Pescatori in prima linea di Francesco Fornari

Pescatori in prima linea If Canale di Sicilia sembra ormai trasformato in un campo di battaglia Pescatori in prima linea Ieri un battello di Mazara è stato salvato dall'abbordaggio tunisino da una motovedetta della nostra Marina militare - I continui sequestri di natanti e le grosse somme che gli armatori devono pagare per riscattarli - La manodopera africana DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MAZARA DEL VALLO — La scorsa notte il peschereccio «Prudentia», con dodici uomini d'equipaggio, mentre calava le reti in acque libere, 7-8 miglia ad Est del «Mammellone», è stato intercettato da una vedetta tunisina. Il consueto rituale: il tentativo di fuga, una raffica di mitraglia che spazza il ponte, l'inseguimento. Stavolta, però, per il peschereccio mazarese la sorte è stata amica. Il suo S.O.S lanciato per radio, oltre che da altre battelli, è stato sentito da una vedetta della nostra Marina che, forzando le macchine, è riuscita a raggiungerlo prima che i marinai tunisini salissero a bordo. L'imbarcazione di Tunisi si è allontanata, il «Prudentia», scortato dalla nostra unita militare, si è spostato in una zòna più lontana, riprendendo la pesca. La notizia ieri mattina, in piazza Regina, era sulla bocca di tutti. mHanno avuto fortuna — dice l'armatore Giuseppe Sardo — ; il 7 gennaio, una delle mie due barche, la 'Nuovo Cheope', è stata bloccata e sequestrata nello stesso posto. Adesso è in un porto tunisino. Anche allora è arrivata una nostra nave militare, ma i tunisini erano già a bordo, con le armi spianate contro l'equi paggio». Giuseppe Sardo adesso aspetta che gli venga notificata la richiesta del riscatto per riavere la propria barca. •Erano in acque libere — ri pete con rabbia —, ma i tunisini se ne fregano, tanto il nostro governo non fa nulla per proteggerci. Quando c'era an cora il trattato per la pesca tra i due Paesi, le cose andavano un po' meglio. Adesso siamo in loro balia: i tunisini fanno quello che vogliono e noi siamo indifesi. A noi armatori tocca la sorte peggiore: adesso dovrò trovare i soldi per riscattare la mia barca. Dovrò chiederli in prestito alle banche, gli interessi passivi si mangeranno tutto il guadagno di quest'anno e forse anche degli anni a venire». Nell'Associazione liberi armatori si respira aria infuocata. «/I governo di Tunisi vuole costringere l'Italia a stilare il nuovo trattato secondo i suoi desideri — tuona il presidente Adamo Santo — ed sequestra le barche per forzare la mano ai signori di Roma che, invece di intervenire, avviare le trattative, si limitano a consigliarci di fare attenzione, di non sconfinare. Ma quelli ci vengono a prendere anche in acque internazionali». Il vecchio trattato è scaduto da quasi tre anni. Sembra che ai due miliardi e mezzo che lo Stato italiano pagava ogni anno in cambio di ottanta permessi di pesca tra le 6 e le 12 miglia, ora le autorità di Tunisi vogliano un'aggiunta. Si parla di 40 mila tonnellate di olio che vorrebbero venderci e la creazione di società miste italo-tunisine per la pesca. •Noi alle società miste saremmo anche d'accordo — dice il presidente dell'associazione —, ma vorremmo qualche garanzia dal governo». Secondo Tunisi, le società dovrebbero essere per il 51 per cento tunisine. «Questo significa che noi saremmo in minoranza, pur mettendo a disposizione tutta l'attrezzatura. E'un contratto-capestro che non ci tutela, se le cose andassero male finiremmo col rimetterci anche le barche. C'è poi un'altra questione: i tunisini vorrebbero che tutto il pescato venisse venduto sui loro mercati, dove le quotazioni sono più basse. Noi — dice Santo — lo vogliamo vendere dove il profitto è maggiore. Non facciamo mica della be¬ neficenza, lavoriamo per vivere». C'è gran fermento nel porto di Mazara, si parla di uno sciopero generale, qualcuno nei giorni scorsi ha addirittura proposto che tutti i tunisini che lavorano a Mazara siano rinviati al loro Paese. Una misura di ritorsione che oggi viene respinta dalla maggioranza. «Se qualcuno l'ha detto — dice l'armatore Mario Passalacqua — ha parlato in un momento dira. Qui i tunisini stanno bene, nessuno ce l'ha con loro. Lavorano con noi, sono ben pagati e ben trattati. Sono quasi indispensabili, perché è sempre più difficile trovare marinai: i giovani preferiscono cercare altri lavori, vanno all'estero. I pericoli del mare, la paura delle vedette li stanno allontanando da questo mestiere». Mario Passalacqua fa il pescatore da ventotto anni: capitano del suo peschereccio, il «Maria Caterina», vecchio di sei lustri, comperato a cambiali. «Quattro anni fa — dice — siamo stati attaccati da una vedetta tunisina. Ci hanno preso a cannonate. Mio fratello Francesco, padre di sei figli, è morto, lo ho una pallottola nella spalla: non me la possono togliere, altrimenti rischio di perdere l'uso del braccio. Sulla mia barca ci sono dei pescatori tunisini: mangiano con noi, sono amici. Dividono le nostre stesse ansie, le nostre paure. Gli stessi pericoli». A Mazara vivono circa 5 mila tunisini, tutti nel vecchio quartiere arabg della città. Dice il sindaco Nicolò Veglia: • Mazara è la città più tunisina d'Italia. Il Comune ha messo a disposizione di questa comunità aule scolastiche, è allo studio la costruzione di una moschea. Non ci sono rivalità tra loro e noi. E' gente che lavora, bene integrata». Quello del pescatore è un lavoro duro e i profitti sono magri. Ogni marinaio riceve infatti soltanto una percentuale sul pescato. La prassi è questa: dal ricavato della vendita si tolgono tutte le spese comuni (gasolio, viveri, cassette, ghiaccio), poi si divide. Il 51 per cento tra l'equipaggio, con carature maggiori per il capitano e i capiservizio, il 49 per cento all'armatore (che ha a suo carico le spese di manutenzione, le riparazioni, i contributi). Ai marinai viene anche riconosciuto un premio (la «muccigna») per ogni «bordata» di pesca (per «bordata» s'intende il periodo di permanenza in mare) di circa 40-50 mila lire e una cassetta di pesce pregiato. Alla fine del mese, un marinaio si trova in tasca più o meno 800 mila lire, che sono poche se si considera che in mare si lavora ventiquattro ore su ventiquattro e che fra un'uscita e l'altra c'è un riposo di un paio di giorni al massimo. •Io ho due barche — dice Adamo Santo —; su una lavoro come capitano, sull'altra ci sono i miei fratelli. Le abbiamo acquistate a rate: barche che hanno più di dieci anni (soltanto una sessantina di pescherecci, su una flottiglia di circa 400, sono più recenti — Ndr), che hanno sempre bisogno di riparazioni». Si guadagna poco, si lavora molto e con tanta paura. «Per questo — dice il presidente dell'Associazione liberi armatori — noi vorremmo che invece di dare contributi per la costruzione di nuovi pescherecci, il governo aiutasse gli armatori a rinnovare la flotta esistente. Ci sono già troppe barche in mare, alcune non sono quasi più in grado di navigare, non è il caso di aggiungerne altre». Francesco Fornari

Persone citate: Adamo Santo, Giuseppe Sardo, Maria Caterina, Mario Passalacqua, Nicolò Veglia

Luoghi citati: Italia, Roma, Sicilia, Tunisi