Eisenstein, maestro di contrappunto di Gianni Rondolino

Eisenstein, maestro di contrappunto Eisenstein, maestro di contrappunto Nel suo trattato di estetica ha esposto la teoria di «spettacolo globale», in cui l'immagine si trasforma in musica, suono e visione si compenetrano fino ad attingere il regno supremo dell'ineffabile Il 21 novembre 1940, sette mesi prima che le truppe hitleriane invadessero l'Unione Sovietica, al Teatro Bolscioi di Mosca fu rappresentata La Walkiria di Wagner con la regia di Sergej Eisenstein, che ne aveva anche disegnato scenografie e costumi (eseguiti da Peter Williams). Non so quale accoglienza abbia riservato il pubblico moscovita alla grandiosa messinscena, né se essa costituì nella storia del teatro lirico una tappa significativa, e neppure quale significato politico abbia potuto assumere in un momento in cui tra Germania e Unione Sovietica vigeva il patto di non aggressione firmato poco più d un anno prima. Ma certamente questo spettacolo fu per Eisenstein al tempo stesso un punto d'arrivo e un punto di partenza nella sua carriera di regista cinematografico: significò una sorta di spartiacque all'interno della sua teoria e pratica del cinema come spettacolo totalizzante. I suoi film precedenti, da Sciopero ad Aleksandr Nevskij, e i suoi molti scritti teorici e programmatici avevano a più riprese affrontato e spesso risolto intelligentemente 'e varie questioni concernenti i rapporti fra immagine e suono fra struttura ritmica del linguaggio musicale e struttura narrativa del linguaggio cinematografico. Ma solo ora, a contatto diretto con un'opera musicale da rappresentarsi sul palcoscenico, il problema centrale della interrelazione dei linguaggi sonoro e visivo si poneva in tutta la sua complessità, in una prospettiva di assoluto rigore temporale e spaziale. Come giustamente ricorda Pier Marco De Santis nel suo bel libro / disegni di Eisenstein (ed. Laterza), in cui pubblica alcuni schizzi per La Walkiria quale anticipazione di altri disegni analoghi che accompagneranno l'edizione degli scritti musicali di Eisenstein, fu lo stesso regista a dire che «il proprio riesame del rapporto musica-visione-parola, mediante l'accostamento diretto alla messa in scena della Walkiria ed alla teoria wagneriana, costituì un evento maieutico di incalcolabile importanza per il suo futuro linguaggio cinematografico applicato all'Ivan». Non pare infatti possibile comprendere appieno la struttura compositiva di questo film straordinario — un trittico di ampie proporzioni, appunto «wagneriane», di cui Eisenstein riuscì a realizzare soltanto le prime due parti — se non ci si richiama al concetto di opera d'arte globale che deriva direttamente dall'estetica di Wagner. Un concetto che, già presente nei primi film di Eisenstein e diversamente elaborato in vari scritti teorici, trovò in seguito una più ampia e articolata formulazione in un vero e proprio trattato di estetica, che il regista andò componendo negli ultimi anni della sua vita. Si tratta di un testo non del tutto compiuto, affascinante e misterioso come il suo stesso titolo. La natura non indifferente, che, uscito in Unione Sovie¬ tica a metà degli Anni Sessanta, quindici anni dopo la sua morte, e successivamente tradotto in francese, esce ora in edizione italiana a cura di Pietro Montani, che vi premette un'illuminante introduzione (ed. Marsilio). Ed è un testo, proprio per i continui rimandi e riferimenti alla letteratura, alla pittura, alla musica, che va considerato sia come un compendio di teoria generale dell'arte, sia soprattutto come una summa della speculazione teorica di Eisenstein sul linguaggio cinematografico e sulla propria opera come pratica applicazione di questo linguaggio. Che cos'è la «natura non indifferente»? E' lo «sconfinamento dell'immagine nella musica». Eisenstein parla infatti di «quella intrinseca "musica plastica" che, nel cinema muto, la stessa composizione plastica del film recava in sé. Il più delle volte questo ruolo acustico era svolto dal paesaggio. Ora, proprio tale paesaggio emozionale, che agisce nel film come un componimento musicale, è ciò che io chiamo "natura non indifferente"». In altre parole, è la potenzialità semantica della stessa immagine cinematografica, in particolare l'immagine paesaggistica, «naturale», che, opportunamente montata con altre analoghe immagini secondo un ritmo rigoroso, musicale appunto, riesce ad esprimere l'ineffabile. In questa prospettiva estetica, il discorso sulla musica, sul rapporto tra melodia e armonia, l'analisi del contrappunto — Eisenstein parla del suo «entusiasmo» per Bach — si sviluppano e si approfondiscono a mano a mano che egli si addentra nello studio dei caratteri peculiari del montaggio cinematografico nel passaggio dal muto al sonoro, sino alla «polifonia» audiovisiva dell'/van, a quella «sinestesia» totale e totalizzante che in quel film, come certamente anche nella messinscena della Walkiria, egli aveva sperimentato sino alle estreme conseguenze formali. Un percorso estetico e artistico che Eisenstein vuol far risalire già agli anni del Potemkin, addirittura al suo primo scritto teatrale sul «montaggio delle attrazioni», forse con qualche forzatura. Certamente un percorso di grande suggestione e di notevole stimolo che si va costruendo di anno in anno sull'idea-base dell'arte come sintesi organica di pathos e di estasi. Attingendo abbondantemente all'arte e all'estetica romantica, ma superandole in una visione materialistica del rapporto fra uomo e natura e fra uomo e storia, Eisenstein va alla ricerca dei meccanismi di produzione dell'emozione artistica, del linguaggio «patetico», e scopre gli elementi che producono l'estasi, Y«uscire fuori di sé». Se l'arte deve scuotere, sconvolgere e coinvolgere lo spettatore, questa «scossa» deve essere al tempo stesso razionale e irrazionale, intellettuale e sentimentale, il cinema, per la sua stessa natura tecnologica, consente di produrre e di analizzare contemporaneamente i due aspetti complementari della produzione artistica. Come la musica, la letteratura, la pittura — ma più di esse per la compresenza dei diversi linguaggi —, esso è, e deve essere per Eisenstein, «patetico» ed «estatico». Oggi che queste qualità — sia pure nell'accezione eisensteiniana estremamente rigorosa e «formalistica» — paiono assenti nella produzione artistica contemporanea, e in quella cinematografica, la lettura della Natura non indifferente risulta oltremodo interessante, persin provocatoria. Non è già un andare contro corrente, un ancorarsi a pochi solidi concetti contro il dilagare delle incertezze teoriche, ma piuttosto un'occasione per rivedere criticamente talune posizioni. Ma soprattutto è uno strumento indispensabile per entrare nel «laboratorio Eisenstein», cogliendo dall'interno le potenzialità artistiche ed estetiche di un'opera che sempre più ci appare tra le massime della stona del cinema. Gianni Rondolino

Persone citate: Aleksandr Nevskij, Bach, Peter Williams, Pier Marco De Santis, Sergej Eisenstein

Luoghi citati: Germania, Mosca, Unione Sovietica