Possiamo quasi vedere bruciare i bambini di Tharros di Franco Giliberto

L'archeologia antropologica al lavoro nell'antica colonia fenicio-cartaginese in Sardegna L'archeologia antropologica al lavoro nell'antica colonia fenicio-cartaginese in Sardegna Possiamo quasi vedere bruciare i bambini di Tharros IL sacrificio dei fanciulli — il «passar per il fuoco i bambini» con rito propiziatorio — secondo concordi testimonianze letterarie classiche era comune al mondo fenicio-punico. Resti umani combusti e conservati in vasi di terracotta sono stati trovati in vari santuari-sepolcreti, in quei tophet o luoghi sacri, che tanti archeologi, dal secolo scorso, hanno sondato. Uno dei più famosi tophet fenici, scoperto presso Tunisi, conteneva urne a decine di migliaia, con ceneri e ossa di bambini immolati a Cartagine nell'intero arco della sua esistenza. Ancor oggi una campagna condotta da ricercatori statunitensi è aperta su quei resti. E gli studiosi, al di là degli scavi e dei tradizionali rilievi archeologici, al di là dei sussidi letterari, epigrafici e scientificamente induttivi, s'avvalgono ormai di strumenti d'analisi raffinati, tecnologicamente avanzatissimi. Non basta più «catalogare a vista», riconoscere accademicamente i reperti: il computer, l'analisi radioattiva, la sofisticata scomposizione chimica di materiale biologico, la spettrometria a fluorescenza hanno cominciato a dare risposte che le ricerche morfometriche, da sole, in passato non avrebbero saputo dare. «Questo criterio (dice il professor Enrico Acquaro, docente di Archeologia fenicio-punica alla facoltà di Storia antica nell'Università di Bologna) che ora è seguito dai colleghi americani per il tophet di Cartagine, era già stato scelto da noi, perciò con una specie di primogenitura, nel recinto sacro di Tharros, in Sardegna. Negli ultimi anni vi abbiamo trovato oltre tremila urne e gli esami antropologici e paleobotanici, già eseguiti con modalità tecnico-scientifiche d'avanguardia, ci hanno dato molte risposte su quest'area, ben oltre i limiti imprecisi della leggenda». La città di Tharros fu fondata quasi tremila anni fa. nell'ambito della colonizzazione fenicia del Mediterraneo occidentale. Sorgeva nel Golfo di Oristano, sul promontorio che dal Sinis si protende per tre chilometri a Sud. fino a Capo San Marco. All'estremità della città, su una collinetta, il tophet vide praticare riti sacrificali fino al II secolo a.c. Enrico Acquaro dirige gli scavi a Tharros dal 1974. Ha chiamato a collaborare alle ricerche, senza esclusivismi, parecchi colleghi, affidando loro progetti di studio particolari. Sui resti umani combusti e sui risultati di varie altre ricognizioni archeologiche e paleoambientali nell'insediamento cartaginese, si sono cosi cimentati studiosi che avevano per obbiettivo l'acquisizione di nuovi dati di «cultura materiale», per indagini finalizzate alla conoscenza della cultura antropologica. I vasi contenenti resti umani potevano essere portatori di gravi anomalie fisiche, tali che non avrebbero consentito loro la sopravvivenza. Qualche dato sul meccanismo del rito. Non avveniva in bracieri, come si credeva in passato, ma sulla nuda terra, dov'era allestito un piccolo rogo. Il corpicino rimaneva fermo sulla fiamma e l'ipotesi che il fanciullo da sacrificare fosse narcotizzato o stordito con droghe vegetali, trova conferma in alcune analisi sui resti inceneriti di erbe. Le ricerche paleobotaniche hanno anche palesato che i sacrifici avevano andamento periodico, stagionale e non erano quindi ritmati da avvenimenti d'emergenza, come una carestia, un pericolo per la collettività ecc. Piccoli animali, volatili, roditori, anche pesci, erano bruciati assieme ai fanciulli. «E via via sta affiorando un'altra serie di notizie interessanti — dice il professor Fedele—che ci consentiranno di gettare un'occhiata sull'inquadramento sociale di questi coloni venuti dall'Africa. Cosi si procede nell'archeologia antropologica, una scienza che dovrebbe coinvolgere e incuriosire sempre più anche il grande pubblico». Da un mucchietto di cenere, i ricercatori risalgono alla dinamica del rituale nel tophet. alla gestualità e ai motivi ispiratori che determinarono i comportamenti di uomini vissuti venticinque secoli fa. Nel laboratorio dell'Istituto dì antropologia dell'Università di Napoli, il professor Enrico Fedele (collaboratore di Acquaro alla ricerca su Tharros) ha tentato l'impresa. Esami osteologie!, al microscopio, passaggi a forno del materiale raccolto per la definizione dei silici, vari altri rilievi sui minerali, prove chimiche per l'individuazione di resti vegetali, hanno permesso di stabilire «come» il sacrificio di fanciulli avvenisse. Alcuni dati in sintesi. I bambini immolati avevano dall'età fetale ai 12 anni. Pochissimi (tre o quattro su tremila) erano però in età prepuberale. La massa dei sacrifici riguardava neonati e bimbi che non avessero più di tre anni. Pur da considerare crudelissimo, grazie alle ultime ricerche il rito nel tophet è stato un po' spogliato dell'alone di cieca barbarie. Molti resti combusti sono da considerare prodotti abortivi e per deduzione anche i bambini immolati alla dea Tanit, con intento propiziatorio per le comunità. Franco Giliberto bruciati ritrovati negli scavi di Tharros,che ora vengono analizzati

Persone citate: Enrico Fedele

Luoghi citati: Acquaro, Africa, Bologna, Napoli, Oristano, Sardegna, Tunisi