Mettiamo una quercia nel motore

Mettiamo una quercia nel motore TRADITO DAL MONDO MINERALE, L'UOMO RISCOPRE QUELLO VEGETALE Mettiamo una quercia nel motore Foreste, praterie, distese di alghe marine si rivelano un serbatoio di ricchezze: se ne ricavano proteine, carburante, gas metano - Dovunque, tranne che in Italia, si investe nella ricerca per creare nuove specie - Negli Stati Uniti il legno fornisce il doppio dell'energia prodotta dalle centrali nucleari - Anche la medicina si rivolge con fiducia alle piante officinali DAL NOSTRO INVIATO MILANO — Riscopriamo il mondo dei vegetali dopo aver creduto ciecamente in quello dei minerali. Nei Paesi industriali più avanzati genetica e chimica si alleano alla botanica, all'agronomia, alla micologia, per esplorare e sfruttare lo sterminato serbatoio di ricchezze rinnovabili (dalle foreste alle praterie di alghe marine) che avevamo trascurato quando l'umanità galoppava a petrolio. «E' in atto una rivoluzione paragonabile a quella dell'elettronica. E come avvenne per l'elettronica l'Italia si trova in ritardo. Tra noi e gli Stati Uniti corre una distanza paragonabile a quella tra la Terra e il Sole. Giappone e Germania sono la Luna», mi dice il professor Marre, dell'Istituto Milanese di Scienze Botaniche, personaggio di statura internazionale. I vegetali sono fabbriche di amidi, zuccheri, proteine, vitamine. Dalle biomasse, termine ermetico che vale per i residui legnosi come per le patate e la frutta di scarto, si estrae alcol in forma di etanolo, utilizzabile come materia di base nella chimica, al posto dell'etilene derivato dal petrolio. Dalla pula del grano si arriva al nylon e al dacron, dalle patate e dalle barbabietole alla gomma sintetica, alle materie plastiche. L'etanolo è già utilizzato su scala commerciale, negli Stati Uniti e in Brasile, come carburante in sostituzione della benzina. In Italia i primi dieci distributori di alcol distillato da barbabietole da zucchero verranno aperti entro il 1982 dalla IP, in via sperimentale. Grano e mais Abbandonato il sogno pericoloso di un'umanità sfamata attraverso la catena del petrolio con le famose bioproteine, si ricavano nuovi mangimi dagli scarti della produzione agricola; i laboratori scientifici aprono nuovi orizzonti per l'estrazione di proteine da vegetali e mi¬ crorganismi. L'Istituto Nazionale di Cerealicoltura ha scoperto nuove varietà di grano e di mais. Tra i progetti finalizzati del Consiglio Nazionale delle Ricerche è quello del miglioramento di diverse specie vegetali attraverso l'ingegneria genetica, per accrescerne la capacità produttiva. Ma negli Stati Uniti e nei Paesi europei tecnologicamente più avanzati si lavora ancor più nel campo dell'energia: metano da rifiuti agricoli, alcol, e persino legna da ardere. «I Paesi che hanno adottato per primi grandi programmi di ricerca e di sfruttamento nel campo vegetale faranno la parte del leone sui mercati internazionali», dice Lester R. Brown, del « Worldwatch Institute* (Washington). E offre una informazione stupefacente: «Negli Stati Uniti il legno fornisce il doppio dell'energia prodotta da centrali nucleari». La vendita di stufe e caldaie a legna è balzata da 160 mila unità nel 1972eal milione nel 1980. Una delle più grandi industrie della carta, la mScott Paper» ha convertito il suo stabilimento nel Maine dal petrolio alla legna da ardere. Secondo Lester R. Brown «la forestazione darà milioni di nuovi posti di lavoro in tutto il mondo». Gli effetti del ritorno ai legno come combustibile (ritorno criticato da ecologi e economisti, ma per ora inarrestabile) già si delineano negli Stati Uniti e nei Paesi del Terzo Mondo più strettamente condizionati dall'economia americana: spostamenti di popolazioni verso grandi aree boscose, grandi investimenti nella creazione di nuove foreste e nella ricerca di nuove piante di rapida crescita. Si potrebbe immaginare una rinascita delle scienze naturali paragonabile a quella che caratterizzò i secoli XVI e XVII, con le scuole di Aldrovandi e Malpighi, con la fioritura di orti botanici celebri in Europa, come quello di Padova. «Purtroppo si fa poco, se non pochissimo», mi dice il professor Rambelli, dell'Orto Botanico di Roma. «Lavoriamo prevalentemente nel settore dei farmaci. La gente si rivolge sempre più alle erbe officinali. L'industria comincia a sostituire i farmaci sintetici con quelli naturali. Noi ci stiamo occupando anche delle esperienze di popolazioni africane che si curano con erbe e funghi. Il Centro Studi di Medicina tradizionale, presieduto dal professor Marini Bettolo, lavora al recupero e alla trascrizione di ricette africane che venivano tramandate oralmente». Una curiosità: lo strofanto è una pianta usata in Africa per avvelenare le frecce ma anche, in dosi appropriate, come cardiotonico. Se ne ricava appunto la strofantina. «C'è una corsa alle erbe officinali, in gran parte importate dall'estero», mi dice il professor Franco Pedrotti, dell'Università di Camerino. «Potrei parlare di arrembaggio ai nostri corsi di erboristeria. Si moltiplicano le cooperative