Testimoni oculari della tragedia Inca di Francesco Rosso

Testimoni oculari della tragedia Inca ALTRE VERITÀ SUI «CONQUISTATORI» Testimoni oculari della tragedia Inca Il recupero delle civiltà indie sudamericane ci viene proposto con la pubblicazione quasi incalzante di opere storiche, o romanzate, tanto che si potrebbe pensare a un mea culpa recitato dall'Europa, Spagna in testa, per il sanguinario colonialismo, rivestito di Cristianesimo, che fu praticato nel Nuovo Mondo. La storia dei Conquistatori del Messico e del Perù è stata narrata da infiniti scrittori che hanno sempre attinto dalle opere di cronisti con tem poranei alla Conquista, o di poco posteriori. Si è trattato, per lo più, di rifacimenti e, spesso, d'interpretazioni personalissime. In Nascita e morte degli Incas (Rizzoli) Luisa Pranzetti ha scelto invece con profonda conoscenza, e li ha tradotti limpidamente, brani dalle opere di meticci ed avventurieri che furono al seguito di Francisco Pizarro. Testimoni oculari degli eventi, oppure annotatori delle testimonianze dirette degli Incas che vissero la tragedia della conquista, essi ci hanno lascia to documenti sconvolgenti su quei fatti che cambiarono la fi sionomia del mondo. Un affascinante saggio di Pietro Citati introduce nel misterioso universo degli Incas. Senza alterarlo, Citati interpreta Garcilaso de la Vega, el Inca, il più suggestivo e autorevole cronista dell'atroce, disumana conquista del Perù. Ed altri cronisti, contemporanei agli avvenimenti o di poco posteriori, hanno espresso severi giudizi su Francisco Pizarro, il loro comandante. Con divisione quasi merceologica, i capitoli tratti dalle opere spagnole descrivono il mondo, la società, la vita quo tidiana, la religione degli Incas. Raccontano che alla morte del sovrano sacrificavano numerosi bambini; che per altri monarchi furono seppelliti, con le mummie, tutti i cortigiani. A cercare affinità fra le teogonie incaiche e quelle di altri popoli, più antichi e di altri continenti, c'è da perdersi. I massi ciclopici che formano i templi degli Incas ricordano le piramidi faraoniche, gli uni e le altre eretti a gloria del sommo Dio Sole. Viracocha, la divinità che insuffla lo spirito vitale a due statue antropomorfe sull'isola del Titicaca, richiama Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre. Manco Capac e Mama Odio che vagano alla ricerca della terra fertile su cui stanziarsi, e la trovano a Cuzco, sono parenti stretti di Mose e degli ebrei alla ricerca della Terra promessa. Viracocha che svanisce nella vastità dell'oceano, sembra la ripetizione del dio azteco Quetzalcoatl; entrambi, narra la leggenda, sarebbero tornati per annunciare la fine dell'impero. Quasi un Giudizio Universale. Tutti i cronisti descrivono i miracoli tecnici degli Incas; come costruirono templi e case con massi appena squadrati e non cementati; come lanciarono quattromila chilometri di strada lungo la costa, da Quito al fiume Maule in Cile, più larga delle strade romane; e quella aperta sulla Cordigliera gettando sugli abissi ponti leggerissimi e resistentissimi (se ne servì Thorton Wilder per il suo romanzo // ponte di San Luis Rey); come tessevano e tingevano lana e cotone fino a ottenere drappi più leggeri del bisso; come cesellavano l'oro e l'argento, modellavano il vasellame, irrigavano i campi e li concimavano col guano. Tutto hanno descritto quei cronisti inappuntabili, ma essi, come lo stesso Garcilaso de la Vega, ignoravano quanto noi sappiamo; che la dinastia in caica era alquanto recente, non andava oltre il XII secolo, e gran parte della «scienza», gli Incas l'avevano assorbita dai popoli sottomessi, civiltà