Berlino, laboratorio del malessere di Sandro Doglio

Berlino, laboratorio del malessere La città-isola dove esplodono i problemi e le contraddizioni della Germania occidentale Berlino, laboratorio del malessere In apparenza la ricchezza e gli affari sono ancora quelli degli anni del «boom» - Il muro separa le «vetrine» di due universi ideologici e sociali, e nel confronto l'Est esce schiacciato - Ma anche nel settore Ovest covano motivi di inquietudine - Le difficoltà più gravi derivano dalla mancanza di case - Duecento edifici sono occupati abusivamente - Dopo sanguinosi incidenti, le autorità non osano farli sgomberare DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BERLINO — Riprendendo un vecchio modo di dire, i tedeschi sostengono che quando la Germania sternutisce, Berlino ha almeno la polmonite. Annegata nella neve, con i viali densi di traffico, splendenti di luci e di vetrine colme di ogni ben di Dio, le birrerie gremite a ogni ora del giorno; con il caffè Kranzler che continua a offrire ai clienti la scelta in un assortimento di trecento tipi di torte, l'aeroporto che sforna e inghiotte ogni giorno migliaia di passeggeri, Berlino oggi non sembra neppure ammalata. Eppure gli esperti, citando statistiche, sostengono che non è più la Berlino di dieci anni fa, quando aveva successo ogni sforzo fatto dal governo federale e dagli stessi tedeschi per rendere la citta più bella, più ricca, più attiva: e Berlino era di fatto una permanente rassegna di benessere e di prosperità da contrapporre alla metropoli comunista, grigia e triste al di la del muro. Chi lavora a Berlino ancora oggi guadagna più che nel resto della Germania : ha diritto infatti a una speciale indennità pari all'otto per cento dello stipendio o del salario, concessa come contributo per i disagi costituiti dal vivere in quest'isola di occidente in mezzo al mare della Germania comunista. I giovani di Berlino hanno il diritto di non fare il militare: vengono a centinaia dalle altre città alla vigilia della chiamata alle armi, per non dover portare la divisa devono restarci dieci anni, impegnati in un lavoro o in studi. Ma pare che le provvidenze e le agevolazioni offerte a chi sceglie Berlino Ovest come residenza o luogo di lavoro non abbiano più l'attrattiva di qualche anno fa: «/{ solo modo di rilanciare questa città; mi dice uno degli esponenti del Senato locale, •< trovare il modo di farla final mente diventare la capitale della Repubblica federale Non è un traguardo a portata di mano. Tornare a Berlino è sempre una lezione di storia. Altrove in Germania nessuno vuole ricordare la guerra, ma qui è impossibile sfuggire all'arcano fascino di ciò che è stato. Ogni mezzogiorno sulla torre della Rathaus suona la «campana della libertà», regalata nel 1950 ai berlinesi dagli americani. Qua e là sventolano affiancate le bandiere delle quattro potenze (Stati Uniti, Urss, Gran Bretagna e Francia) che hanno vinto la guerra. Alla quadriga ricostruita sulla porta di Brandeburgo i tedeschi dell'Est hanno imposto che venissero tolte l'aquila imperiale offerta dal Kaiser e la croce di ferro appostavi da Hitler. Agli aerei delle compagnie tedesche è tuttora vietato l'atterraggio negli aeroporti di Berlino. Al «Flohmarkt» — il mercato delle pulci ospitato in vecchie vetture della metropolitana, in una stazione abbandonata sulla Nollendorfplatz — si trovano montagne di oggetti fine-secolo e liberty, ma forse per pudore, non c'è neppure una croce uncinata o un qualunque altro oggetto-ri' cordo del nazismo. In fondo alla Kurfuerstendamm, dei ruderi di una chiesa distrutta dai bombardamenti hanno fatto un suggestivo monu mento; sulla Un ter den Un den a Berlino Est (dicono in occidente che i fiori dei tigli che hanno dato nome alla ce lebre strada hanno da tren t'anni un cattivo odore), il sa erario dedicato un tempo ai caduti nazisti è diventato sacrario per la vittoria sul nazifascismo. E davanti montano la guardia militari della Germania comunista che marciaI no tuttora con il passo del I l'oca. Città-difficile, dalle mille contraddizioni. La rete sotterranea della metropolitana è gestita dagli occidentali, quella sopraelevata è invece proprietà dei comunisti: entrambe attraversano le due Berlino passando sotto o nei varchi del muro. Le fognature di Berlino occidentale si scaricano nella Berlino comunista; la rete di acqua potabile si rifornisce tutta all'Est. I comunisti raccolgono e distruggono tutte le immondizie dell'Ovest, ma lasciano passare nei «corridoi autostradali» che permettono i collegamenti della città con la Repubbli¬ ca federale, mille autocarri al giorno che assicurano con il vitto ogni cosa necessaria alla vita, allo sviluppo, alle attività di Berlino Ovest. I tedeschi occidentali «comprano» — con valuta pregiata e carichi di prodotti alimentari (soprattutto arance, è curioso) — i tedeschi dell'Est che sono condannati per crìmini politici e che cosi possono