E Roma imperiale fu fatta a pezzi

E Roma imperiale fu fatta a pezzi IL MITO ASSURDO DEL MEDIOEVO E Roma imperiale fu fatta a pezzi Alla gravissima, molteplice crisi che per buona parte del ED secolo parve minacciarne la stessa esistenza, l'Impero Romano reagì in modi articolati e successivi l'uno all'altro, la cui organicità fu talmente radicale e profonda da mutare il carattere intimo di quell'immensa entità statale. Debellate le secessioni nazionaliste (Tetrico e Vittorina in Gallia, Zenobia a Palmira) con una fulminea serie di azioni militari (soprattutto grazie ad Aureliano) si procede ad una decisa ristrutturazione amministrativa e politica, che fu opera del genio di Diocleziano; ma i connotati finali dell'Impero restaurato spettarono a Costantino, cui si devono i caratteri principali e le previdenze che consentirono all'organismo creato da Roma di sopravvivere per altri undici secoli, sino cioè alla caduta di Costantinopoli nel 1453. Due furono i principali provvedimenti realizzati dal genio di Costantino: la creazione di una seconda capitale, posta sullo stesso livello di quella più antica e ricostruita secondo il suo modello (e la scelta caduta sull'antica Bisanzio non poteva essere più felice), e l'avvio ad una religione di Stato, un ruolo che toccò al Cristianesimo. Da espressione di minoranze contestatarie, quest'ultimo mutò completamente il suo ruolo sociale, divenendo l'infrastruttura ideologica di uno Stato che non fu più autoritario (come il vecchio Principato imperiale) ma totalitario nel senso più ampio del termine. Con un raggio d'azione sempre più vasto e profondo, da Costantino in poi la sacra autorità dell'Imperatore decide di questioni teologiche, si occupa della moralità dei sudditi, in terviene in questioni tematiche nelle opere d'arte; e non è qui il luogo per istituire un con fronte tra la posizione del Cri stianesimo nell'Impero post-costantiniano e quella del marxismo nell'Impero russo, dopo la crisi nazionalistico-li ber tana tra Otto e primo Novecento, e dopo la restaurazione operata prima militarmente, poi in chiave di struttura, amministrativa e sociale, dal regime sovietico. Uno degli argomenti più complessi, polimorfi e anche affascinano della storia di tutti i tempi è la vicenda sortita, da Costantino in poi dalla vecchia capitale dell'Impero, Roma Caput mundi, meraviglia unica per l'inaudita ricchezza di monumenti e di ricordi storici, sede dei più insigni capolavori dell'arte greca e dell'architet tura romana, gremita di tesori accumulati durante secoli, la metropoli subì una metamorfosi che, sebbene narrata più volte e in dettaglio, è ancora motivo di stupore. Offesa dalla creazione di una capitale ge mella (per favorire la quale non si esitò a spogliarla), poi oltraggiata nel ripudio e nella persecuzione del Paganesimo (con cui era stata tutt'uno nella prodigiosa ascesa e nello splen dorè), saccheggiata dai Goti di Alarico (410) e dai Vandali di Genserico (455), sottoposta ad un Regno Ostrogoto, la Città Eterna doveva subire un colp mortale nel VI secolo, nel cor so delle guerre di riconquista, con cui Giustiniano eliminò regni barbarici di Italia e di Africa: sino a ridursi ad un'orbita vuota, i cui abitanti (a quel che sembra) non raggiungevano le poche migliaia. Ma nello sfacelo della Roma imperiale nasce un'altra Roma quella sacra, la capitale del Cattolicesimo; e l'aspetto fisico della città riflette questa metamorfosi, le cui conseguen ze sono tuttora vive e operanti. Crollato, per le invasioni barbariche, l'organismo dell'Ini pero di Occidente, l'antica ca pitale venne ad assumere un prestigio ancora maggiore, di senso religioso, anche perché l'evangelizzazione dei popoli barbari fu il mezzo (operato sia da Roma che da Costantinopoli) per legarli alla storia e alla Civiltà. £ * Rome, Profile cf a City, 312-1308 è il titolo di un volume assai importante, uscito nel 1980 a cura della Princeton University Press, e dovuto al massimo specialista della storia artistica della Roma medievale, Richard Krautheimer: oggi, con eccezionale tempestività, il libro è apparso in italiano, per i tipi delle Edizioni dell'Elefante di Roma (Roma, Profilo di una città, 312-1308), e mi si consenta di dire che, una volta tanto, la versione nostrana non sopcpc3an(tqm sfigura a paragone di quella originale, anzi forse la supera, per la traduzione e per la ineccepibile veste tipografica. Il perìodo entro cui si svolge la complessa trattazione va dal 312 (quando Costantino vinse ai Saxa Rubra sulla Via Flaminia il rivale Massenzio) al 1308 (quando la Curia pontificia si trasferì ad Avignone), ed entro questi termini Roma viene esaminata nella sua struttura urbanistica, nei suoi edifici sacri, nelle sue costruzioni