Francoforte: i «verdi» in rivolta di Sandro Doglio

Francoforte: i «verdi» in rivolta ANCHE L'OPULENTA GERMANIA NELLA ZONA DELLE TURBOLENZE Francoforte: i «verdi» in rivolta La loro «mobilitazione permanente» ha già provocato episodi violenti qui come a Bonn, a Berlino - Difendono la natura, si battono contro basi missilistiche e centrali nucleari - Ma quanti sono e chi li manovra? I DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE FRANCOFORTE — Benché l'inverno sia bianco — bianco di neve, di gelo, e anche di apprensione per ciò che sta capitando nell'economia zoppicante; livido di paura per quel che accade nella non lontana Polonia — in Germania il colore di cui si parla e si discute di più quest'anno é il verde. Verde come il colore a cui si ispirano i giovani che protestano in massa per le strade, che occupano le case disabitate, che cercano di boicottare i grandi lavori pubblici, che si battono con la polizia per impedire che vengano impiantate altre basi di missili o costruite nuove centrali nucleari. Verde come i prati e le foreste che si vogliono difendere contro il cemento straripante. Verde come le bandiere che — frammiste a quelle rosse: e anche questo è un sintomo inquietante per i tedeschi — vengono sventolate negli interminabili cortei di manifestanti a Bonn, a Francoforte, a Berlino. I «verdi» sono soprattutto giovani, quelli stessi che qualche anno fa si sarebbero chiamati — qua e là per il mondo provos, rockers, mods, blousons noir, oppure anche halbstarken, stiljaga, beatniks, guardie rosse, hippies. I sondaggi degli istituti specia Uzzati sostengono che oggi verdi» rappresentano in Germania il 7-8 per cento della popolazione: forse sono percentuali esagerate, ma uno dei loro esponenti mi fa notare che l'appello lanciato a Krefeld un anno fa contro l'installazione di nuovi missili a media portata ha raccolto 800 mila firme; in aprile a Bonn 25 mila «verdi» hanno sfilato contro la sessione della Nato; in maggio la polizia ha contato 40 mila contestatori nelle strade di Berlino; in ottobre si è scritto di 250 mila dimostranti nelle vie di Bonn; e alla metà di novembre tremila giovani decisi a tutto si sono battuti a sangue (109 feriti tra i poliziotti, circa due cento tra i dimostranti) per un giorno intero contro la po I tizia attorno all'aeroporto di a a a o i to a o a a i a ; i r Francoforte. Non si sa forse esattamente quanti sono, ma si crede di sapere chi sono: giovani, essenzialmente. Vengono dalle file dei •jusos», la gioventù socialista che si ribella alla politica di Schmidt, giudicato 'troppo arrendevole, troppo a destra». Sono adepti dei gruppi «B.I. » : Buergerinitiativen, iniziative civiche. Sono i figli della borghesia del miracolo e degli operai del benessere. Si sostiene che a spingerli, a fomentarne le iniziative, a organizzarne i raduni, ci sia — con l'eterno disegno di una rivoluzione rossa —quel partito comunista semiclandestino che è un po' l'incubo di ogni tedesco. Ma qualcuno ricorda che già Thomas Mann aveva detto: ^Essere giovani significa potersi ribellare e scuotere le catene di una civiltà decrepita: Al governo •Alla criminale violenza delle brigate rosse, alla suicida protezione della droga, all'egoistica evasione in filosofìe e religioni estranee alla nostra cultura», è scritto su un giornaletto degli studenti di estrema sinistra che mi hanno dato a Heidelberg, «t tedeschi preferiscono la battaglia con la bandiera che ha il colore della speranza» E c'è chi si spinge a voler leggere nelle proteste dei «verdi» una ideale continuazione delle 95 tesi affisse quasi cinquecento anni fa da Lutero sul portone della cattedrale di Wittemberg: una sorta di contestazione alla civiltà di oggi, con esagerazioni ed esasperazioni, ma con un buon pizzico di buonafede e di fondati motivi. Moderni riformatori, avanguardie mascherate del nuovo comunismo, pannelliani allemanni che al digiuno preferiscono birra, wuerstel e bottiglie molotov, o semplicemente cittadini in cerca di una diversa soluzione ai prò Memi del vivere di oggi, i «verdi» hanno già lasciato il segno nella politica tedesca. Ben al di là della eco suscitata dai loro rumorosi cortei e dalle battaglie sostenute con pietre, bastoni e proiettili incendiari contro la polizia e i reparti del «BKA» (la gendarmeria dell'antiterrorismo locale), le polemiche dei «verdi» hanno obbligato il governo a un esame di coscienza, a segnare il passo — in certi casi addirittura a far marcia indietro — sulla strada del liberalismo che aveva imboccato la socialdemocrazia tedesca. «/ verdi e la crisi», sostengono i democristiani dell'opposizione, 'Congiurano per aprire le porte della Germania a un socialismo che storicamente è tramontato e che nel nostro paese sembrava definitivamente superato a favore di una socialdemocrazia di tipo