Bambini assassini, bambini suicidi

Bambini assassini, bambini suicidi PSICOLOGI E SOCIOLOGI DAVANTI A UN ALLARMANTE FENOMENO IN CRESCITA Bambini assassini, bambini suicidi A Los Angeles un quattordicenne uccide una compagna, porta decine di amici a vederne il cadavere: nessuno parla - A New York Anne Marie, 7 anni, tenta di buttarsi dalla finestra: oltre duemila giovanissimi americani in un anno si son tolti la vita Difficoltà economiche? Carenza d'affetto? No: manca il contatto con la società, «è come se venissero da un altro pianeta» NEW YORK — A quattordici anni Jacques non avrebbe dovuto guidare il pick up. Afa come ci si muove sema un pick up in California, come fai a portare in giro le rogasse, vedere gli amici, organizzare le feste? Il pick up è un camioncino. Nel retro puoi anche dormire. La cabina, davanti, è attressata come quella di un'auto, con lo stereo e qualche volta, come nel caso di Jacques, persino con la radio «Co» che consente di parlare ai rogassi degli altri pickup. L'appuntamento preferito, il sabato sera, è lungo la « California Highway Number One», quella cui Bob Dylan ha dedicato una sua celebre consone. Ci sono ragassine vagabonde, ci sono gruppi che vivono nei trailers sul mare, possono sempre accadere avventure. La polizia di Los Angeles, celebre per le divise, i cinturoni, le borchie, le grandi pistole, gli stivali lucidissimi, gli elmetti a visiera che si vedono nei telefilm, pattuglia continuamente la •Number One*. Jacques racconta che una macchina della polista era proprio dietro di lui, un giorno di novembre al tramonto, ma non si sono accorti di nul¬ la. Lui guida bene, il suo pick up ha tenuto perfettamente la strada mentre lui, con la mano libera, ha stretto e spessato il collo di Karen, la biondina tredicenne che gli sedeva accanto. E' andato su e giù. per un'altra mess'ora, conversando per radio con gli altri rugassi. Col buio si è liberato del corpo, ma sensa speciali precauzioni, perché aveva un progetto. Ha spinto Karen fuori dalla cabina, giù da un dirupo, in un posto che conosceva, un posto dove si accendono fuochi e si fanno pie nic la notte. Jacques infatti non intendeva nascondere niente. Per radio ha dato appuntamento ai compagni in una pizzeria. Ha mangiato e scherzato con loro e poi ha sfoderato la carta della sua grande serata: «Volete vedere una ragazza assassinata? Ve la faccio vedere prima che venga la polizia». Il segreto Secondo quello che è riuscito a ricostruire il preside della scuola media di Millpass, la scuola di Jacques, di Karen e di tutti gli altri rogassi, sono andati in tredici a vedere il cadavere. Insieme il gruppo di adole- scenti, fra i tredici e i quindici anni, hanno acceso un fuoco, hanno fumato, si sono raccontati avventure. C'erano anche tre ragassine nel gruppo. Hanno tenuto il segreto. Ma altri venti o trenta compagni, il giorno dopo, sono andati a vedere «il lavoro di Jacques». Lui stesso li aveva invitati. La polizia ha notato tutti quei pick up, tutti quei ragazzini e ha voluto dare un'occhiata. Solo così è stato scoperto il cadavere. Anche adesso ciò che i giudici di Los Angeles hanno in mano è solo un processo indiziario. Nessuno fra i compagni di scuola ha parlato. E la confessione di un ragazzino quattordicenne è una prova incerta, perché l'orgoglio e la tranquillità con cui Jacques ha confessato il delitto lo rendono, agli occhi adulti dei giudici, poco credibile. «Forse è matto», ammette il procuratore distrettuale che dovrebbe sostenere l'accusa. Basta un simile dubbio, insieme con le strane circostanse, con l'età, per rendere il processo quasi impossibile, hanno commentato i giornali di Los Angeles. E le televisioni hanno mostrato i coetanei di Jacques che escono dalla stazione di polizia. Masticano chewingum davanti alla telecamera rispondono con pochi suoni della voce, scarso interesse a tutta la storia. Il preside di Millpass non sa spiegare. Possibile che non si sia accorto di avere una scuola di adolescenti malati? Non se n'è accorto. Su consiglio dei suoi avvocati si prepara a presentare ai giudici un testo di psichiatria in cui si afferma che «è impossibile per un educatore, come per un medico, definire con sicurezza che cosa è normale o anormale nel comportamento di adolescenti e bambini». E intende