profane. * * E' del tutto impossibile fornire in questa sede un sommario dei temi e degli argomenti che il Krautheimer analizza ed espone con un linguaggio chiaro e semplice (quello cioè della vera scienza, così distante dai fumosi contorsionismi verbali di certi arruffoni nostrani). Dalle Basiliche costantiniane alle dimore private duecentesche, dalle innumerevoli chiese maggiori o minori ai palazzi del potere ecclesiastico, tutto è qui esposto con una sicura ricchezza di riferimenti, dati, notizie, bibliografia: a ogni riga si avverte che il crogiolo da cui è uscita questa materia ha fuso decenni di ricerche, e un'immensa quantità di dati, elementi, immagini. Ma l'aspetto più notevole di questo libro è che esso fornisce lo spunto per una serie, praticamente infinita, di approfondimenti e di ulteriori indagini. Talvolta, le domande che nascono al percorrere la Roma medievale possono sembrare futili, ma esse hanno una loro ragione che forse potrà risultare non così superficiale. Ad esempio, come mai, con tante colonne a disposizione nelle rovine della città imperiale, nelle costruzioni profane duecentesche vengono adoperate quasi esclusivamente quelle di granito? E' probabile che ciò fosse dovuto a una precauzione contro il fuoco, dato che tale tipo di pietra non risente del calore, a differenza del marmo; ma allora, perché adoperare fusti di misure superiori a quelle necessarie, e tali da richiedere un lungo e (con i mezzi di allora) faticosissimo lavoro di riduzione? E come mai, nonostante le migliaia di capitelli di ogni misura e dimensione a portata di mano, le nuove costruzioni privilegiano quelli di ordine jonico, anche a costo di falsificarli? C'è una ragione simbolica in tutto ciò, o semplicemente di gusto? Nel suo volume, Richard Krautheimer tratta della città viva, e quasi ignora la stupefa- cente metropoli morta e in progressivo annientamento: ma forse che la storia artistica e culturale di una città non consiste soltanto in ciò che si crea, ma anche in ciò che si distrugge. E' vero, come dice l'Autore, che gli antichi monumenti molto spesso non interferiscono nel tessuto e nelle vicende della Roma che rinasce una prima volta nel IX, poi nel XII secolo; ma resta il fatto che importantissimi avanzi della città imperiale erano ancora in piedi in queste epoche, e che doveva esserci una vera e propria industria che si adoperava a distruggerle per recuperare perni in ferro, piombo e bronzo. Di ciò sono testimoni gli innumerevoli fori che costellano il Colosseo, e che sono dovuti a lunghissime azioni di scalpello, al fine di sottrarre i giunti metallici che tenevano uniti i blocchi di travertino; e la stessa, faticosissima opera si nota in tutti gli avanzi di età imperiale. E c'è poi la faccenda delle calcare: tutti gli edifici in marmo furono annientati per ottenere calce nelle fornaci; se qualche avanzo si salvò fu per essere incorporato in strutture di spiazzamento, con funzioni cioè diverse da quelle originarie. Tre colonne del Tempio di Marte Ultore sopravvivono perché usate come fondazione di un campanile, Io spigolo del Serapeo (un edificio che gareggiava con il grande Tempio di Baalbek) poi demolito nel 1630, era l'appoggio di una torre; il Tempio di Minerva nel Foro di Nerva era conglobato in un granaio; e sospetto che il misero avanzo del Settizonio (distrutto da Sisto V) dovesse la sua sorte all'essere il campanile di Santa Lucia in Septem Solis. Ad ogni modo, nessun edificio di Roma medievale regge il confronto con ciò che scomparve nei secoli di ignoranza, superstizione, incuria, paura: neanche la Basilica Vaticana può essere, sia pure a distanza, paragonata con quella suprema meraviglia che fu il Foro Traiano. A rispetto della città imperiale, Roma del Medioevo è un agglomerato di tuguri, catapecchie, di chiese raffazzonate alla meglio, e abitata da un pugno di straccioni sporchi e analfabeti, sui quali dominava l'elite dei chierici (che sapevano leggere e scrivere). L'assurda, ridicola mitizzazione del Medioevo non appare mai così evidente come a Roma, dove si annientavano prodigi di tecnica, come gli obelischi del Circo Massimo abbattuto per recuperare i dadi di metallo delle basi. «1 Romani sono senza dubbio quelli che amano di più la loro città, sempre premurosi di difenderne e salvarne il patrimonio artistico, affinchè nulla vada perduto dell'antica gloria di Roma»: lo diceva Procopio, ancora, nel VI secolo, poco prima che una ca tastrofe storica senza uguale facesse inabissare un incomparabile patrimonio di civiltàOgnuno è padrone delle proprie scelte, tra cui c'è quella di stare dalla parte di coloro che, nel naufragio, cercarono di salvare il salvabile, per trasmetterlo ad epoche più felici. Federico Zeri