«Amata sorella terrorista» di Lietta Tornabuoni

«Amata sorella terrorista» INTERVISTA: CHRISTIANE ENSSLIN PARLA DEGLI «ANNI DI PIOMBO» «Amata sorella terrorista» Stasera in anteprima per i deputati a Montecitorio il film di Margarethe von Trotta premiato con il Leone d'oro - Rievoca la Germania del terrorismo e il carcere dove nel 1977 morì anche Gudrun Ensslin - «Era incredibilmente forte, non credo al suicidio, penso che lei e i compagni siano stati uccisi e vorrei scoprire la verità» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE COLONIA — Christiane Ensslin, giornalista, quarantatre anni, è magrissima. Parla molto, senza alzare la voce, con il tono uguale d'uno sdegno sardonico e dolente, citando con esattezza fiduciosa e nevrotica fatti, date, cifre, circostanze, nomi. Ride spesso, e non è un bel ridere; ma il raro sorriso è bellissimo. L'appartamento molto piccolo (in cucina, il vino rosso e il caffè nero dei tedeschi che amano l'Italia) è invaso da decine di dossiers ordinati: dura da anni il suo lavoro di ricerca per un libro-inchiesta sulla fine di sua sorella Gudrun, sui morti di Stammheim. In quel supercarcere tedesco, la mattina del 18 ottobre 1977, vennero trovati cadaveri Andreas Baader, Jan-Cari Raspe e Gudrun Ensslin, terroristi appartenenti alla Rote Armee Fraktion: morti per suicidio collettivo, dissero le autorità; morti ammazzati dalle autorità, sospettarono i loro compagni, i parenti, tanti altri nel mondo; e Stammheim rimane un'ombra macabra nella storia recente di Germania. Christiane Ensslin è il modello vivo della protagonista di Anni di piombo, film di Margarethe von Trotta, Leone d'Oro all'ultimo festival di Venezia, che arriva adesso nei cinema italiani e viene proiettato stasera in anteprima per i deputati al Parlamento. Modello e autrice si conobbero a quel funerale dei morti di Stammheim che alcuni registi ripresero per il film collettivo Germania d'autunno, racconta la von Trotta: « Conoscevo Christiane di nome. Sapevo che lavorava in un giornale e nel movimento femminista, che per cambiare la società percorreva una strada politica quotidiana e pragmatica, mentre l'impazienza rivoluzionaria di Gudrun aveva preso la via della violema e delle armi. Christiane era così straziata dalla morte della sorella che doveva assolutamente parlare: rovesciò su di me un fiume di parole. Mi raccontò della loro infamia insieme; allora, lei era la ribelle, e Gudrun l'obbediente. Questo mi ha affascinato: il modo in cui più tardi i ruoli si erano capovolti. Mi è parsa una storia molto tedesca. Tutte e due le sorelle hanno conosciuto la guerra nell'infanzia. Tutte e due hanno vissuto nell'adolescenza il grande silenzio degli Anni Cinquanta e l'aria chiusa, opprimente, che il passato nazista rimosso addensava sulla società e sulla cultura in Germania. Tutte e due hanno vissuto gli Anni Sessanta della speranza di cambiamento: lì il loro cammino si è diviso, ma restavano sorelle. I legami dell'affetto, dell'appartenenza e della memoria non sono cancellabili dalla politica: durante la clandestinità e la prigionia, anche dopo la morte, Christiane non ha abbandonato Gudrun». In Germania, dove è uscito quattro mesi fa. Anni di piombo non ha riaperto la discussione collettiva intorno ai morti di Stammheim. Riferisce Margarethe von Trotta: «/ critici liberali non hanno parlato del tema del film, si sono limitati a dare giudizi "artistici" spesso non positivi: troppo semplice, troppo classico. La critica di destra, ostile: film pericoloso. I recensori dei giornali alternativi, che sono moltissimi e hanno grande influenza sui ragazzi spettatori del cinema, entusiasti: dice quello che sentiamo, che pensiamo. Un