Lassù, nei paesi senza figli di Giorgio Martinat

Lassù, nei paesi senza figli Viaggio tra i vinti, sulle montagne dove non arriva ancora lo skilift Lassù, nei paesi senza figli Marinesio, in Val Maira, ha quattro abitanti: il più giovane ha 58 anni - «Una volta eravamo troppi, 10 per casa. Adesso siamo rimasti i più sciocchi» - «In autunno dobbiamo far provvista di tutto, perché può capitare di restare isolati sotto la neve, come nel 76, per due settimane» - Il confronto con la Val Passiria, salvata dal turismo DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MERANO — La prima, remota radice della fattorìa è in questa cantina che sprofonda nel terreno e nel tempo. Angusta le basse volte a botte coperte di salnitro, ha più di mille anni, fu costruita quando Lotario teneva la fetta d'impero al di qua del Rodano e delle Alpi. Attorno a questo primo nucleo, di generazione in generazione le fondamenta si sono allargate e ora lo scantinato è enorme, vi troneggiano botti alte quattro metri, di rovere scolpito. Sulla più estesa campeggia l'aquila tirolese che, come ricorda l'antica strofa incisa sotto le ali spiegate, è rossa non soltanto dei raggi del sole e del sangue dei nemici, ma anche del fuoco del vino. E Giorgio Menz, paffuto, rubicondo e cordiale, di vino è grande intenditore e produttore onestissimo. Mi hanno detto: «Se vuol capire come si può viver sulla montagna per generazioni, vada da Giorgio Mem a Marlengo, in Val Passiria.» Ed ecco, a pochi chilometri da Merano, montagna prospera, con floridi campi e conto in banca. Ma Giorgio Menz ha anche le mani callose di chi continua a piegare la schiena sulla terra. Indossa, come il figlio, il grembiule blu che qui è l'uniforme di lavoro dei contadini e per venire all'appuntamento ha interrotto la sua fatica quotidiana. •Anche su queste montagne —dice — la vita è dura e per resistere ci sono voluti molti sacrifici. Non è sempre stato come oggi. Né è dovunque come qui: Parla dei casolari più alti, al limite delle nevi perenni, del Maso Gelato a 1800 metri in Val di Fosse: 'Fino a qualche tempo fa era abitato tutto l'anno. Ora ci vanno solo d'estate, tengono un po' di mucche, di capre, di pecore e un bar per i turisti che si spingono fin lassù, perché il posto è splendido». Anche queste vallate hanno conosciuto emigrazione e abbandono: •Specialmente dopo la prima guerra mondiale. Dalla Val d'Ultimo e dalla Val di Non, tanto per fare due esempi, sono partiti a centinaia per l'America. Ma quasi esclusivamente braccianti e artigiani. I contadini sono stati gli ultimi ad andarsene. Pochissimi. Anche dagli alti masi, sopra i 1500, i 1600 metri. Dove la miseria, mi creda, c'era davvero, si viveva di minestra d'orso o di patate, si trasportava tutto sulle spalle e, se andava bene, con il cavallo. Forse non è soltanto un'invenzione la storia della famiglia che la domenica andava a Messa a turno perché non c'erano scarpe per tutti. Ma anche i pochi contadini che sono partiti, lo han fatto per raggranellare qualche soldo, tornare e comperarsi un altro campo per ingrandire il maso». Certo, a tenere la gente aggrappata a queste montagne hanno contribuito molti fattori. Chiedo:'Anche un certo orgoglio nazionalistico, dopo la conquista italiana?: Giorgio Menz, che ha avuto uno zio ucciso dai fascisti durante una manifestazione irredentistica, nel '22, scuote il capo: •Sapevano che sulla loro terra erano qualcuno, in pianura non sarebbe ero stati nessuno». Ma di sicuro, nel secondo dopoguerra, calcolo politico e calcolo economico si sono me scolati, negii interventi della Provincia di Bolzano. Incoraggiare l'industria voleva dire lo snaturamento etnico, favorire l'agricoltura signficava mantenere saldamente il controllo del territorio e, con esso, delle tradizioni e del sentimento popolare. Cosi, si è fatto di tutto per aiutare i montanari a resistere, fino al momento del decollo economico. «72 benessere — dice Menz — qui è venuto con il boom degli Anni Sessanta. Lo ha portato il turismo. Sema turismo queste sarebbero ancora montagne povere come, al di là del confine, la Stiria». Ma si è im¬ pedito che fosse un turismo di rapina. In Val Badia, ad esempio, è nato forse il più bello ed ampio comprensorio sciistico delle Alpi, ma il capoluogo. Cor/ara. non ha perso le caratteristiche del borgo di montagna: pochi nuovi edifici, e alti al