Con Gassman un Otello mai visto

Con Gassman un Otello mai visto Lo spettacolo a Ravenna con Giulio Brogi e la regia di Piccardi Con Gassman un Otello mai visto Nella traduzione dell'attore il personaggio è un «cuore semplice» che si scontra con la realtà degli altri DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE RAVENNA — L'Otello di Shakespeare, regia di Alvaro Piccardi, protagonista Vittorio Gassman, presentato in prima ufficiale nell'ottocentesco, bellissimo teatro Alighieri e salutato da un'ovazione di una ventina di minuti, non è — come qualcuno s'aspettava — uno spettacolo di tradizione, per mattatore solo, senza regia: è uno spettacolo con una sua precisa novità di proposta registica, e, al centro, un grande attore, al pieno della sua maturità. Di questa tragedia, gravata da quattro secoli di interpretazioni (e, tra le molte, le due canoniche: quella del potere ambito e appena sfiorato da un «diverso», il negro Otello, e quella della passione d'amore, che il «diverso» non sa governare, perché inferiore ai «normali») il regista Piccardi ha tratto una tragicommedia fiabesca, che ha al suo centro un uomo, fermo in una arcai ca fiducia nel sereno equili brio dell'universo (ma in que sto, allora, saremmo tutti dei primitivi!), ricacciato poi da una qualunque incertezza, quella della gelosia, nel dubbio, nell'angoscia, nel delirio, giù giù sino al delitto. Ecco, dunque, che il luogo della tragicommedia non può più essere l'orgogliosa Venezia della cultura rinascimentale, contrapposta all'incultu ra di un discendente degli antropofagi, ma una facciata di palazzo bizantino, filtrata dalla luce notturna, o una sa la del Gran Consiglio quasi immemoriale, con molti scranni vuoti, e il doge e i se natori un poco frettolosi (l'impianto scenico è di Lorenzo Ghiglia, suoi anche i costu mi); e Cipro non è più il ben munito avamposto dell'impe- ro, ma un'isola anzi il suo sperone, un molo con tanti gradini a precipizio (come nei libri di fiaba, proprio) che spessi broccati rosso sangue spartiscono in altri ambienti, che alti tendaggi bianchi solcano, nell'ora dell'intrigo. E ci sono, in questa Cipro tra cielo e mare, tra il cinerino e il bluastro dei fondali, ore per il cicaleccio e il corteggio d'amore, ore per la musica e il gioco maldestro dei clowns, come in ogni fiaba, appunto, dagli incerti confini tra comico e tragico. Come sta Otello in tutto questo, e come vi si situa l'Otello di Gassman? Autore anche di una bellissima traduzione, per scorrevolezza e finezza di trapassi, Gassman ha deciso di fare del suo personaggio un coeur simple, già avanti negli anni, ma non scalfito nel suo miraggio di felicità e perfezione, fino, appunto, allo scontro con l'ostile •realtà degli altri»: e da quel momento in poi stupefatto prima che addolorato, immalinconito prima che sconvolto, solo, disperatamente solo prima che agli altri nemico. Si tratta, come capite (e ne avrete la conferma tra due mesi all'Alfieri) di un radicale ripensamento del personaggio: tanto più sottile in quanto passa tutto attraverso il linguaggio. Per Gassman traduttore e interprete il viaggio di Otello è dall'ordine al disordine linguistico, dalla sintassi della semplicità e della magniloquenza alla paratassi disturbata e prosaica, franta da sospensioni, fitta di ellissi, gonfia di parole pedestri e volgari, ingorgata da solecismi da taverna. Come Gassman traduca questa metamorfosi in puro teatro s'ha da vedere, anzi da vedere e da ascoltare, perché l'attore qui dà saggio, proprio in ordine alla partitura fonica e timbrica, in una parola alla musica del testo, di una maestria che ha qualcosa d'abnorme. Solenne nel racconto, quasi omerico, della seduzione di Desdemona, d'una di messa, affettuosa quotidiani tà negli incontri con i suoi a Cipro, poi come scosso dal singulto del dubbio alle prime avvisaglie della gelosia, straziato e quasi disarticolato nel la parola dinanzi alla certezza del tradimento, d'una fastosi tà grottesca (qui, sì, tribale) nell'ora dell'uxoricidio: una prova d'attore, la sua, al limite del mostruoso. Gli sta a fianco, e gli tiene magnificamente testa, uno Jago-Brogi ribaldo, compatto terragno: un vilain di scoperta, anzi ricalcata truculenza, ma al tempo stesso (e la mistione gli riesce perfetta) di lucida teoresi e tempistica prassi, un Machiavelli, insomma, da bosco e da riviera. Pamela Villoresi è una Desdemona forte, combattiva, sicura nella sua giovanile innocenza. Palla Pavese, nella stupenda invettiva finale, estrae dalla sua Emilia tutta la sana empiria, il robusto realismo di cui il personaggio è nutrito. Intorno a questi, che sono i personaggi-chiave del dramma, stanno molti attori giovani, qualcuno persuade (lo stolido Roderigo, cosi leggero, di Nino Prester), altri lasciano un poco a desiderare (quel Cassio, non del tutto rilevato nella sua fatuità amabile di Massimo Ghini): ma il concertato, cui costoro e molti altri (come l'ottimo Brabanzio del Montagna) contribuiscono, è comunque di buona levatura, non soffre, insomma, della vertiginosa statura del protagonista. Guido Davico Bonino Vittorio Gassman e Pamela Villoresi neir«Otello»

Luoghi citati: Cipro, Emilia, Ravenna, Venezia