piccolo gruppo, severo: non è abbastanza militante. II pubblico è andato a vederlo, molto più numeroso e interessato di quanto mi aspettassi: avevo sottovalutato la gente». In Italia, dove il terrorismo resta una sanguinosa presenza quotidiana, il film farà forse discutere: perché rifiuta con chiarezza il terrorismo, e con tenacia vuole capirne i protagonisti; perché racconta le motivazioni, la sofferenza, la morte d'una terrorista, e non racconta le azioni terroristiche da lei compiute; perché le sue immagini comunicano un sentimento di fraternità che resiste alle opposte scelte di lotta politica, e un sentimento di dolore per il grande spreco umano di questi anni. Un mostro Le società insidiate, attaccate o messe in discussione adottano due tipi di difesa: se hanno già sconfitto l'avversario, tendono a cancellarlo, a rimuoverlo e dimenticarlo, a non parlarne più; se l'avversario è ancora presente e attivo, tendono a presentarlo come un mostro, un alieno, un pazzo, una belva inumana che nulla ha in comune con gli altri cittadini. Di fronte al terrorismo, entrambi questi tipi di difesa sono stati adottati in Germania e in Italia. Film di psicologie e di sentimenti, Anni di piombo è esattamente all'opposto: racconta una terrorista come essere umano, vuole conservare la memoria dei morti terroristi di Stammheim. Sul film interroghiamo l'ispiratrice, Christiane Ensslin. «Anni di piombo» è dedicato «A Christiane». Cosa vuol dire? — Molte cose. E' una manifestazione d'amicizia che mi rende orgogliosa. E' un gesto di coraggio: Jean-Marie Straub aveva dedicato anni fa il suo Cronache di Maria Magdalena Bach a Holger Meins, morto in carcere in se¬ guito a sciopero della fame, ma se ha voluto l'autorizzazione a proiettare il film ha dovuto tagliare la dedica. E' un avvertimento agli spettatori: attenti, il film nasce da una vicenda reale, voi sapete quale e non potete fingere che non sia mai accaduta né dimenticarla. E' forse anche un ringraziamento per il contributo che ho dato al film. Con Margarethe von Trotta abbiamo parlato tanto, così a lungo: non per dare giudizi o valutazioni, ma per capire, ricordare e ricostruire esattamente come erano andate le cose, qual era stata l'evoluzione psicologica, dall'infanzia sino alla morte di Gudrun e oltre. Quando Margarethe mi disse che voleva farne un film, ho avuto paura: poi ho letto il copione, e mi sono accorta che aveva capito molto più di quanto io le avessi detto. Si riconosce, allora, nella protagonista Juliane? — // film mi va benissimo, anche politicamente: io sono contro il terrorismo, e convinta della necessità di quel dialogo con i terroristi che è stato irivece troncato dallo spavento, dalla demonizzazione, dalle leggi eccezionali. Qualche lieve differenza tra realtà e film esiste, naturalmente. Nel film, Juliane vie ne abbandonata dal suo compagno, insofferente della dedizione alla sorella Marianne che occupa sempre più spazio nella sua vita; nella realtà Malte Vorbeck mi è restato accanto con grande amore e solidarietà, lavorando con me all'inchiesta sui morti di Stammheim. Nella realtà fu un po' diverso il mio ultimo incontro con Gudrun in prigione: lei era sempre così incredibilmente forte. Mi diceva: «Fai troppo poco». Ora capisco che, moralmente, aveva ragione lei; al suo confronto ero molto più debole. Io venivo da fuori, potevo camminare e correre, potevo sentire il sole e il vento sulla pelle. Lei era in prigione da cinque anni e sempre spiata in cella dalle telecamere e dal neon, non vedeva mai la luce naturale e non aveva diritto al buio, aveva i muscoli semi-atrofizzati, aveva i nervi spezzati dalla solitudine e dal silenzio totale dell'isolamento, nell'ultimo