Trappole di benessere nel bosco di Giorgio Martinat

Trappole di benessere nel bosco VIAGGIO TRA I VINTI SULLE MONTAGNE DOVE NON ARRIVA LO SKILIFT Trappole di benessere nel bosco L'Altopiano di Asiago cinquantanni fa era un deserto sconvolto dalle bombe - Ora gli alberi sono di nuovo la ricchezza dei Sette Comuni: c'è lavoro per boscaioli e artigiani del legno, tornano gli allevamenti di cavalli - Ma turismo e «seconde case» creano un benessere illusorio e nuove devastazioni, mentre le zone periferiche si spopolano - Un dramma nel Cuneese DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ASIAGO — // giovane abete ha una ferita mortale, una scortecciatura che corre torno torno alla cima: «Sono stati i ghiri, spiega l'ispettore forestale Daniele Zovo, che si sono moltiplicati a dismisura e cèrcinano cosi le giovani piante. Sono diventati una minaccia per il bosco». Si è tentato di ripristinare l'equilibrio naturale introducendo la martora, ma l'esperimento è fallito: «Le mancava il suo rifugio, il sottobosco. Perché queste sono foreste per metà artificiali, costruite dall'uomo». Sessantanni fa, alla fine della prima guerra mondiale, restava su tutto l'arco dal Monte Grappa a Cima Dodici, all'Ortigara, al Pasubio solo un deserto sconvolto dalle bombe, fantasmi di alberi scheggiati ed arsi. «Si è rimboschito, piantando abeti rossi, che sono cresciuti fitti ed alti soffocando tutte le altre specie. I ghiri ci vivono benissimo, ma altre specie di animali no. E l'equilibrio tra i piccoli erbivori roditori e i predatori si è rotto». Non è l'unico inconveniente. Quando uno di questi giganti crolla, fa cadere anche i vicini, come birilli, nella ra- dura s'insinuano turbinando vento e neve e l'allargano a poco a poco. Ma nonostante questo, i boschi restano la prima ricchezza dell'altopiano dei «Siben Alte Komeun Prùdere Liberi», isette vecchi Comuni fratelli cari. «Grazie ai boschi, dice Zovo, sono stati fino al secondo dopoguerra tra i Comuni più ricchi d'Italia. Sia perché ne 1 j I ricavano un'entrata diretta che si aggira sul miliardo e mezzo l'anno, sia perché l'industria del legname crea posti di lavoro. Molti qui fanno i boscaioli, anche giovani diplomati (potrei citarle il caso di tre geometri e ragionieri) che preferiscono guadagnarsi la vita cosi, un lavoro duro, a cottimo, ma in una stagione, fra giugno e settembre, si riesce a metter via una dozzina di milioni, da viverci tutto l'anno». Ai margini del bosco si sono moltiplicati gli allevamenti di cavalli: «Oli austriaci entrano tra le piante con gigantesche macchine, che fanno tutto il lavoro, dall'abbattimento alla sramatura al depezzamento e caricano perfino i tronconi sui camion. Ma provocano anche gravi danni, ferendo le radici superficiali con i cingoli. Noi ci sforziamo di rispettare la natura e permettiamo di entrare nel bosco soltanto con il cavallo». Tra boscaioli e cavallari, saranno almeno duecento persone che ricavano dal bosco di che vivere. Oltre ai 135 operai che l'Ispettorato forestale ha stipendiato direttamente quest'anno per lavori di manutenzione, e tutto l'indotto: le segherie, l'artigianato del legno. E il cavallo è diventato anche un richiamo turistico, consentendo agli ospiti uno svago supplementare, l'equitazione. Ma il bosco, da solo, non sarebbe bastato a salvare l'Altopiano dall'abbandono. Per molti, il benessere l'ha portato il turismo. Insieme con molti guai, purtroppo. Entrando- in Asiago decine di cartelli ai lati della strada annunciano il nome di società immobiliari, si costruiscono dappertutto villette civettuole, ben diverse dalle severe baite di pietra d'un tempo: «Con il materiale più economico — mi dicono alla Comunità montana — a costi che vanno sulle due o trecentomila lire il metro quadro, e i prezzi di vendita sono quindici volte tanto: tre, quattro milioni». Asiago è a mezz'ora d'auto da Vicenza, a un'ora o poco più da Padova, Venezia; «Come i commendatori milanesi hanno invaso Courmayeur e Cervinia e la Torino bene il Sestriere, cosi i nuovi ricchi della pianura veneta investita dal "boom" dell'agricoltura non possono fare a meno di una seconda casa ad Asiago. E' uno status symbol». Il centro dell'Altopiano sta precipitando verso il destino della montagna snaturata e devastata: già adesso è difficile parcheggiare, appaiono i primi segni della congestione e dei mali della città, compresa, mi dicono, la droga. Molti hanno trovato lavoro nell'edilizia, sono