Enescu, l'Orfeo rumeno di Massimo Mila

Enescu, l'Orfeo rumeno RISCOPRIRE UN CREATORE DELLA MUSICA MODERNA Enescu, l'Orfeo rumeno Fra i centenari musicali dell'anno testé trascorso poco rilievo ha ottenuto, almeno nei nostri Paesi, quello di Giorgio Enescu, fondatore della musica in Romania. Salvo errore, soltanto la Rai l'ha ricordato, oltre a una rapida tournée estiva d'un complesso da camera rumeno a Siena, Montepulciano, Perugia, L'Aquila, Città di Castello ed altri centri minori. eppure, nato il 19 agosto 1881 a Liveni, era stato, per così dire, iscritto d'ufficio nella grande generazione dell'Ottanta che ha creato la musica moderna, e gli si diede il merito d'avere esercitato un'azione paragonabile a quella svolta fra noi da Casella, Malipiero, Pizzetd e Respighi, in Ungheria da Bartók e Kodaly, in Polonia da Szymanowski. Con la differenza che in Romania la musica nuova non usciva da un grande passato — non c'erano stati un Verdi, uno Chopin, un Liszt — ed Enescu, con la ver satilità delle sue multiformi doti musicali, agì come una sorta di Orfeo nazionale: ui creatore della musica. Precocissimo, fu fin da barn bino in contatto col folclore musicale rumeno, e le composizioni con le quali gli avvenne poi di affermarsi nei circoli musicali europei vanno sotto quel segno: un giovanile Poe ma rumeno per orchestra (1897), due Rapsodie rumene ( 1901-1902) che anche in Italia godettero d'una certa fortuna (e stranamente con Quattro dame rumene per pianoforte l'aveva preceduto, nel 1899, un musicista italiano che per certi aspetd gli somiglia, Franco Alfano). Nel fortunato Panorama de la musique contemporaine in cui André Coeuroy tracciava nel 1928, la nascita della musica moderna «som le signe du national», Enescu godeva di altissima considerazione. Quasi trent'anni dopo, neìl'Estbétique de la musique contemporaine di Anto ine Goléa, tragicamente scomparso l'anno scorso, stupiva non poco, conoscendo il rigore quasi fazioso del compianto collega ed amico, trovare Enescu allineato tra le forze motrici della musica moderna, sulla stessa linea d'uno Strawinsky, d'un Manuel de Falla, d'un Bartók. Forse la comune origine nazionale poteva aver fatto velo all'abituale severità del giudizio. A Parigi Perché, nel frattempo, proprio la conoscenza del lavoro scientifico svolto dai due grandi ungheresi nella ricognizione del canto popolare aveva messo in luce i limiti del folclorismo di Enescu, fermo alla concezione pittoresca delle Rapsodie lisztiane. L'Europa lo allontanò presto dalle campagne dove faticano e cantano i contadini balcanici. Non diversamente dal nostro Sinigaglia, le cui Danze piemontesi lasciavano un po' perplesso il pur generoso interprete Toscanini (della suite Piemonte, a lui dedicata, scriveva al Depanis: «E' nuova, sì ma sempre trattasi di quelle tali rapsodie tessute su temi popolari piemontesi, e se stavolta non figurano tra questi Spunta il sol opp. [sic!] Ciao, ciao, ciao, vi troviamo la Violeta ed altre canzoni popolari consimili»), non diversamente da Sinigaglia, dunque, Enescu aveva ricevuto una validissima formazione musicale, dapprima a Vienna, all'ombra di Brahms e alla scuola di Hellmesberger, quartettista e direttore d'orchestra, poi a Parigi, dove si diplomò al Conservatoli e con Massenet, Gédalge e Ambroise Thomas. Lo studio severo gli aveva instillato il culto della grande forma classica, cui pagò tributo con tre Sinfonie (1905, 19131919-21), con due Quartetti (1921, 1952) e due Quartetti con pianoforte ( 1919, 1944), un Ottetto per archi (1900), un Dixtuor per fiati (1906), una Sinfonia concertante per violoncello e orchestra (1901) e tre Sonate per violino e pianoforte di cui la terza ( 1926), «in carattere popolare rumeno», è forse — insieme con la Sinfonia da camera per dodici strumenti (1954) — il saggio più riuscito di contemperamento tra i due principi fondamentaldella sua arte: il folclore e lgrande forma. Con riferimento a questcomposizioni il suo compatriota Constantin Brailoiu. sommmaestro d'etnomusicologiapotè scrivere che, nonostante suo trapianto nell'ambientmusicale francese (divenne, trl'altro, membro straniero del' Instimi, in sostituzione di Cesar Cui), l'impressionismo ltoccò solo superficialment ge o e senza scalfire la sua vocazione per la classica architettura formale. Opinione che meno persuade se invece della musica strumentale si prenda in considerazione il massimo impegno della sua vita creativa, quell'Edipo in quattro atti su libretto che Edmond Fleg trasse dalle tragedie di Sofocle e alla cui composizione Enescu lavorò per diciassette anni a partire dal 1916 Solo nel 1936 esso giunse a rappresentazione, all'Opera di Parigi, senza imporsi in maniera duratura. Talmente dimenticata è ormai quest'opera, indubbiamente imponente, che mette conto di soffermarvi un momento l'attenzione, valendosi della buona incisione procurata dalla Elee (record. Questa «tragedia lirica» si colloca entro la concezione post-wagneriana del dramma musicale. Col Castel di Barbablù di Bartók e col Macbetb di Bloch (pur esso su libretto di Edmond Fleg) costituisce una terna di opere, nei primi decenni del secolo, fondate interamente sopra l'elaborazione di un libero declamato vocale che ha alle spalle quello di Pelléas et Melisande, ma soprattutto quello dell'Ariane et Barbebleue di Dukas, solo in questo senso è valida l'osservazione del Brailoiu: il linguaggio armonico di Debussy e la sua concezione a macchie di colore restano sostanzialmente estranee al classicismo di Ene¬ scu. Nel caso dell'Edipo la libertà del declamato si apre con discrezione a una larvata fecondazione della concezione modale insita nel canto contadino dell'area danubiana: essa sfu ma i contorni della tonalità tradizionale ed alimenta la concretezza d'un melos inventato sulle parole ed avvantaggiato dalla splendida musicalità della lingua rumena. Soffuso d'una lieve tinta mo dale, questo declamato spazia attraverso una vasta gamma espressiva, dal quieto raccoglimento meditativo che era un po' una costante dell'ispirazione di Enescu, alla vigoria di accenti drammatici, all'occorrenza anche enfatici, fino all'urlo individuale e collettivo nella grande scena del terz'atto, dove si fa la luce sugli involontari misfatti di Edipo. Questi scioglie allora un lamento dove si ravvisa una parafrasi di «Dio, mi potevi scagliar tutti i mali» dell'Otello verdiano, sopra un a solo di violoncello (la predilezione di Enescu per questo strumento non si smentisce lungo tutta l'opera), tocchi leggeri di percussione e sommessi, interrotti sospiri del coro (nella cui ricca cornice è calato tutto il dramma). Per Edipo Perché quest'opera ragguardevole, che in certe fioriture di colore esotico a noi italiani ricorda curiosamente alcuni aspetti dell'operismo di Pizzetti (la Pisanella), di Respighi e di Rocca, non si è sostenuta nel repertorio? Intanto, non segna nessuna conquista progressiva del linguaggio musicale, il che potrebbe non essere un fattore determinante ma non poteva fare a meno che. venticinque anni dopo il Castello di Barbablu e trenta dopo Ariane et BarbeUeue. apparisse un poco attardata. Ma v'è un'altra ragione più intrinseca: la drammaticità di cui è garanzia e veicolo la solerzia d'un declamato alieno da indugi strofici, non si stende lungo tutta l'opera in un arco di tensione continua, bensì resta circoscritta all'interno dei singoli quadri (forse per effetto della lunghissima elaborazione creativa). Si aggiunga la relativa uniformità del timbro vocale in un'opera dove, su tredici personaggi, sette sono bassi e baritoni (compreso il protagonista), soltanto due i tenori, in parti brevi, ancorché importanti: quella di Laio, presto tolto di mezzo, e quella del Pastore da cui Edipo era stato salvato infante. Delle quattro voci femminili, soltanto Antigone è soprano, e naturalmente non emerge che nell'ultimo atto. La scrittura orchestrale, che è spesso splendida e dà luogo a calmi preludi e intermezzi di grande finezza, si atrofizza stranamente nel second'atto, lasciando mancare al declamato vocale l'indispensabile integrazione. Altre volte si alimenta di artifici insoliti: nell'ulti mo atto, quando Edipo, guidato da Antigone, si approssima a Colono, la