Il cervello si difende dall'alcol

I non bevitori sono più esposti alle conseguenze dell'abuso I non bevitori sono più esposti alle conseguenze dell'abuso n cervello si difende dall'alcol TROPPO alcol, come si sa, ubriaca e alla lunga può condurre alla morte, danneggiando irreversibilmente il fegato e altri organi. Non esistono però spiegazioni scientifiche certe di questi effetti disastrosi. Molti quesiti sono ancora irrisolti. Per esempio: perché alcuni alcolisti cronici possono avere una tale tolleranza all'alcol da poterne bere in grande quantità e riuscire ancora a guidare l'automobile? Il tasso alcolico nel loro sangue renderebbe le persone normali incapaci di ragionare. E ancora: quali alterazioni cellulari provocano tremiti e deliri negli etilisti cronici che improvvisamente smettono di bere? Perché la tolleranza all'alcol provoca tolleranza ad altre droghe? (I medici sanno bene, per esempio, che per addormentare un paziente alcolista sono necessarie dosi massicce di anestetico). Finora, queste e altre domande non hanno avuto una risposta precisa a causa dei limiti imposti alla ricerca. Per studiare gli effetti dell'alcol è necessario prelevare campioni di tessuto organico prima, durante e dopo l'ingestione di sostanze alcoliche. Ma prelevare, per esempio, cellule cerebrali a un uomo, è contrario all'etica. Facendo riferimento ai dati ricavati da indagini su animali, un gruppo di ricercatori di Filadelfia ha for¬ SI stanno diffondendo nei Paesi anglosassoni le «scuole di guida difensiva», destinate a migliorare nei guidatori la capacità di evitare incidenti Stradali. L'idea è partita dalla constatazione che la componente più pericolosa di ogni autoveicolo è il suo conducente, il quale nelle statistiche figura come causa degli incidenti più spesso dei guasti meccanici. Un alto esponente dell'Institute of Advanced Motorista britannico, che si propone di rendere più si- mulato una nuova teoria sull'alcolismo. Le cellule cerebrali, come quelle di altri organi, sono ricoperte da membrane protettive che contengono grassi e proteine. Queste sostanze rendono la membrana «fluida», come dicono gli scienziati. La membrana infatti può essere paragonata, per quanto riguarda il suo stato fisico, al burro, che diventa solido o liquido a seconda per esempio della temperatura. Normalmente, le membrane cerebrali sono semifluide, e molto sensibili agli effetti dell'alcol. In esperimenti su ratti, il dottor Emanuel Rubin, il dottor Hagai Rottenberg e il dottor Alan Waring dell'Hahnemann Medicai College, hanno isolato le varie componenti delle membrane delle cellule cerebrali e hanno studiato, in provetta, gii effetti dell'alcol su di esse. Poi i ricercatori hanno sperimentato gli effetti dell'alcol direttamente sulle membrane prelevate dal cervello di topi etilisti e astemi. In questo modo hanno scoperto che l'alcol rende le cellule temporaneamente più fluide. Quando diventano etilisti, i ratti si proteggono rendendo le proprie cellule cerebrali più rigide. Quando viene aggiunto alcol alle membrane più rigide, queste tendono a diventare più fluide, non tanto però quanto quelle di ratti non bevitori. Questi cambiamenti possono essere misurati su una scala in cui alla membrana normale è assegnato il valore zero, a quella fluida valori negativi e a quella rigida valori positivi. Secondo questa scala, alle cellule dei ratti etilisti cronici può essere assegnato il valore di più due. Quando ai ratti etilisti è somministrato altro alcol, le cellule diventano più fluide, passando al valore zero anziché meno due. come accadrebbe ai ratti non bevitori. Le membrane delle cellule cerebrali dei topi etilisti, comunque, possono restare al valore di più due anche quando per alcuni giorni non viene somministrato alcol alle cavie: in questa condizione le cellule hanno minore efficacia. Poiché la cellula è ora innaturalmente rigida, il corpo sembra richiedere dell'alcol, quasi con bramosia, per poter tornare allo stato normale, semifluido. Anche questo stato però potrebbe essere pericoloso: potrebbe cioè provocare una dipendenza dall'alcol per mantenere la membrana nel suo stato semifluido. Sempre secondo questa teoria, membrane rigide possono spiegare la tolleranza all'alcol nei grandi bevitori, dal momento che ce ne vorrebbe una grande quantità per portare le membrane al valore di più due. I ricercatori di Filadelfia hanno anche scoperto che nelle membrane delle cellule cerebrali di ratti etilisti cronici viene assorbito molto meno alcol che in quelle dei ratti non bevitori. Ciò spiega, secondo loro, perché gli etilisti cronici, con tassi alcolici molto elevati, riescono per esempio a guidare. La ragione è che solo un terzo dell'alcol presente nel sangue degli etilisti viene assorbito nelle membrane delle cellule cerebrali. Gli scienziati americani hanno inoltre esposto membrane cerebrali all'alotano, e hanno scoperto che questo comune anestetico spezza la loro struttura, e quindi le loro funzioni, allo stesso modo dell'alcol. Il risultato è che nelle membrane cerebrali degli alcolisti viene assorbito il 40 per cento in meno di alotano. Ciò proverebbe perché un alcolista sviluppa quella che è chiamata «tolleranza incrociata» ad alcune sostanze chimicamente non collegate, come l'alotano e altri anestetici. Lawrence K. Altman Cop\righl «ScienceTimes New York Times» e per l'Italia «l Jt Slampa» no cifre: in una città USA 550 autisti di mezzi pubblici che avevano frequentato una scuola di guida difensiva, hanno visto diminuire del 75 per cento il numero di incidenti nei quali sono stati coinvolti in un periodo di 18 mesi. La scuola di guida difensiva prevede, oltre al «training» psicologico, anche un insegnamento pratico su speciali vetture e su terreni preparati, teso a migliorare il controllo della vettura da parte dell'allievo, in casi di imprevedibile emergenza simulati. e. f. v. Imalati che si dimenticano di prendere regolarmente le medicine sono molti e il fenomeno induce farmacologi e case farmaceutiche a escogitare sistemi che aiutino i distratti a rispettare meglio le prescrizioni dei medici. L'aderenza del paziente alle istruzioni per l'assunzione di una terapia viene indicata dai tecnici con la parola inglese compliance, che i dizionari definiscono «azione conforme alla richiesta» e che si potrebbe tradurre con «compimento» o «osservanza». La compliance di un paziente a una terapia diminuisce progressivamente per molte cause. In uno studio, recentissimo, del dottor D. L. Sackett della McMaster University dell'Ontario, si dimostra che essa scende al di sotto del 50 per cento nel giro di poche settimane dall'inizio della cura. In altre parole, più della metà dei pazienti non applica correttamente le prescrizioni avute dal medico. Ciò avviene soprattutto nelle terapie prolungate per malattie come l'ipertensione, che non provocano sintomi fastidiosi che facciano da campanello d'allarme e inducano a curarsi. Prendere una pillola al giorno, tutti i giorni, diventa ben presto un'azione automatica e cosi meccanica che i malati finiscono per non ricordarsi bene se l'hanno compiuta o no. Anche la voglia di curarsi diminuisce col tempo, una volta che si sia attenuata, magari proprio a causa dei benefici ottenuti con la terapia, la ragione che li ha spinti dal medico. L'età (i giovani sono più distratti, gli anziani possono avere labilità di memoria), la

Persone citate: Alan Waring, D. L., Emanuel Rubin, Hagai Rottenberg, Hahnemann, Lawrence K. Altman

Luoghi citati: Filadelfia, Italia