Nell'Italia della menzogna Candido insegue la verità

Nell'Italia della menzogna Candido insegue la verità Il dramma di Sciascia ha inaugurato la Biennale teatro Nell'Italia della menzogna Candido insegue la verità DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE VENEZIA "— Inaugurazione della Biennale teatro, al Goldoni gremito di pubblico, con Candido, ovvero... di Leonardo Sciascia, adattamento di Ghigo De Chiara, regìa di Roberto Guicciardini. E' il primo appuntamento del Carnevale teatrale veneziano: una sorta di preappello prima della chiamata ufficiale, dal 18 al 23 prossimi. Scritto cinque anni fa, in un momento di singolare fervore polemico, il romanzo-pamphlet Candido, rifacendosi sin dal titolo all'omonimo capolavoro voltairiano, racconta, come quello, infanzia, adolescenza, giovinezza di un attonito antieroe, un ingenuo quanto accanito 'Cacciatore della verità*, in un mondo — la Sicilia e l'Italia, dal 1943 al '68 — fisiologicamente votato alla menzogna. ■ Cresce, questo Candido Munafò, in un famiglia di latìfon disti, abbandonato presto dalla madre innamorata di un ufficiale Usa, a fianco d'una balia bigotta, un nonno ex generale fascista (il padre avvocato si ucciderà, smaschera*' nei loschi traffici proprio di figlioletto). Il suo pedagogo, il suo maieuta, è un prete, don Antonio Lepanto, intelligente e arguto, colto ed ironico, desideroso, anche lui, di trovarla quella verità, capace, per lei, di gettare la tonaca alle ortiche, farsi proselito di Marx e comunista, salvo poi, deluso dai compagni, rinserrarsi stoicamente in un suo orticello, e li attendere, tra gli stenti, che la verità si appalesi. Ma né a lui né a Candido la verità-civetta, la verità-puttana farà dono di sé. Si ritroveranno, maestro ed allievo (anche Candido si è liberato, nel frattempo, dei suoi beni), nella Parigi delle grandi illusioni, felici della magra felicità di chi più nulla spera. Al suo terzo adattamento da romanzi dello scrittore siciliano, Ghigo De Chiara ha tratto dalla polposa scrittura di Sciascia il nocciolo scabro dei fatti, e li ha allineati in sequenze rapide, nervose. Poi ha badato a ritrarre quell'ambiente di borghesi stolidi e corrotti, mafiosi e patronesse, giudici e galoppini di partito, come sotto il bulino di una punta secca, con pochi tratti graffianti. Infine, ha lasciato spazio, in primo piano, a quell'arioso, smagato confabulare del prete-filosofo e del suo stupefatto discepolo, in cui crepitano lancinanti aforismi, scoppiano paradossi crudeli: in cui Sciascia, insomma, per bocca loro, sfoga la sua civile indignazione. Il regista Guicciardini ha, a sua volta, scandito lo spazio scenico — uno stanzone bianco, dalle alte pareti, un cubo liscio che ha qualcosa della cella inquisitoriale, ideato da Cesare Berlingeri — in due distinte sezioni: là, sullo sfondo, come in un incavo da teatro nel teatro, ben riquadrata in un arco di proscenio, la ridda dei fatterelli di quella stranita cronaca familiare e insulare; ima, sotto, una luce abbagliante, il dialogo, lento e inlente, dei due, su lignee segale nerastre, turbato appena dalle intrusioni degli altri, sgomente sagome di balletto. E di balletto, appunto, di controdama continua (sulle cadenze della beffarda partitura musicale di Benedetto Ghiglia) è il ritmo della recitazione, chiamiamola cosi, corale: dove i dodici attori del giovane Consorzio Teatrale Calabrese mostrano, oltre ad un'ammirevole coesione, una vocazione al 'recitar grottesco», con ben calcolate, irridenti inversioni di voce e gesto. Mentre Candido e don Antonio se ne stanno, proprio come cifra interpretativa, al di qua di questo livido, straziato continuum di smorfie e strida: e sono, quanto a resa espressiva, un tantino al di sopra, si capisce, dei compagni. Perché si chiamano l'uno Cochi Panzoni, stranito e cocciuto, di una dolce caparbietà da bamboccione cresciuto anzitempo; l'altro Tino Schirimi, un attore di raggiunta maturità che qui eccelle in pigrizia sorniona, in amarezza affettuosa, rotta appena dal lampo della stizza: un ricciuto Diogene da sacrestia, che si è portato via, meritatamente, una larga fetta di applausi del pubblico veneziano. Guido Davico Bonino

Luoghi citati: Italia, Parigi, Sicilia, Venezia