per la produzione e la raccolta di timo, genziana, rosmarino, e mi limito ai casi più comuni. In Piemonte si sviluppa la coltivazione del «genepl», divenuto rarissimo. Occorre però avvertire il pubblico impreparato: la moda delle erbe può causare danni alla salute, se porta a consumi ecccessivi, incontrollati». E' fortissima la richiesta da parte di privati che seminano in giardino o sulla terrazza, familiarizzandosi con l'acetosella' diuretica, l'altea emolliente, la borragine depurativa, la passiflora calmante, la cedronella antispasmodica, il finocchio e il cumino digestivi, lo stramonio antiasmatico, la valeriana; senza dimenticare salvia, menta, origano, timo, che avevamo ridotto a sussidiari della buona cucina benché i greci e i romani ne conoscessero le virtù terapeutiche. Oggi dieci grammi di semi di timo sono venduti a 8-10 mila lire. Se tornano di moda gli erbari antichi, da quelli arabi a quelli di Linneo e degli acquarellisti del Settecento, si fa poco nei settori di avanguardia, che promettono sconvolgimenti nel modo di produrre alimenti e materie energetiche. In Italia si intravede da lontano la *fantabotanica* di cui parla JeanMarie Pelt, professore di biologia vegetale all'Università di Metz, nel suo affascinante saggio «Le piante, vita, amori, problemi», pubblicato da Laterza. Pelt immagina «un'altra civiltà vegetale... Piante di cui i nostri discendenti mangeranno i frutti colmi a loro volta di altri frutti, ciascuno dei quali conterrà i semi». Piante ottenute con nuovi sistemi di produzione. «In Italia abbiamo buoni gruppi di ricerca, ma la ricerca di base rimane divisa da quella applicata, per scarsità di forze. Nel campo della fotosintesi si lavora molto bene a Milano e a Bologna. Per la biomassa a Pavia. La genetica è ben sviluppata. Ma è difficile arrivare alle applicazioni pratiche», mi dice il professor Mane. Il professor Rambelli conferma: «Non mancano le idee e gli studiosi, mancano i mezzi. Abbiamo dovuto fermare la ricerca sui funghi che creano condizioni ambientali favorevoli per le piante». / finanziamenti per la ricerca di nuove fonti proteiche superano di poco i 2 miliardi, sommando quelli di università, industrie, organismi del Cnr. Ha avuto 19 miliardi il progetto .energetica», del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che però abbraccia molte fonti diverse, attribuendo al carburante da vegetali una parte limitata. «In teoria potremmo raggiungere l'autosufficienza, non importando più petrolio da trasformare in benzina. In pratica dovremmo produrre alcol in quantità enormi, a costi competitivi. Siamo ben lontani da queste condizioni» mi dice l'ingegner Zanoni, responsabile dell'Agip per il settore. Il libro bianco del Cnr, «Etanolo per via fermentativa» (in corso di aggiornamento) arriva a queste conclusioni: 350 mila ettari a barbabietola da zucchero darebbero un raccolto di 10 milioni di tonnellate, con produzione di 900 mila tonnellate di alcol (etanolo), equivalenti a 580 mila tonnellate di petrolio. Utilizzando anche gli scarti dell'agricoltura si potrebbe salire a 2.300.000 tonnellate di etanolo l'anno, equivalenti a 1.350.000 tonnellate di petrolio trasforma- ' to in benzina (consumo attuale: 11 milioni di tonnellate). La Fiat a alcol «Le speranze italiane sono limitate da due fattori: il costo del raccolto della barbabietola, il costo energetico della trasformazione», dice ancora l'ingegner Zanoni. La sostituzione della benzina con etanolo è molto più avanzata in Brasile, dove si può contare sulla canna da zucchero raccolta da mano d'opera a basso costo e trasformata in alcol utilizzando la parte legnosa della canna stessa, con costo energetico zero. La •Fiat 147» (la 127 brasiliana) può essere alimentata con solo alcol, e va benissimo. Traguardo del piano brasiliano •proalcoU: un milione di automobili a etanolo entro il 1983, con risparmio di benzina pari a 4000 miliardi di lire. Ben 285 nuove raffinerie sono sorte col contributo dello Stato; nelle nuove piantagioni di canna da zucchero sono stati investiti 1200 miliardi di lire. La corsa alla canna per etanolo porta con sé la minaccia di aumento dei prezzi alimentari e l'aggravamento della denutrizione dei poveri, come ha già denunciato monsignor Camara. La Francia ha un piano .dell'alcol fondato in partesulla manioca e sull'agave di Paesi africani dove il raccolto costa poco. Gli Stati Uniti, dove già si vende *gas-hol» a minor prezzo della benzina (si tratta di una miscela al 10 per cento) puntano sul mais e su nuove varietà di sorgo, una graminacea caduta in abbandono e un tempo utilizzata dai neri per fare acquavite. Anche il Centro Ricerche Eni di Monterotondo si occupa del sorgo e di piante da legno che possono dare il butanolo, un alcol superiore miscelatile con la benzina. La scienza dovrebbe darci piante adatte al nostro clima, da cui estrarre a costi competitivi un carburante -vegetale' capace di sostituire la benzina. E' possibile arrivarci prima che il petrolio raggiunga prezzi insostenibili, ma a condizione di spendere di più nella ricerca. Mario Fazio