inoltre far valere la statistica dei suicidi, cinque in un solo anno, in un solo distretto scolastico (due maschi, tre femmine), tutti sotto i quattordici anni. «Questo, afferma il dottor Coles, è il punto cruciale di tutta la storia, il rapporto fra suicidio e omicidio, che ha poco senso nel mondo adulto, e invece può essere parte di un unico fascino o di un unico incubo nel mondo infantile: la voglia di non vivere». Robert Coles, psichiatra, specialista dell'adolescenza, scrittore delicato e di immenso successo, è forse l'unica voce autorevole perché a quella che lui chiama «la lotta dei bambini per sopravvivere» ha dedicato tutto il suo lavoro scientifico. Era un medico militare, da giovane, e doveva curare un po' tutti, nelle basi dove ufficiati e soldati vivono con le famiglie. «Mi trovavo, racconta Coles, entro limiti rigorosi, come la vita sopra un pianeta. Ho capito che per le malattie c'è un terreno, un contesto. La malattia è come un grido. Bisogna far tacere quel grido, ma bisogna anche decidersi ad esplorare il terreno. Quel grido è solo un segnale, come quando uno parla nei sogni». Adesso, per Robert Coles, per coloro che come lui studiano e curano le ferite sociali, il problema è più grave. Il « terreno» di cui lui parlava, sembra essere diventato grande come la forza e la persuasione dei media. E' il terreno immenso di un mondo fatto uguale dalla televisione. Giungono, da luoghi e ambienti sociali diversi storie allarmanti che lui stesso racconta. Il suicidio della tredicenne Vivienne Loomis, per esempio, che è già diventato materiale di studio e dibattito perché la bambina aveva scritto prima di uccidersi, in un .compito in classe, «ormai so che mi interessa morire». Afa gli insegnanti avevano pensato al piccolo bluff di untntelligensa precoce. O il clamoroso tentativo di buttarsi dalla finestra, di una bambina di sette anni, Anne Marie Deene di New York che per due ore ha gridato ai pompieri e alle telecamere, nel pomeriggio del 19 novembre: «Non è mica questa la vita che immaginavo, questa vita non la voglio, tenete vela». Anne Marie è stata giocata dall'astuzia di un poliziotto e una volta salvata ha detto senza emozione: «La prossima volta sarò più furba». Sono oltre duemila i giovanissimi fra i dieci e i diciotto anni che in un anno si sono tolti la vita. Per leggere bene questa statistica, suggerisce Robert Coles, bisogna aggiungere: «Si sono tolti deliberatamente la vita». Infatti non possiamo neppure sapere quanti sono stati vittime di incidenti o di rischi assurdi che però hanno più o meno consciamente cercato, e sono quasi altrettanti i delitti compiuti sui coetanei dallo stesso gruppo di adolescenti. Ma qual è il gruppo? Robert Coles propone di non tener troppo conto delle condizioni sociali. «C'è, lui dice, un'uguaglianza di cultura e di informazioni, cioè d'immagine della vita, che è quasi più forte della mai raggiunta uguaglianza sociale». Per esempio la bambina Loomis, che si sentiva certa a tredici anni di essere «interessata a morire», era quasi ricca. La bambina Deene che a sette anni ha protestato di fronte al mondo, perché gli hanno dato una vita che non le piace e che intende «restituire», è quasi povera. Il ragazzo assassino della strada Number One in California era di solida classe media, figlio di un operaio specializzato cui non è mai mancato il lavoro. Un pericolo Anche la pista degli affetti, secondo Robert Coles, non porta a molto. Qualcuno, come la piccola Loomis, ha avuto tutto, compresa l'ammirazione e l'amore. Altri avevano comunque la casa, la protezione e quel tanto di comprensione di cui sono capaci gli adulti. La madre di Anne Marie Deene, per esempio, dopo l'incidente è stata vista abbracciare teneramente la piccola (e lo spettacolo era reso più grazioso dal fatto che madre e figlia hanno gli stessi capelli biondi, tagliati uguali, a frangetta) spiegando che «la piccola è molto esi¬ bizionista, vuole fare spettacolo. Ma non correva alcun rischio. Anne Marie è una ginnasta bravissima». «La madre di Anne Marie ha perduto un 'occasione di capire il pericolo, osserva il dottor Coles. Ma qui. come in molti altri casi, non è la parte essenziale d'affetto che manca. Manca un legame, una lunghezza d'onda, come se molti bambini e adolescenti