liberal-europea». Succede in effetti che di fronte alla pressione congiunta della crisi economica e della campagna di opinione pubblica sollevata dalle dimostrazioni dei «verdi», l'ala più a sinistra dei socialdemocratici ha buon gioco nell'imporre scelte «meno atlantiche», nell'attenuare la politica di opposizione alla Russia, nel rinviare la costruzione di centrali atomiche, nel ridurre gli investimenti in attività industriali, nel favorire la crescita dello Stato assistenziale. Tutto ciò con il più grave imbarazzo per i liberali che finora hanno condiviso le responsabilità di governo di Schmidt: che restando nella maggioranza a fianco dei socialisti corrono il rischio di compromettere la loro immagine, ma schierandosi apertamente con i de di Helmut Kohl e Franz Joseph Strauss per formare una nuova coalizione potrebbero perdere la loro identità di moderati. La stessa decisione di firmare l'accordo con Mosca per il gasdotto della Siberia viene at tribuita in gran parte alle pressioni antinucleari dei «verdi» (anche se gli industriali tedeschi sembrano avere meno scrupoli dei poli tici nostrani per il legame economico-politico rappresentato dal contratto con il Cremlino). Capo indiscusso dei «verdi» è Ehrarci Eppler, 55 anni, che fu già ministro federale dello sviluppo economico ed ex presidente Spd (cioè del partito socialdemocratico) nel Baden WUrttemberg. Tra i leaders della constestazione è riapparso Daniel Cohn Bendit, che fu uno dei capi del movimento studentesco francese del '68-'69, e che allora era chiamato «Danny il rosso»: non c'è poi molto di nuovo sotto il sole. Nella foresta Un giovanotto e una ragazza che si proclamano «verdi» e «contestatori» — ma che tengono a che non si faccia il loro nome perché temono rappresaglie — mi accompagnano nella neve al «campo» di Francoforte, o meglio a quel che resta del «villaggio ecologico» costruito nella foresta, ai margini dell'aeroporto, e che già due volte è stato distrutto dalla polizia con le ruspe. Due baracche di legno e lamiera, una grande tenda: ci sono una dozzina di giovani, indaffarati nell'ascolto di misteriosi messaggi radio e nella confezione di striscioni contro l'aborrita «Atom und Beton Politik». politica dell'atomo e del cemento. Il maltempo tiene lontana la maggior parte dei contestatori, ma Sylvia G. assicura che «/a mobilitazione è permanente, e alla prima occasione decine di migliaia di verdi sono pronti ad accorrere». Domando se per caso gli avvenimenti di Polonia non hanno un po' spento gli entusiasmi: mi investe un coro di proteste: «Afa che c'entra? La Polonia è un'altra cosa». Questa splendida foresta quasi alla periferia di Francoforte — alberi secolari ora coperti di neve che si succedono per chilometri e chilometri, e tra I quali non è raro intravedere cervi e caprioli — è il cuore e il simbolo della protesta ecologica dei tedeschi. «Vogliono distruggerne un'altra grossa fetta per costruire una nuova pista dell'aeroporto. Per quattro chilometri di ce mento, utili soltanto agli americani della Nato, è previsto l'abbattimento di tre milioni di alberi. Soltanto asfaltare la pista verrà a costare 225 milioni di marchi, centoventi miliardi delle vostre lire», dice con tono enfatico Werner N„ che sembra essere l'ideologo del gruppo: «Come è possibile tollerare un simile obbrobrio?.. Qui a Francoforte, aggiunge, sono già concentrate 'tutte le maledizioni della civiltà industriale». E le elenca: una rete autostradale demente; le puzzolente e inquinanti industrie chimiche della Hoechst; la fabbrica di plutonio di Hanau; la più grande centrale nucleare d'Europa; le raffinerie di petrolio. C'è la più gran de base militare americana del nostro continente, c'è il progetto per la costruzione di una centrale di trattamento delle scorie nucleari, che potrebbero in definitiva essere interrate proprio in questa splendida foresta. Werner, Sylvia, Friedrich Brigitta, Joachim e tutti gli altri del gruppo dei «verdi» — ragazze e giovanotti che nella vita sono impiegati, operai studenti, e che sostengono di sacrificare propri denari tempo libero alla «causa» parlano adesso della grande battaglia che hanno combattuto un mese e mezzo fa con' tro la polizia e che per un giorno intero ha bloccato l'aeroporto di Francoforte (facendo perdere aerei e coincidenze a diecimila passeggeri), Affermano di essere pronti a ricominciare appena sarà necessario; e come loro deci ne di altri gruppi, qua e là per la Germania, preparano stri scioni, cartelli, fiaccole, e (or se anche randelli e sassi. Come un'immensa ragnatela sul paese, l'organizzazione dei •verdi» sembra pronta a con tinuare le sue battaglie; non piccolo ulteriore intralcio per questa Germania che ha già il suo daffare per mantenersi in rotta, presa come è nelle tur bolenze economiche. Sandro Doglio