E' morto Patino, «re dello stagno» forse l'uomo più ricco del mondo

F morto Patino, «re delio sfagno» forse l'uomo più ricco del mondo Il magnate boliviano lascia un patrimonio di oltre mille miliardi F morto Patino, «re delio sfagno» forse l'uomo più ricco del mondo In età quasi veneranda, Antenore Patino ha lasciato vacante forse l'ultimo trono di «uomo più ricco del mondo», seggio al quale non ambiscono più in molti, n suo nome è ormai dimenticato, ma ci fu un lungo periodo in cui la famiglia Patino offri spunti di cronaca rosa e nera ai giornali di tutto il mondo per le spericolatezze sentimentali in cui si esibivano i vari membri della famiglia. Erano originari di Cochabamba, sulle desolate altezze delle Ande, in quella che era definita la puna brava, il pianoro selvaggio, dove già nel 1545 gli spagnoli avevano scoperto giacimenti ricchissimi d'argento e tungsteno. Dalle altezze di Cochabamba e da quelle del Po tosi scendeva verso i porti, ora cileni, la ricchezza che prendeva le rotte di Madrid, e per controllare quella ricchezza, Pedro de la Gasca, un monaco gelido, di aspetto sinistro, fondò una città. La Paz, che gli somiglia per l'avversione che provoca anche durante una breve visita. In quel mondo rarefatto ed ostile, che possiede l'aeroporto più alto del mondo, oltre i quattromila metri, spuntò come uno gnomo, di quelli che stanno a guardia del tesoro, un cholo, un meticcio, dal nome che sarebbe diventato favola in tutto il mondo: Simon Patino. Non disponeva di grandi mezzi, ma conosceva l'indole dei suoi compatrioti, gente triste, rassegnata, fatalista. Una loro canzone popolare dice: •Pioggia e vento furono la mia culla i nessuno ha pietà, della mia miseria I Maledetta la mia nascita / Maledetto il mondo I Maledetto me stesso». Quando cantano questa canzone, talvolta, i boliviani s'infiammano e si rivoltano. Dal 1825, anno della sua indi pendenza, la Bolivia ha avuto il beneficio di oltre duecento rivoluzioni. In quel mondo di miserabili, che viveva di patate gelate e carne di llamas morti di vecchiaia, il cholo Simon Patino impiantò il suo impero, le miniere che producevano il 60 per cento dello stagno boliviano. Pagando salari miserabili a quegli operai, riuscì a diventare il re della rosea, dello stagno. Conoscendo la mutevolezza della fortuna, allargò il proprio impero a miniere della Thailandia, Indonesia, Malesia, Nigeria e, visione d'aquila, alle fonderie di Liverpool e del Texas, dove il minerale di stagno veniva raffina- to, un'impresa che mise in ginocchio il governo boliviano per decenni. Quando nel 1952 il presidente Paz Estenssoro nazionalizzò le miniere, fece solo un bel gesto; il suo stagno valeva soltanto se raffinato nelle fonderie di Patino in America e Inghilterra. Simon Patino, meticcio scaltro, si autonominò ambasciatore di Bolivia a Parigi, e cosi evitò anche di pagare le tasse. Intanto sistemò i suoi figli cercando fra i più bei nomi del Gotha europeo; per il primogenito Antenore, scelse Maria Cristina di Borbone y Buch la Vruz, nipote di re Alfonso XIII ; per una figlia volle un «grande» di Spagna, di quelli che non si tolgono il cappello dinanzi al re; per un'altra figlia un nobile francese. Alla sua morte nel 1947 lasciò un patrimonio valutato un miliardo di dollari (1250 miliardi di lire) accumulati col sudore ed il sangue del più sconosciuto ed infelice proletariato del mondo. Ma, come è noto, il denaro non puzza e i Patino entrarono dalla porta grande nella vita mondana internazionale. Erano celebri le feste organizzate da Antenore nei son- tuosi palazzi di Biarritz e di Nizza, al Waldorf Astoria e nei vari Carlton Hotel. Sua moglie, principessa spagnola, per un po' sopportò lo snobismo del marito, ed anche le sue maniere non proprio aristocratiche; i miliardi, allora, le facevano comodo. Poi si stancò di lui rivolgendo le sue tenerezze, pare, ad un alto ufficiale austriaco. Incominciarono le liti giudiziarie, le richieste di divorzio e, soprattutto, le richieste di denaro. Per tenerla quieta, Antenore Patino passava alla moglie un assegno mensile di 250 mila dollari; purché non parlasse di divorzio. Non era certo a corto di quattrini, oltre a portare fuori dalla Bolivia l'intero patrimonio dopo la nazionalizzazione delle miniere egli aveva ancora interessi nello stagno di mezzo mondo e nelle fonderie che, sole, potevano raffinare il minerale. Ma fu proprio la sua estrema ricchezza a procurargli le più risentite amarezze sentimentali, a trascinarlo da un tribunale di Parigi ad uno di New York ad un altro di Città del Messico, sempre a lottare con la moglie intrepida che gli chiedeva miliardi e miliardi per starsene quieta. Dal matrimonio era nata una bambina, Isabel. che non cercava nozze brillanti; fuggi con Jimmy Goldsmith. figlio di albergatori, ed il padre la fece inseguire dai suoi gorilla attraverso mezzo mondo. Matrimonio tristissimo, che si concluse con la morte della bimba nata dall'unione contrastata. Un nipote di Antenore Patino si sposò con una bellissima americana che si uccise in | Svizzera coi barbiturici. Lui fini in carcere per due giorni dopo una ennesima denuncia della moglie che pretendeva ancora 500 milioni di dollari. Il patrimonio dei Patino, che nel 1952 era valutato in due milioni settecentomila sterline, resisteva ad ogni assalto; anzi, continuava a lievitare, perché le «piccole guerre» facevano aumentare le richieste di stagno; il monarca ottuagenario era ancora in condizioni di tenere lo scettro in mano e continuare a considerarsi uno degli uomini più ricchi del mondo nonostante l'ascesa dei principi e presidenti di repubbliche arabe accaparratori di petrodollari. Declinava, però, la sua fama di uomo di mondo, ormai non era più considerato un vip; nonostante i blasoni portati in famiglia dai vari matrimoni, a poco a poco processi, scandali, adulteri, morti repentine lo avevano ricollocato nella sua posizione di ex cholo. Non è fantasia immaginare che, negli ultimi giorni, egli abbia riveduto la sua casa di La Paz, in quel profondo, orrido crepaccio che non supera i diciannove chilometri di ampiezza, dove gli indios tarchiati, corrosi dalla coca che masticano in continuazione, parlano ancora la lingua aymara o quechua del tempo degli Incas, quando «nessun boliviano aveva fame». Francesco Rosso NEW YORK — Uno degli uomini più ricchi del mondo, il magnate boliviano dello stagno, Antenor Patino, è morto all'età di 85 anni al «New York Hospital». La famiglia Patino è proprietaria di molte ville in Europa e negli Stati Uniti ed ha interessi in numerose fiorenti società commerciali. Non si sa con esattezza a quanto ammonti la sua fortuna, ma alla morte del padre, avvenuta nel 1947, Antenor Patino aveva ereditato oltre ai titoli di proprietà sulle miniere un miliardo di dollari (1250 miliardi di lire). Antenor Patino