Cattivi Pensieri di Luigi Firpo

Ultimi spazi di libertà Cattivi Pensieri Ultimi spazi di libertà di Luigi Firpo L'avvio di riflessione, che proposi la volta scorsa sulla «lezione delle cose» impartita dalla dolorosa vicenda della Polonia, merita ben altro approfondimento: lo spazio tiranno e la giustamente limitata pazienza dei lettori impongono di procedere per tratte brevi e quasi a sobbalzi. La presa di coscienza di cui la sinistra italiana mostra di essere finalmente capace rischia di fermarsi a mezza strada. Un primo alibi mentale fu, a suo tempo, la condanna dello stalinismo: una dittatura feroce, un aberrante despota orientale insinuatosi al posto di comando, offrivano l'ipotesi liberatoria. Il sistema è buono, si diceva, anche se un mostro umano ne ha fatto un uso perverso. Nessuno ha spiegato come fosse stata possibile quella presa di potere assoluto. Adesso la condanna dei metodi sovietici nei confronti dei Paesi satelliti (dopo Budapest e Praga, il pugno di ferro a Varsavia) sembra concludersi nel dissociare il «socialismo reale» dell'Unione Sovietica dal socialismo ideale auspicato: l'aberrazione non è più di un uomo, ma del più grande Paese comunista, e la spiegazione viene additata nella necessità di difendere i principi marxisti-leninisti dagli attacchi del mondo capitalista e cosi via. Si cercano, insomma, giustificazioni esterne e contingenti, che permettano di rinviare a tempi futuri, ma senza rinunce di principio, quell'instaurazione della libertà socialista che rimane la meta finale, il porlo sicuro dell'umanità. Orbene, invece di dare la colpa al «cattivo» di turno, non sarebbe forse ora di analizzare a fondo i modelli pratici di socialismo e di domandarsi se esso è compatibile, senza perfidie di nessuno, solo per intima esigenza strutturale, con il concetto stesso di libertà, o almeno con quel concetto di libertà democratica che tutti vorremmo difendere come inseparabile dalla natura e dalla dignità dell'uomo? La risposta che per prima si presenta è che tutto sta nel grado di «socializzazione» che s'intende instaurare, cioè nello spazio residuo che si decide di concedere al privato, al soggettivo, all'egoistico. Tra l'anarchia totale, governata dalla legge della giungla, e il dispotismo totale del controllo psicologico (Orwell) o addirittura biologico (Huxley) esiste un immenso spazio, che può essere spartito fra ordine e libertà, fra pubblico e privato, fra dovere sociale e iniziativa in- dividuale. La mia tesi è che sovrapposizioni di aree non sono possibili e che ogni estensione del sociale comporti una riduzione di libertà. Una volta si credeva che bastasse eliminare lo sperpero e il parassitismo dei ricchi, assegnare a tutti un lavoro, soffocare l'egoismo, per assicurare a ciascuno benessere e felicità. Oggi si vede che questo complesso meccanismo sociale ha un costo: importa controlli capillari, elefantiasi burocratica, programmazioni lente e quasi mai azzeccate, repressione di ogni dissidenza, stampa e cultura di regime. Nell'insieme, la sua efficienza produttiva è scarsa, ma garantisce a tutti il minimo vitale, l'istruzione gratuita, l'orgoglio pionieristico del costruttore di un mondo nuovo. Il contenimento delle libertà vale anche per quelle male intese: la droga, la criminalità, il terrorismo. La società civile si militarizza, subisce una mobilitazione permanente e. come è sempre accaduto negli eserciti, può essere governata solo con la disciplina severa, l'entusiasmo artificiale e lo spirito di corpo. All'altro estremo, un liberismo totale non è oggi ipotizzabile neppure in sogno, perché l'appropriazione da parte di pochi di risorse planetarie sempre più scarse non solo va contro un elementare concetto della giustizia, ma è incompatibile con l'assunzione dei ruoli di protagonista da parte delle masse. Paradossalmente si può affermare che la fine della libertà è stata segnata dal suffragio universale. Quando la borghesia vinse, due secoli fa, la propria rivoluzione, chiedeva libertà e potere per la classe che sola possedeva cultura, intraprendenza, amore del rìschio e fiducia in se stessa. Era la libertà d'iniziativa, d'inventiva, di rapina, per chi sentiva di essere «tutto», cioè d'incarnare l'unico modello di uomo degno di dominare il mondo. Ebbene, questa società libera e coraggiosa, spregiudicata e operosissima, si è suicidata con le proprie mani, per folli rivalità interne, con la prima guerra mondiale. Gettando le masse nel carnaio delle trincee, le ha chiamate alla vita politica: chi era stato giudicato buono per morire pretese di essere buono anche per votare. Da allora la de ocrazia cerca nuove formule per sopravvivere, ma non sarà mai più quella nativa degli eguali, come lo fu tra i greci di Omero, gli arìmanm longobardi o i farmers della Nuova Inghilterra: impeccabile se regola in modo diretto la condotta dei liberi identici fra loro per interessi e cultura, sconnessa e in parte illusoria se è mediata e delegata a rappresentare aspirazioni contraddittorie. L'Occidente, che orgogliosamente rivendica per sé il titolo di Mondo Libero è, in realtà, sempre meno libero, fra esplosione demografica (che impone convivenze a contatto di gomito), proliferazione tecnologica (che esige controlli minuziosi e complicate cautele), potere suggestivo dei mass-media (che lascia alla gente soltanto più l'illusione di pensare), ventate di irrazionalismo (magia, astrologia, ascetismo, profetismo, che scompaginano l'ordinato fluire della ragione). Le masse premono, chiedendo a gran voce case e scuole, ospedali e piscine, cure mediche e tempo libero, maggior salario e minor lavoro: chiedono, insomma, sicurezza totale e libertà dal bisogno. Si tratta di aspirazioni più che legittime a vivere meglio, a eludere antiche sofferenze, e dal New Deal rooseveltiano alla socialdemocrazia svedese, dal Labour Party a Mitterrand, questa è la voce che sale dalle piazze e che nessuno può ignorare. Ma anche qui, qual è il prezzo da pagare? Qual è lo spazio sèmpre più ristretto che separa i socialismi occidentali da quello sovietico, lo spazio sempre più illusorio della libertà? Sarebbe comico scoprire che col tempo i due mondi separati dalla cortina di ferro, continuando a guardarsi in cagnesco, sono diventati perfettamente eguali. E aperta resta (magari per la prossima puntata) la domanda ultima, quella definitiva: è compatibile l'u guaglianza con la libertà?

Persone citate: Cattivi Pensieri, Huxley, Mitterrand, Orwell

Luoghi citati: Budapest, Nuova Inghilterra, Polonia, Praga, Unione Sovietica, Varsavia