massimo tre piani; scoraggiata ovunque la costruzione dei mostruosi condomini e della seconda casa, si è promosso invece l'agriturismo. Con il risultato di mantenere un saldo controllo del territorio e di non deturpare l'ambiente. Dice Giorgio Menz: -Il mio reddito principale non viene dai campi, ma proprio dal turismo». Il vecchio maso si è ingrandito, è diventato più caldo e confortevole, addirittura elegante con le pareti rivestite di legno: •Ora ho undici stanze a disposizione degli ospiti, ciascuna con il suo piccolo bagno; ho costruito una piscina sull'aia, offro un letto e la prima colazione per novemila lire il giorno, i pasti a richiesta per cinquemila lire l'uno e ogni estate ho dai venti ai venticinque ospiti, con prenotazioni fino al 1983». Dovunque, in Alto Adige, si trovano sistemazioni come questa, che non hanno nulla da invidiare all'ospitalità di un dignitosissimo albergo. Con attorno una natura sufficientemente rispettata: -Molti, prima di prenotare, mi chiedono se abbiamo la stalla. Perché i bambini di città raramente hanno occasione vedere animali». E i piccoli cavalli avelignesi con coda e criniera biondissime sul mantello bronzeo, le mucche pazienti, capre e pecore fanno parte della vacanza, dove un antico modo divita è stato saggiamente conciliato con lo sviluppo economico. Ora il sole cala dietro le vette, sull'altopiano di Avelengo si accendono migliaia di luci, testimoni di una montagna popolosa e ricca, gli slanciati campanili gotici si profilano nel crepuscolo. E anche qui si si impone il confronto con la montagna più desolata, con i dodici campanili della Val Maira, alcuni di quattro o cinquecento anni fa, bellissimi nella nuda semplicità romanica: ricordo di un passato non lontano, quando anche questa valle era, se non ricca, popolosa, echeggiante di voci infantili. Ora stanno muti e tristi, vegliando il lento sbriciolarsi dei muri delle case abbandonate. Come quello di Stroppo, media valle, millecento metri di altitudine: «Qui — dice Elisabetta Einaudi, 57 anni, che vive con il marito Andrea Peirona. 70 anni, nella borgata Marinesio — quando ero bambina c'erno almeno cinquecento abitanti e una cinquantina di scolare nelle elementari. Ricordo le veglie nella stalla fino a mezzanotte, si cantava, si rideva, si raccontavano storie. Allora l'inverno non faceva paura». Il parroco, don Marino, ricorda l'oratorio affollato di giovani, la sfrenata allegria, le epiche risse di osteria, senza cattiveria, per sfogare le energie esuberanti. Sotto il campanile romanico, ora la piazza è silenziosa e deserta nell'aria di cristallo, si sente solo il chiocciare dell'acqua nell'antica fontana di pietra. « Siamo rimasti in quattro, a Marinesio — dice Elisabetta Einaudi — tutti suppergiù della nostra età». Il più giovane, Costanzo Chielva, 58 anni, aggiunge: -Li pi fot, i più sciocchi, siamo rimasti. Una volta eravamo troppi, dieci per casa. A vent'anni, con mio fratello, abbiamo messo i biglietti nel cappello per tirare chi doveva andar via. Ha vinto lui ed è partito per Parigi. A badare al vecchio e alle bestie sono rimasto io. E ora sono solo». Gira gli occhi sulle finestre chiuse, enumera i morti in guerra, i dispersi in Russia, gli emigrati in America, in Francia, o nelle fabbriche della grande città. • In autunno — dice Gianinottu Abello della borgata Cucchiales — facciamo provvista di tutto, riempiamo la dispensa. Perché può accadere, come nel 76, di restare isolati sotto la neve, magari per un paio di settimane. Veniva l'elicottero a buttare i pacchi, ma sprofondavano e non si trovavano più». Dice Chielva: • Viene l'inverno e bisogna arrampicarsi lassù, sul tetto, a spalare la neve. Ma a settantanni chi si avventura più? Cosi si resta nelle case che scricchiolano e gemono sotto il peso come fossero vive. Due anni fa, un paio di tetti sono crollati sulla testa della gente». Ho ripensato, in Val Maira, alle solide case calde, confortevoli, della Val Passiria, alle luci dell'altopiano di Avelengo e ho guardato le mura sbrecciate di pietra chi mi circondano, rivelando un'antica intimità ormai disseccata dal sole e dal vento che entrano da padroni nelle stanze. Perché due destini cosi diversi? Che cosa non è stato fatto per questa gente, per queste vallate? Giorgio Martinat Dove il turismo non ha portato il benessere, rimangono solo i vecchi a coltivare i campi