essere «espulsi» in occidente. Gli abitanti dei numeri pari della Betnunienstrasse sono tedeschi dell'Est; quelli dei numeri disparì sono tedeschi dell'Ovest: il famigerato muro — dall'aereo è come un ser¬ pente bianco fra le case e i parchi e i laghi: è lungo in città 61 chilometri — taglia 277 strade. Ma andare dall'altra parte non è più un problema: basta prendere la metropolitana, scendere alla Priedrickstrasse, rassegnarsi a un minuzioso esame del passaporto, fare una coda, comperare per venticinque marchi occidentali altrettanti marchi orientali che in realtà valgono cinque volte meno. Il confronto fra le due città continua a sbigottire: la differenza fra due sistemi di vita è palpabile, nonostante gli sforzi evidenti fatti dal regi¬ mlisibtumnoalodtvzv(tc me comunista per fare di Berlino Est una «vetrina» per i visitatori che vengono dalla libertà. Impressionano soprattutto la povertà dei negozi alimentari e le interminabili onnipresenti code di persone in ordinata e paziente fila per acquistare un quarto di cavolo o due-carote-due. Le hostesses in divisa verde, dal belvedere della torre della tv comunista (alta 360 metri: vuole essere simbolo di potenza e di arditezza), indicano ai visitatori la Karl Marx AUee (dimenticando di dire che un tempo il viale si era anche chiamato Stalin AUee), la Aie- xanderplatz (dove, sottolineano, si trova «non a caso» la più lunga panchina del mondo: 127 metri), il gigantesco «Interhotel» con le sue duemila camere. Se lo sguardo si volge a occidente — come è inevitabile — le hostesses si affrettano a indicare il quartiere dove è oggi più ruggente la contestazione giovanile della Germania occidentale: i duecento edifici occupati ormal stabilmente dagli «squatters». «Squatters» è parola inglese, che significa «oceupatore abusivo di luogo pubblico». In Australia erano «squatters» i primi europei arrivati, che avevano diritto di acquisto a basso prezzo dei terreni occupati. Oggi sono «squatters» i giovani che, per protesta o nel tentativo di sottolineare in modo plateale il problema degli alloggi, occupano gii appartamenti disabitati. E' un fenomeno non nuovo; in Olanda — dove si chiamano •krackers» — i primi occupatoli abusivi sono nati dal movimento dei «provos», negli Anni Sessanta. Recentemente ci sono stati «squatters» anche a Parigi, cosi come ci sono in alcune città d'Italia. A Berlino esistono dal 1970. Presi all'inizio un po' sottogamba, quasi tollerati, oggi rappresentano un f e nomeno di cui si parla in tutta la Germania per sottolineare «a che punto è giunta la crisi edilizia: Strauss li ha definiti "il nucleo di un nuovo movimento terrorista: Il borgomastro democri stiano di Berlino, von Weizsaecher, ha ottenuto senten ze di sfratto che nessuno però esegue; i s incada ti socialisti approvano gli sfratti. Il vescovo evangelico di Berlino so¬ stiene la causa dei giovani; il partito comunista li appoggia. E tutti stanno ad aspettare che cosa succederà. Intanto gli «squatters» — attirandosi dai loro stessi compagni contestatori l'accusa di •essere troppo burocratizzati. — si sono organizzati e possono contare su specialisti che riescono a collegare i loro appartamenti con la rete elettrica e a rifornirli di acqua potabile. La protesta degli «squatters» berlinesi rappresenta la parte visibile del gigantesco iceberg costituito dal problema della casa nella Germania occidentale: l'industria edilizia — anche qui è l'ago più sensibile nel registrare la crisi economica — è praticamente ferma. Si dà la colpa in gran parte alla legge fiscale tedesca che permette di detrarre •soltanto una piccola parte» dei marchi spesi per costruire la casa dalla denuncia de'.v tasse. Oggi la legge consente di detrarre il 3,5 per cento all'anno (per 12 anni) della spesa edilizia, e poi il 2 per cento per altri vent'anni e poi l'uno per cento per diciotto anni ancora. Una proposta di legge firmata dai liberali e dai democristiani modifica questi importi: 5 per cento per otto anni, 2,5 per sei anni e 1,25 per cento per 36 anni. Si sostiene che con queste maggiori detrazioni si potrebbe rilanciare l'industria delle costruzioni. Ugualmente negativi sono considerati i vincoli dei padroni di casa nei confronti degli affittuari: aumenti con il contagocce e praticamente nessuna possibilità di poter liberare gli alloggi affittati. Gli «squatters» di Berlino, in un certo senso, sono oggi considerati «alleati» dai padroni di casa: si spera che possano contribuire a convincere il governo a rilanciare l'industria edilizia. Non è la sola contraddizione di questa Germania che è «coinvolta nella zona delle turbolenze economiche», ma che lotta per uscirne con strumenti e battaglie che a noi possono apparire inconsueti. Sandro Doglio Berlino. Una recente immagine dei disordini in città tra polizia e giovani che avevano abusivamente occupato alcune case (Tel. Upi)

Persone citate: Hitler, Kaiser, Karl Marx, Rathaus, Stalin Auee, Strauss