Ginevra, capitale dell'utopia di Alfredo Venturi

Ginevra, capitale dell'utopia I segreti della città dove Stati Uniti e Unione Sovietica discutono sugli euromissili Ginevra, capitale dell'utopia I duecentomila abitanti vivono nell'orbita delle Nazioni Unite e degli organismi internazionali - Raramente però la superdiplomazia ginevrina ha raggiunto risultati concreti - Centomila visitatori all'anno al Palais des Nations - Banche, mercanti d'arte e gioiellieri fanno affari di miliardi - La leggendaria segretezza elvetica DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE GINEVRA — Dicono i visionari che lo spirito di JeanJacques Rousseau si aggira volentieri fra gli alberi centenari del Pare de l'Ariana, sulle aiuole impeccabili che sovrastano il lago, di fronte al gigantesco complesso sul quale sventola la bandiera azzurra delle Nazioni Unite. Non si vede, del resto, dove altro il fantasma di Rousseau potrebbe ritrovare se stesso, se non in questa Versailles diplomatica. Non di certo nel centro della sua Ginevra rigurgitante di denaro, dove semmai si può immaginare lo spirito di un altro illustre ginevrino, il banchiere Jacques Necker. Mentre la figlia di Necker, madame de Stael, è più facilmente inquadrabile fra le cento gallerie d'arte di questa citta danarosa ma anche colta, i maligni dicono colta perché danarosa, attribuendo allo sviluppo delle arti niente più, o poco più, che una corsa all'investimento avveduto. Più difficile collocare, nella Ginevra d'oggi, lo spirito austero di Calvino che fece di questa citta una repubblica teocratica: anche se si considera estensibile ai luoghi, e alla vicenda storica, quella teoria della predestinazione che il riformatore francese applicò agli uomini, e alla vicenda individuale. Certo che oggi è difficile immaginare Ginevra — dove proprio oggi riprendono le trattative sugli euromissili — prescindendo dal suo ruolo di capitale della diplomazia multilaterale. Ruolo che divide con New York, dove hanno sede l'Assemblea generale, il Consiglio di sicurezza e il Segretariato delle Nazioni Unite: ma New York è tante altre cose insieme, in quella dimensione metropolitana il Palazzo di Vetro finisce col diluire il suo significato. Qui, nella città lacustre che non arriva ai duecentomila abitanti, la presenza del Palais des Nations è massiccia e incombente, le migliaia di funzionari arrivati dai cinque continenti sono davvero folla. E poi Ginevra internazionale ha ormai una sua storia. Internazionale lo è da sempre, con questa sua posizione al centro dell'Europa occiden tale, punto d'incontro delle sue componenti latine e germaniche. Cosi, quando all'indomani della prima guerra mondiale si pensò di collocare a Ginevra la Società della Nazioni, parve abbastanza naturale scartare le soluzioni alternative: Parigi, Versailles, Bruxelles. Non era forse anche per il contributo del ginevrino Rousseau che si era diffusa l'idea di una possibile democrazia universale? E non era stato il ginevrino Henri Dunant, sconvolto dalla visione del campo di battaglia di Solferino, che aveva dato vita a quella prima organizzazione internazionale, la Croce Rossa? Naturale quindi che nel 1920 sir Eric Drummond e i suoi primi funzionari s'installino nelle sale dell'Hotel National sul quai du Mont Blanc, per avviare il disegno di pace scaturito dalla guerra. Oggi il vecchio albergo e il lungolago sono entrambi intitolati a Woodrow Wilson, che aveva voluto la Società delle Nazioni per poi esserne escluso dall'isolazionismo americano. Negli Anni Quaranta la nuova organizzazione, le Nazioni Unite, prende il posto della vecchia, frustrata dai totalitarismi del precedente decennio. E' qui, nel Palais des Nations al Pare de l'Ariana, che nel '46 si tiene l'ultima riunione della Lega delle Nazioni. Un veterano, lord Robert Cecil, riassume il senso della transizione: «La Lega è morta, viva l'Onu!». Qualcuno ricorda con amarezza la conferenza del disarmo del '32. alla quale sono seguite le guerre più sanguinose della storia. Ma l'utopia è tenace, e non sempre resta sulla carta. E' da queste parti che vengono affrontati