pace della natura che lo sventurato cieco non può più vedere gli-si annuncia attraverso un cinguettio d'usignolo dal vero, come quello di Respighi nei Pini di Roma, che s'insinua nel sereno preludio degli archi e nel coro di benvenuto dei vecchi Ateniesi. Forse mancava ad Enescu un poco di cattiveria per affronta re in modo veramente incisivo un tema così atroce, dal quale l'opera lirica si era sempre tenuta alla larga, con l'eccezione di Strawinsky, che quando vi si accostò lo fece attraverso lo schermo prudenziale dell'ora torio in lingua latina. Enescu modificando nell'ultimo atto la materia dell'Edipo a Colono, volle fare del personaggio un eroe positivo: se il suo è il dramma dell'uomo alle prese col destino, egli ne riesce vitto rioso. Quando va a interrogare la Sfinge, il terzo enigma che gli pone la misteriosa creatura (mezzosoprano) è: «Adesso ri spondi, Edipo, rispondi se l'osi, nell'immenso universo, piccolo per il Destino, rispondi, nomina qualcuno o qualchecosa, che del Destino sia più grande! ». Edipo non ha dubbi: «L'uomo! L'uo mo! L'uomo è più forte che Destino!». Su questa fede è costruito il personaggio di Edipo, che ai Tebani replica fieramente, mentre l'orchestra proclama gran voce il tema della vittoria dell'uomo: «I parricidi siete voi! lo sono innocente, innocente! La mia volontà non intervenne mai nei miei delitti; io ho vinto il destino. Ho vinto il destino!». E conformemente a questa concezione di umanismo positivo, Enescu piega la conclusione sofoclea verso l'ottimismo del lieto fine: all'ultima ora Edipo ricupera la vista invita Teseo a seguirlo nel bosco delle Eumenidi, dove si compirà la suprema riconciliazione. Era un puro, Enescu, uno spirito nobilmente idealista che la realtà offendeva, e perciò gli mancava con essa un saldo contatto. Nel mito di Edipo, vagheggiato lungo un quarto di secolo, volle celebrare con intatto ottimismo la forza dell'uomo. «Vi ho messo tutto me stesso, al punto di identificarmi, a volte, col mio eroe. Non ho voluto farne un dio, ma un essere di carne, come voi e me». Compositore, violinista sommo (pare che le sue esecuzioni delle Sonate e Partite di Bach non avessero l'uguale), direttore d'orchestra, pianista, Enescu poteva ben dire di sé: «Nulla al mondo mi ha avvinto tanto quanto la musica. E' stata la mia verità». Celebrava «la dolcezza del lavoro», questo «grande fattore vitale», il lavoro paziente, quotidiano, costante «Chiudete le porte — ammoniva — ai disturbi esterni. Non vedete che gli amici intimi, ma imponete loro il silenzio, il rispetto dovuto al vostro lavoro, al vostro tempo». Un premio La sua integrità morale era refrattaria al morso dell'ironia, che forse avrebbe potuto allineare la sua musica su posizioni più attuali e conferirle maggior mordente, ma fu la forza dell'uomo pratico, demiurgico fondatore della musica rumena nel clima di fioritura culturale promosso dalla regina Elisabetta, la scrittrice Carmen Sylva. Coi favolosi proventi dei suoi concerti fondò un premio di composizione che porta il suo nome e che dal 1913 laurea i migliori talenti musicali del Paese. Nel 1920 fu tra i fondatori, e primo presidente, della Società dei compositori rume ni. Attivo nella lotta contro l'hitlerismo, divenne membro dell'Accademia della Repubblica Popolare di Romania e fu deputato della Grande Assem blea Nazionale. Alle istituzioni musicali da lui fondate altre ne aggiunse lo Stato dopo la sua morte a Pari gi nel 1955, istituendo nel suo nome una borsa di studio e un concorso-festival internaziona le che dal 1958 ha luogo ogni tre anni a Bucarest. Se in patria, dunque, la sopravvivenza del suo nome è assicurata dai risultati della sua attività, all'è stero non sarebbe male che. nella fame di programmi nuovi generata dall'accresciuto consumo musicale, qualcuno si ri cordasse delle sue opere per proporle all'ascolto di un pub blico medio, non teso alle mete dell'avanguardia, ma desideroso di nobile edificazione spirituale, fondata nella garanzia della più collaudata solidità professionale. Massimo Mila Giorgio Enescu (a sinistra) col violinista Yehudi Menuhin