I maestri di Castel Sant'Angelo

I maestri di Castel Sant'Angelo UNA MOSTRA SUGLI AFFRESCHI RESTAURATI E SUI LORO AUTORI I maestri di Castel Sant'Angelo Un'eccezionale ricerca su Ferino del Vaga (allievo di Raffaello) e i pittori che lavorarono con lui, protagonisti del grande Manierismo italiano -1 disegni ritrovati sono esposti negli stessi ambienti per i quali furono concepiti I ROMA — E' cosa nota che il Fascismo venne spesso presentato, nel periodo immediatamente posteriore alla sua caduta, come un semplice incidente nella storia italiana, e non già quale apice di un lungo processo storico, dalle radici che affondano nello specialissimo condizionamento in cui le vicende di venti e più secoli hanno finito per cristallizzare la stragrande maggioranza degli Italiani. La formula del Fascismo inteso quale brutta parentesi (e non come portato di precise, vetuste ideologie religiose, di immobilismo sociale, di cultura intesa in senso elitario) fu divulgata soprattutto dall'idealismo crociano; oggi (quando la prospettiva storica vista a distanza e quando le ricerche consentono un giudizio meno artificioso) essa risorge in un campo inatteso, come è quello dell'urbanistica e dell'archeologia. I recenti, pesanti attacchi a Mussolini urbanista, il progetto di cancellare la Via dei Fori imperiali (presentata come il non plus ultra dell'aberrazione), la condanna senza appello degli architetti, urbanisti, archeologi che collaborarono a plasmare il volto della Roma mussoliniana sono tutti aspetti di un atteggiamento che andrebbe indagato nei suoi risvolti ideologici e nelle sue finalità, che restano oscure. Sarebbe una ricerca interessante, anche perché il polI lice verso gridato con tanta j i virulenza, oltre ad essere vij ziato da antistoricismo (cioè j 1 dal senno di poi, in quanto ap plica criteri odierni a vecchi di mezzo secolo) non tiene in considerazione l'aspetto più evidente della questione: per quanto possano apparire detestabili sventramenti e prospettive realizzati nel tessuto urbano di Roma durante il ventennio, essi sono un nonnulla a confronto ! con quanto si fece tra il 1870 e il 1900, in quell'Italia liberale di cui si tacciono i misfatti, e j cui la retorica dittatoriale ap' portò soltanto l'ultimo tocco. Non so se corrisponda a realtà quel 30 per cento della fatti IRoma pontificia che alcuni affermano essere stato demo- lilo non appena la città ebbe la malasorte di divenire la capitale del Regno d'Italia: ma è certo che accanto alla distruzione quasi totale delle Ville patrizie non mancarono monumenti di età classica a venire cancellati o deformati in modi irreparabili: e tra questi il primo posto tocca al venerando Castel Sant'Angelo, sottoposto ad un inqualificabile trattamento. Non si salvarono i due bastioni sul Tevere, né il portale di acces- j j so; e persino il Ponte Elio (che aveva resistito intatto al Medioevo) fu in gran parte demolito e rifatto abusivamente: altro che Basamento del Colosso di Nerone e Meta sudante, sulla cui sparizione negli Anni 30 stride la protesta di Antonio Cederna! Lo scempio di Castel Sant'Angelo torna alla niente I nell'accedere a una Mostra inaugurata nell'interno del monumento il 16 novembre scorso, e che dovrebbe chiudersi alla fine di gennaio: ma c'è da augurarsi che essa venga prorogata, visto che si tratta di un avvenimento eccezionale, della Mostra cioè più importante e più riuscita di quante non siano mai state proposte in Roma. Il suo tema jè limitato, ma di grande interesse, ed è la decorazione ad affresco eseguita tra il 1543 e il 1548 sotto il pontificato di Paolo III Farnese, quando i (anche per la buona prova di l resistenza offerta dal Castel io durante il sacco di Roma nel 1527) si decise di ammodernare l'appartamento pontificio. Del grande ciclo di affreschi che fu allora eseguito in vari ambienti, la superficie si presenta";* sinora in condizioni deplorevoli per ritocchi e intonaci fatiscenti: un primo, positivo risultato della Mostra è di aver consolidato e pulito in modo eccellente tutto l'insieme, ad opera di Gianluigi Colalucci e dei suoi colla- boratori. Ma il risultato più notevole (e direi quasi unico) spetta a Filippa Aliberti Gaudioso, che. oltre ad aver progettato e diretto la Mostra, ha ; condotto assieme ad Eraldo Gaudioso una ricerca capilla- la cui minuzia e durata | ! fico (anche per la sede cui essa era destinata, in origine il re (che presumo non sia inferiore al decennio) si riconoscono negli importantissimi due volumi del catalogo. Il tema dell'indagine era tra i più ardui per uno storico dell'arte, come è quello di distinguere le varie personalità dell'equipe cui fu affidata, sotto la direzione di un allievo di Raffaello, cioè Perino del