alcuni fra i più inestricabili nodi del dopoguerra: l'Indocina, la Corea, l'Algeria, Cipro. Ancora qui a Ginevra, lo scorso 30 novembre, i delegati degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica hanno avviato la trattativa sui missili nucleari destinati al «teatro» europeo. Le due delegazioni si sono già riunite sei volte, nel più ermetico riserbo. La macchina diplomatica ginevrina è imponente. Oltre all'ufficio europeo delle Nazioni Unite, che nonostante il nome ha competenza planetaria: vi fanno capo le tematiche del disarmo e dei diritti dell'uomo, sono installati al Palais des Nations la Com¬ missione economica per l'Europa e l'Alto commissariato per i rifugiati. Lavorano al Palais tremila funzionari a tempo pieno. Ma altre migliaia di funzionari operano nelle agenzie Onu che hanno a Ginevra la loro sede principale, come l'Organizzazione internazionale del lavoro. l'Organizzazione mondiale della sanità, l'Unione internazionale delle telecomunicazioni, l'Accordo generale sulle tariffe e il commercio, l'Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale. Ci sono poi le rappresentanze delle altre agenzie, le missioni permanenti dei Paesi membri, numerose organizzazioni distinte dall'Onu: come la Croce Rossa, l'Efta, l'Opec. Centomila persone visitano ogni anno il grande complesso del Palais des Nations. Con guide in molte lingue, possono ammirare le trenta sale di riunione, ognuna delle quali con materiali e decorazioni provenienti da questo o quel Paese membro. La biblioteca che custodisce seicentomila volumi. Il bel parco di ventidue ettari che una famiglia del patriziato ginevrino, i Revilliod de la Rive, donò alla città verso la fine dell'altro secolo. A una condizione: che vi si continuassero a allevare quei pavoni che infatti è facile incontrare, quando ci si aggira per il parco alla ricerca dello spirito di Rousseau. L'Ariana giace su un rilievo da cui si domina il lago: sullo sfondo la catena delle Alpi. Davanti al corpo centrale del¬ l'edificio, nella corte d'onore del palazzo, c'è la sfera armillare. E' una scultura in bronzo dorato che la fondazione Wilson donò alla Società delle Nazioni. Realizzata dallo scultore americano Paul Manship. fusa dall'italiano Bruno Bearzi, riporta i segni zodiacali e riproduce la rotazione terrestre. In una sede votata ai più calibrati equilibri, non potrebbe mancare, accanto al monumento americano, il sovietico. C'è infatti nel parco l'idealizzazione plastica della conquista degli spazi: slanciata realizzazione di Alexandr Kolchin e Yuri Neroda. Cosi Ginevra, città dei gioiellieri e dei conti numerati, paradiso di sceicchi miliardari e appassionati d'arte (le collezioni di Oscar Ghez, al Petit Palais, sono visita d'obbligo per chiunque ami la pittura fra l'Impressionismo e il Novecento), vive la sua dimensione internazionale. Che paradossalmente consiste nell'ospitare gli uffici di un'organizzazione, le Nazioni Unite, di cui la Svizzera non fa parte. La coesistenza della città e dei suoi ospiti a volte attraversa zone d'ombra: può capitare di raccogliere lamenti sull'indisponibilità di alloggi, sui prezzi alle stelle. Ma è facile rispondere che l'industria della diplomazia giova a Ginevra molto più di quel che gli costi. Racconta Jean Ziegler, deputato socialista di qui, crìtico acceso della vocazione mercantile-bancaria del suo Paese (Una Svizzera al di sopra dì ogni sospetto), che le banche ginevrine sulla riva sinistra del Rodano hanno costruito, per custodire oro. denaro, gioielli di ogni provenienza, fino a cinque piani sotterranei. Cosi che si è raggiunta la falda, e masse d'acqua spostate dai bunker sgretolano le fondamenta delle case circostanti. Tutto ciò grazie alla leggendaria riservatezza dei banchieri elvetici, a quello che Ziegler definisce il «sistema della ricettazione». Comunque si vogliano valutare questi fenomeni e questi apprezzamenti, è un fatto che la multicolore presenza dell'Onu corregge l'immagine della città. Se Ginevra non è soltanto un ben custodito f orzie re, lo deve proprio alla bandiera azzurra delle Nazioni Unite. Alfredo Venturi