venissero da un altro pianeta. Restano estranei. E poiché si sentono di passaggio può darsi che non esitino a compiere un gesto estremo, a correre un rischio impossibile. E' come se vivessero una vita che non li riguarda». Quello che secondo Robert Coles consente di legare due fatti terribili (uccidere se stessi o uccidere altri) in certi gruppi di adolescenti, si trova prima di tutto nelle statistiche, anche se nessuno ha mai pensato di studiare questi spaventosi fenomeni insieme. Affermano due autori, esperti di suicidio infantile, John Mach e Holly Hickler: «Il suicidio è la seconda fra tutte le cause di morte di adolescenti e bambini in America, e si nota una crescita monumentale del fenomeno». Aveva detto in agosto un rapporto presentato al convegno dei capi delle polizie americane: «Gli atti di violenza con risultato o intenzione mortale sono talmente diffusi fra i minori sotto i quindici anni, da far pensare che sia necessaria una legge diversa, giudici diversi e persino una polizia specializzata in questo nuovo tipo di crimine». Il rapporto notava che non solo si è rotta la barriera dell'età, ma si è rotta anche quella culturale e sociale. Il gesto disperato, oppure il gesto violento, non sono necessariamente legati alla destituzione, alla disperasione, al ghetto. •Stiamo parlando, dice Robert Coles, di bambini e ragazzi quasi sempre più intelligenti della media e quasi sempre più fortunati della media. Eppure si tratta di una tribù misteriosa e non piccola, che non intende accettare il patto comune della sopravvivenza». Ci sono spiegazioni culturali per questi fatti, l'ansia della guerra, la paura di distruzione, il senso del rischio imminente, modelli di vita scadenti e poveri di valore morale. Coles li considera tutti importanti, ma dice: «Il percorso culturale ci dice cose angosciose, ma non tutte le cose che vorremmo sapere». Una delle tesi che interessano di più Coles è quella della psichiatra Gregory Zil- borg, che afferma: «Questi bambini, suicidi o assassini, hanno identificato se stessi con una persona morta. O con una realta immaginata di la dal confine fra la morte e la vita». Robert Coles allora racconta una storia diversa. E' la storia di Darci Ann Kistler, che già prima dei tredici anni è stata indicata da Balanchine come la ballerina più promettente della sua generazione e che adesso, a 17, è considerata una «grande» della iansa. In America la giovane Kistler gode dei suoi trionfi e mostra di essersi ambientata con perfetta armonia nella vita. Ma ci sono due frasi, di lei e su di lei, che attirano l'attenzione dello psichiatra. Dice in un'intervista la «baby ballerina:- «Mi piace danzare come mi piacerebbe buttarmi da una roccia altissima dentro l'oceano. E' per quel momento di estasi che io faccio tutto quello che faccio». La ballerina Quando la ballerina Kistler dice che vorrebbe buttarsi da una roccia altissima per un istante d'estasi, sembra che ripeta frasi di vecchie passioni romantiche. Coles teme invece che stia condividendo la tensione esaltata di tanti adolescenti in cui si sta rompendo l'equilibrio fra la realtà e il desiderio. La Kistler si salva perché riesce fisicamente a fare quel tuffo nel vuoto. Migliaia di persone la applaudono e finiscono per placarla. Ma il 'Sistema della moda* la vende come « tipica adolescente» e la spirale dell'esasperazione si aggrava. Si può resistere senza arrivare subito, come lei, in messo alla scena? «Può darsi che a questo punto si compia lo scambio di territori. Poiché tanti confini non si possono violare da questa parte della vita, proviamo dall'altra. Oppure proviamo violando la vita di un altro. Anche questo è come buttarsi nel vuoto». Coles non è sicuro che questa sia la spiegazione finale delle tremende statistiche sui delitti e suicidi, tra l'adolescenza e l'infansia. E' sicuro che quelle statistiche si gonferanno, •In un mondo elusivo, imbottito di televisori, protetto ma anche irreale, il gesto violento, esagerato, teatrale, che sembra affascinare gli adolescenti e i bambini, può essere forse un disperato reclamo di realta. E' un sintomo di malattia. Ma non solo la malattia di chi compie quel gesto». Furio Colombo Darci Ann Kistler: «Mi piace danzare come mi piacerebbe buttarmi da une roccia altissima dentro l'oceano»