periodo non mangiava quasi più, rifiutava il cibo del carcere nel timore d'essere avvelenata. Io ero libera, lei no: questo mi dava il senso di avere una colpa, di essere in torto. Da questo trauma non ho mai potuto liberarmi: anche adesso, ogni volta che vado in carcere a visitare dei detenuti ne esco con il sentimento (morale, non politico) di un privilegio inaccettabile. Ci va spesso? Chi visita, e perché? — Vado a trovare quei detenuti che chiedono di vedermi: e non sono molti. Questo tipo di visite sono un puro controllo di sopravvivenza. Gudrun, andavo a vederla in carcere soprattutto per constatare se era ancora viva: come il film descrive, l'incontro avveniva in modi tali da impedire ogni ragionamento, da provocare anzi la massima aggressività. Lotta armata Con sua sorella discuteva di politica, di terrorismo? — Ho sempre cercato di farlo. Non sempre è stato possibile discutere. Ma se il film avesse potuto essere più lungo di mezz'ora, in Anni di piombo non sarebbero mancati tanti altri discorsi fatti tra sorelle: prima per aiutarci reciprocamente a liberarci dell'educazione familiare autoritaria, religiosa, perbenista, per costruirci un'esistenza non ereditata da altri ma scelta da noi; poi per dirci tutte le cose di cui si parlava nel 1967, 1968. Infine, per discutere molto aspramente sulla lotta armata: lei la considerava l'unica strada, io la giudicavo politicamente sbagliata, umanamente distruttiva, dannosa a ogni processo di cambiamento della società. Persino quando ci vedevamo in carcere ciascuna tentava di convincere l'altra: con accanimento, con passione. Sempre invano, ma sempre continuando ad amarci come sorelle. Qualcos'altro manca, nel film: le azioni terroristiche compiate da Gudrun Ensslin e dai suoi compagni. Non è, anche questa, una rimozione? — Quelle vicende sono talmente note, in Germania. E quella del film è la sola maniera in cui fosse possibile, in Germania, raccontare una storia simile. Più di cosi non si poteva fare, in Germania. Nel film il bambino della terrorista, solo perché è figlio di sua madre, subisce un attentato, viene sfigurato, guarisce; prima odia e rifiuta la madre, poi vuole conoscerne la storia. E' vero che l'attentato con l'acido subito nella realtà 11 26 marzo 1978 da Felix, figlio oggi quattordicenne di Gudmn Ensslin, è stato molto più grave? E' vero che il ragazzo ne ha avuto il viso totalmente distrutto, che è stato sottoposto a otto interventi chirurgici di ricostruzione facciale e altri dovrà affrontarne? — Di questo non voglio parlare. Quando sarà in grado di farlo, sarà lui a decidere se parlarne oppure no. Alla fine di «Anni di piombo», il personaggio che t lei appare immerso in una ossessiva ricerca della verità intorno alla morte della sorella. Nella sua realtà, é cosi? — Oggi ho forse un distacco maggiore, ma porterò a termine l'inchiesta sulla morte di Gudrun e dei suoi compagni. Anche se mi sento convinta che li hanno uccisi, conduco la mia indagine onestamente; se otterrò la prova che si sono uccisi la accetterò. L'inaccettabile, è il silenzio. In Germania si tenta oggi di dimenticare e rimuovere Stammheim esattamente come in passato si volle dimenticare e rimuovere il nazismo: sarebbe disonesto, e per me moralmente impossibile, adottare lo stesso comportamento che ho rimproverato alle generazioni precedenti la mia. Questa inchiesta è un lavoro lungo, minuzioso, complicato. Esige molta pazienza, mi fa vivere sempre' sotto il controllo della polizia; telefono intercettato o bloccato, arresti provvisori, difficoltà nel viaggiare all'estero e cosi via. Ma, sinché non avrò assolto a questo impegno, non mi sentirò libera. Lietta Tornabuoni Gudrun Ensslin