molto più antiche e raffinate sviluppatesi lungo la costa peruviana, come le culture Nazca, Mochica, Chimu, Paracas, Tiahuanaco. Artisticamente, gli incas rappresentano già la decadenza dell'antica cuhura peruviana; socialmente realizzarono però innovazioni incredibili per quei tempi. Sacrificavano vite umane agli dei, ma provvedevano agli anziani che, invalidi, erano mantenuti dai!'Inca, cioè dallo Stato. Oppure, potevano dedicarsi alla stregoneria fa cendosi pagare, ed i loro sciamani ricordano i «guaritori» filippini. E' però comprensibile che Garcilaso de la Vega abbia sopravvalutati i meriti dei suoi antenati Inca creatori dello ayllu, quasi un kolkoz comuni- slpgpmrgmvgc sta. Già anziano, frustrato dall'esilio in Spagna, figlio di una principessa inca e di uno spagnolo, Garcilaso ricerca la propria identità attraverso la memoria, e ricorda quanto gli narrava uno zio degli incantati giardini dove tutto, alberi, animali, il condor regale, i colibrì variopinti che si dissetavano nei calici dei fiori, erano d'oro e d'argento. Descrizione fra sogno e realtà quella del tempio in cui si venerava un disco d'oro massiccio immenso, simulacro del Dio Sole; dei palazzi del re e dei dignitari con vasche da bagno e tubi d'oro massiccio; dell'aureo trono dell'Inca posato su una predella. Templi e case furono abbattuti, l'oro fu rubato, raschiato dai muri, fuso e mandato al cattolicissimo re di Spagna per finanziare le guerre in Francia, nelle Fiandre, in Italia. Migliaia e migliaia di Incas furono trucidati per spogliarli dell'oro, o per indurli a rinnegare i loro dei. Arrivò a Cuzco la Santa Inquisizione. Ricordo di aver ammirato nella collezione di don Pedro de Osma, a Lima, la penna e il calamaio barocchi serviti all'inquisitore di Cuzco per firmare gli auto da fé. Per impadronirsi dell'oro, Pizarro e Almagro tradirono e fecero giustiziare Atahualpa che tenevano prigioniero e aveva promesso loro una stanza colma del prezioso metallo se l'avessero risparmiato. Linea non capì, come Montezuma con Cortez, che offrendo quel tesoro firmava la sua morte, perché Pizarro e Almagi'o pensavano che in Perù ci fossero ben altre ricchezze. C'erano, infatti, e furono distrutte. Senza le necropoli della costa, recentemente scoperte dagli archeologi e fortunatamente ignorate dagli spagnoli, non avremmo più testimonianze della gioielleria, della ceramica preziosa, dei tessuti mirabili degli antichi peruviani. L'oro, maledizione dei conquistatori, fu la perdizione anche per Almagro e Pizarro; per avidità si uccisero fra loro in una faida spietata nemmeno dieci anni dopo la Conquista. Mandato al patibolo Atahualpa, il Perù ebbe altri monarchi il ribelle Manco Capac II, che fondò una nuova capitale Vilcabamba, verso la foresta amazzonica. Altri Incas, suoi successori, si tradirono e uccisero vicendevolmente. L'ultimo, Tupac Amaru, catturato dagli spagnoli, fu decapitato nel 1572 a Cuzco. Issata su una picca, la sua testa rimase esposta a lungo. I suoi sudditi andavano a vederla e affermavano che diventava più bella di giorno in giorno. Tre secoli dopo, un cacique di Cuzco riassunse il nome di Tupac Amaru, e si ribellò agli spagnoli, che lo catturarono, lo decapitarono e lo fecero squartare da due cavalli. Il suo nome si trasformò in Tupamaros per i terroristi sudamericani che tentarono negli anni scorsi di rovesciare YestaUishment militare e borghese in cui vedevano una secolare proiezione del colonialismo europeo. Intanto, la mummia di Francisco Pizarro continua a polverizzarsi sotto morsi dei tarli nella Cattedrale di Lima. Francesco Rosso MQVÌSTA I conquistatori spagnoli assassinano Atahualpa