fiorite le industrie collaterali per la lavorazione dei marmi e della pietra, le brutte costruzioni hanno portato denaro. Ma quanto durerà? E con quali conseguenze? La Comunità montana ha preso posizione, chiedendo misure che scoraggino la costruzione della seconda casa: «Si copre Asiago di colate di cemento, mentre tutto un patrimonio di vecchie baite di pietra, armoniosamente inserito nell'ambiente, sta andando in malora. Si lavora nell'edilizia e si lasciano incolti i prati e i campi. Al centro dell'Altopiano c'è questo fittizio e malaugurato benessere mentre i Comuni periferici si spopolano». Mi parlano di prati e pascoli abbandonati, la cotica superficiale del terreno s'impoverisce e l'erba cresce sempre più misera e stenta. A poco a poco i prati vengono abbandonati, non si fa più il fieno perché non ne vale la pena: «E mentre noi. dicono alla Comunità, cerchiamo di incoraggiare quella che sarebbe la vera vocazione dell'Altopiano, l'allevamento del bestiame, ristrutturando le malghe negli alti pascoli con bagno e doccia, viene a mancare il foraggio per l'inverno». Cosi, nella prospettiva dei Si ben Alte Komeun sembrano affiancarsi i due peggiori destini della montagna: da un lato lo snaturamento, con la perdita del potere di controllo sul territorio delle popolazioni locali: dall'altro lo spopolamento. Ma siamo ancora lontani sia dall'uno, sia dall'altro. A Foza e negli altri Comuni depressi si delineano i sintomi della decadenza, l'esodo dei giovani, il progressivo aumento dell'età media degli abitanti, ma le scuole sono ancora aperte, risuonano di grida e risate infantili. «Se vuoi capire dove la morte della montagna è imminente, mi ha detto Nuto Revelli, conta i bambini nei villaggi. Finché ci sono bambini, c'è speranza». Qui, sull'Altopiano, ancora ricco di boschi e di gioventù, mi tornano alla mente i paesi del Cuneese, con le scuole chiuse, il sindaco di Rittana Adriano Perona che aveva appena venduto non i lotti di legname nella foresta, ma due vecchi scaffali tarlati del Municipio. E buon per lui che aveva trovato un antiquario che li aveva pagati a peso d'oro, sette milioni. Il confronto fra le due diverse situazioni appare drammatico. «All'inizio del secolo, mi aveva detto, nel Comune Ce rano settanta bambini, oggi sono due. sui 252 abitanti che restano i giovani fra i 25 e i trent'anni che ancora lavo rano la terra sono tre. Il Comune ha un bilancio annuo di 54 milioni, basta un inverno duro perché lo sgombero delle strade dalla neve se ne mangi una grossa fetta. Che ne sarà di Rittana fra dieci anni? Su 42 borgate. 35 sono deserte, non c'è più anima viva. Forse non riusciremo nemmeno a fare il Consiglio comunale: già ora, pare d'essere tornati ai tempi del Comune rustico, in ogni famiglia rimasta c'è un consigliere». Ho visto mele abbandonate sui rami, tappeti di castagne lasciati a marcire lentamente sotto gli alberi: «C'è il cancro dei castagneti ed erano a disposizione i contributi per curarlo, ma nessuno ne ha approfittato. La spesa per trasportare al mercato supera il ricavo». Qua e là si coglie qualche segno di rinascita, ma illusorio: «A Sambuca, in Alta Valle Stura, s'è formata una cooperativa di ex operai della Michelin. D'inverno vanno in giro a fare i boscaioli, d'estate fanno i guardaboschi, con il contributo della Comunità montana. Dicono che preferiscono vivere cosi; all'aria libera, piuttosto che tornare in fabbrica». Ma sono otto. Nessuno ha imitato il loro esempio: «Se qualcuno torna sulla montagna, o è pensionato o invalido. O un vinto, respinto dalla fabbrica e dalla città». Sugli alti pascoli, è vero, qui come in Val Germanasca o in Val Chisone, d'estate sono tornati a rintoccare i campanacci. Le mucche — mandrie di tre o quattrocento capi — hanno ripulito e concimato i prati, l'erba è tornata a crescere rigogliosa. La scorsa primavera, invece della gramigna, sui prati più alti erano tornate le genzianelle, un tappeto blu a perdita d'occhio. «Ma, dicono, sia i mandriani, sia le bestie vengono dalla pianura. Non sono gente radicata sulla montagna». A settembre calano di nuovo a valle e sui pascoli torna il silenzio. Ora, sotto il manto di neve, non c'è più segno di vita, non un filo di fumo si alza dai comignoli delle case di pietra, fredde e morte. Giorgio Martinat Baite sotto la neve in una zona depressa del Cuneese: non c'è segno di vita (Foto «La Stampa»)

Persone citate: Adriano Perona, Nuto Revelli