Vaga, l'impresa, sorretta da un preciso programma iconogra mausoleo dell'Imperatore Adriano). E non si trattava I certo di personalità secondaI rie che venivano cosi a trovarsi in posizione di collaborato:ri. oppure di esecutori auto! nomi ma condizionati da una ; comune intenzione di modi stilistici: tra esse troviamo Gerolamo Siciolante. Marco Ipino. e Pellegrino Tibaldi. cioè alcuni tra i protagonisti di quella che sarà la grande i Maniera della pittura italiana, p la cui eco si sarebbe diffusa attraverso l'Europa. C'è poi il fatto che. nell'epoI ca in questione, il disegno i preparatorio assume un'importanza primaria, anche se 1 l'idea che se ne esprime debba ! essere affidata ad altra ma- no; ed è qui che la Mostra di Castel Sant'Angelo costituisce un avvenimento di eccezione. I disegni ritrovati, che corrispondono agli affreschi di pareti o di volte, vengono esposti negli stessi ambienti per i quali furono concepiti; ed è ammirevole il modo con cui essi sono presentati, lungo l'alzata di tavoli che, nei piani, sono composti di specchi, tali da consentire la lettura delle volte senza essere costretti a guardare in alto, con un confronto diretto tra ideazione e realizzazione. Il felice allestimento dell'insieme, dovuto all'Architetto Roberto Einaudi, va d'accordo con l'apparato per il controllo climatico e con la bella illuminazione degli affreschi. Insomma, si tratta di un risultato sul quale non è possibile dilungarci qui per quel che riguarda la parte filologica: basti dire che la Mostra viene a gettare un raggio di luce (è proprio il caso di dirlo) in una città come Roma, dove analoghe manifestazioni negli ultimi tempi sono state caratterizzate da un dilettantismo improvvisato, privo di una effettiva preparazione. Alludo soprattutto alla serie di Mostre che nell'estate del 1981 hanno avuto luogo in Santa Maria del Popolo a Roma e in varie località del Lazio, tra cui Bracciano. Ostia. Fondi. Rieti. Tale ciclo è partito sotto la promozione dell'Assessorato di alla Cultura del Comune |Roma con ,a collaborazione dell'Assessorato alla Cultura della Regione Lazio, con il patrocinio della Presidenza della Regione stessa, ed è stato realizzato dall'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Roma, con la collaborazione del Ministero per i Beni culturali. Nonostante una tal rosa di promotori e di patrocinato- ri, i risultati sono stati men che modesti, in taluni casi scandalosi: ad esempio a Fondi, dove la Mostra ha assunto aspetti che preferisco non qualificare, ma che sono stati ben messi in luce da un brillante articolo di Antonio Pinelli, apparso sul Messaggero di Roma del 25 agosto. Altrove, i cataloghi rispecchiano un vacuo e inconcludente pressapochismo, specie da parte di un tal Roberto Cannata, altrimenti ignoto. Ma almeno queste erano Mostre che, in un modo o nell'altro, avevano un diretto rapporto con gli ambienti in cui erano allestite; sebbene impostate male, sono servite a rivedere e a rivisitare luoghi, ambienti e monumenti. Ben più grave è il vezzo, oramai diffuso a Roma, di allestire manifestazioni effimere in edifici famosi, che in nessun modo dovrebbero venire alterati per ospitare, sia pur per breve tempo, esibizioni talvolta di terz'ordine. Alludo a Palazzo Venezia, dove una parte del Museo è stata smontata per ospitare una Mostra di scarso rilievo, dedicata al mediocre Oskar Kokoschka. degna al massimo di una qualsiasi galleria di mercanti (e non parliamo del catalogo, sul quale è meglio tacere). Alludo alla Curia del Senato nel Foro Romano, e soprattutto al Palazzo dei Conservatori in Campidoglio, dove il cortile (che racchiude alcuni dei più insigni pezzi della scultura romana) è stato tempo fa occupato da un padiglione per ospitare una raccolta di ori precolombiani. Lo stesso Palazzo dei Conservatori, nei meravigliosi saloni del piano nobile, è stato scelto come sede di una Mostra di I reperti archeologici, molto interessanti in sé. ma del tutto ; fuori posto in ambienti del ge: nere. Accade cosi che monumenti : famosi in tutto il mondo e per visitare i quali la gente si sposta anche da Paesi lontani, si presentano sotto aspetti ; anormali; e questo in una città come Roma dove il Museo Nazionale è chiuso, dove la Galleria Nazionale non riesce a unirsi nella sede di Palazzo Barberini (acquistato dallo Stato da ben trentun anni), dove si procede a scempi di edifici, devastati da orride e insensate verniciature, come Palazzo Bonaparte in Piazza Venezia o come la Chiesa di San Paolo in Via Nazionale. E ci sarebbe da scrivere volumi sul degrado, oramai quasi generale, di un patrimonio artistico che oramai sembra interessare soltanto come mezzo di propaganda o di retorica politicizzata. Federico Zeri