Quattro volti per «Addio giovinezza»

Quattro volti per «Addio giovinezza» LA CRONACA TELEVISIVA di Ugo Ruzzolan Quattro volti per «Addio giovinezza» Stasera la famosa commedia in brani cinematografici e televisivi di differenti «generi» Ha ormai più di settant'anni /Iddio giovinezza, la famosa commedia di Camasio e Oxilia: la sua prima rappresentazione risale infatti al febbraio del 1911. Il regista Massimo Scaglione ha avuto un'idea curiosa e originale che ha poi realizzato in uno spettacolo in onda stasera sulla rete 3. La commedia viene raccontata attraverso le sequenze di quattro versioni: una cinematografica, di Ferdinando M. Poggioli, del 1940; due televisive, una di prosa degli Anni 50 e una musicale degli Anni 60; e infine una in dialetto piemontese girata appositamente da Scaglione. In studio commenta Paolo Poli con il consueto graffante spirito, lanciando affettuose frecciate, affiancato — ma forse è stata un'aggiunta superflua — da un recensore televisivo di passaggio. Oggi Addio giovinezza va presa per quello che è: l'espressione gracile e ingenua ma anche a modo suo sincera di un certo mondo torinese principio Novecento che stava tra una Bohème borghese e una goliardia chiassosa, tra il ristorante Cambio e il Carignano, e, allargando un po' la cerchia, tra i caffè e i salotti frequentati dagli intellettuali. Comunque la commedia riguarda l'ambiente studentesco, considerato l'ultima tappa di spensieratezza prima dell'impegno e delle delusioni della vita. Nel testo c'è del bonario umorismo, e una melanconia che risente del clima gozzaniano. Ma ci sono anche aspetti assurdi, e c'è tutta una parte finale che è molto irritante — al limite si potrebbe definirla reazionaria — quando Mario, laureatosi, abbandona per ragioni di disparità sociale Dorina figlia del popolo. Poi ci rendiamo conto che Mario è uno scalcagnato dottorino destinato a fare il medico condotto in uno sperdute paese di montagna e che invece Dorina ha un suo lavoro, in Torino, che sua madre gestisce una decorosa pensio¬ ne in un bel palazzo ed è proprietaria di casa. Anticipiamo che la vittoria va netta e indiscutibile al film di Poggioli, garbato, fine, con un'ottima fotografia, un'accurata ricostruzione d'epoca, un'accorta sceneggiatura di Salvator Gotta e valide musiche di Giuseppe Blanc; e con un Dorina quale migliore non si poteva desiderare. Maria Denis, e un Rimoldi simpatico Mario, un Campanini veramente comico e una splendida, affascinante Clara Calamai. Nel finale quel canto di «Giovinezza» (inno studentesco di Blanc, poi diventato inno del fascismo) da quasi i brividi, la guerra mondiale è vicina... Ingeneroso il confronto con le due versioni televisive: impacciata la commedia in lingua, con interpreti anche fisicamente fuori ruolo; e un'autentica, deplorevole follia il musical con balletti dissennati e ritmi moderni che stridono nella vicenda crepuscolare (dimenticando tra l'altro l'esitenza dell'operetta di Pietri). Lieta sorpresa invece le scene in piemontese che Scaglione ha diretto con gusto e che gli attori Brusa, Droetto, Versace hanno recitato con freschezza: inaspettatamente — o forse no — il dialetto conferisce alla piccola storia una maggiore credibilità, la reinserisce in una dimensione semplice e casalinga, le dona vivacità e vigoria quasi plebee con uno spessore ironico che nella versione in lingua stenta a venire fuori. Un recupero importante anche perché Ca masio e Oxilia avevano pensato e abbozzato in dialetto tutto il copione e soltanto in un secondo tempo l'avevano per cosi dire tradotto in italiano.

Luoghi citati: Torino