angel Ventura, che nel 1971 ha organizzato gruppi di riflessione evangelica divenuti presto comunità cristiane. "Coltivavamo la terra, costruivamo scuole e case in comune — ricorda Benito — nelle riunioni parlava¬ mo della nostra povertà e di come risolvere i nostri problemi alla luce della fede». Dopo le minacce sono giunti gli arresti, poi i massacri da parte dei paramilitari del gruppo Orden. "A quel punto alcuni di noi hanno pensato che bisognava organizzarsi politicamente» continua Benito. I contatti sono stati avviati nel 1975. «Poi abbiamo capito che un approccio esclusivamente politico non ci avrebbe consentito di far fronte alla repressione che colpiva soprattutto la Chiesa. Allora ci siamo avvicinati all'organizzazione politico-militare, e abbiamo incominciato a ricevere un certo addestramento». La cellula di base è l'accampamento. Ve ne sono di vari tipi: milizia, esercito, sanità, produzione. Ciascuno ha un responsabile politico e un responsabile di cucina; ciascuno viene regolarmente visitato da un coordinatore di zona che dà le direttive e le richieste. Questo serve anche a verificare tanto le riserve di munizioni quanto quelle del cibo. Negli accampamenti di «produzione» si trovano i contadini più avanti negli anni, quelli ai quali non piace la guerra, ma che vogliono partecipare; e certo vi sono anche quelli che si sono fatti un po' trascinare e quelli che sono negli accampamenti senza neppure sapere perché. Tutti i fhsmgiQfzmddsobi«pr i vecchi hanno uno o due figli fra i guerriglieri, spesso ne hanno di più al cimitero. Grande cura è dedicata alla sanità: in tutti gli accampamenti vi sono latrine, è obbligatorio lavarsi le mani in fila indiana prima di ogni pasto. Queste norme d'igiene hanno fatto diminuire i casi di infezioni intestinali tra i civili come tra i combattenti, malgrado la guerra. Mancano le medicine, ma l'organizzazione sanitaria è soddisfacente: ospedali per i casi gravi, ambulatori per le visite normali; in ogni accampamento c'è un «brigatista.-infermiere per le prime cure. Le discussioni politiche e le riunioni d'autocritica si svol¬ gono fra le 7 e le 8 di sera, prima che il fuoco venga spento. Si parla un po' di tutto, a bassa voce, gli occhi a terra. Benito, responsabile politico del suo accampamento, tiene molto a queste riunioni. Arringa i suoi uomini: "Fare autocritica è come andare a fare la comunione da un parroco rivoluzionario. Intendo dire che bisogna farlo con serietà e onestà». Gli altri sono seduti in cerchio attorno ad una candela la cui fiamma non fa molta luce, ma disegna soltanto ombre spaventose sui muri. Una ragazza si lamenta perché gli ordini in cucina le vengono impartiti «in modo autoritario». L'.imputata», stesa su un'amaca, le risponde secca: «Se non vuoi essere comandata, prendi qualche iniziativa». Il problema delle donne non è ancora del tutto risolto nel Morazàn. Sono assegnate soprattutto alle cucine e alla nascente burocrazia; quelle che combattono si contano sulle dita di una mano. Un «comandante» ammette che bisogna affrontare il problema con urgenza. -Ma non è così semplice — precisa — il 99 per cento dei nostri combattenti viene da questa zona. E qui la donna è quasi un animale». Benito fa di tutto per l'integrazione femminile, incoraggia le donne ad esprimersi. Una bella ragazza bruna di 17 anni, vestita con un incredibile abito rosa, sbotta: "Abbiamo paura di rispondere. Abbiamo paura di essere ridicole. Non ci hanno mai parlato, non ci hanno mai insegnato nulla. Devono spiegarci le cose se vogliono che non abbiamo più paura di parlare». "Nessuno nasce con la scienza infusa — risponde Benito — impariamo gli uni dagli altri». E rivolgendosi al gruppo: .Dobbiamo farla finita con la discriminazione fra uomini e donne, fra di noi deve nascere una reale fiducia rivoluzionaria». Francis Pisani Copyright «I* Monde» e per l'Italia «i.a Stampa» El Salvador. I corpi di tre persone ritrovati alla periferia della capit ile salvadoregna: è un'immagine ricorrente (telefoto Ap)

Persone citate: Francis Pisani, Miguel Angel

Luoghi citati: El Salvador, Italia, San Salvador