Sotto il 13 per cento di Mario Salvatorelli

Sotto il 13 per cento Sotto il 13 per cento di Mario Salvatorelli I nostri soldi «Sembra che il 1983 stia per chiudersi con un lassod'inflazione inferiore al 13 per cento, anche — e soprattutto, a quanto si legge — per merito dei sacrifici delle famiglie italiane, che hanno tagliato molto le loro spese, cercando di non ridurre, ove possibile, i loro risparmi», scrive il signor Guido Vittoria, di Roma. Il lettore continua: «Nell'aprile scorso, contro l'opinione quasi generale, assai più pessimistica, lei osava affermare che, se nel 1975 si riuscì a scendere più di otto punti sotto il livello di gennaio, non si vede perché quest'anno sia "praticamente impossibile" scendere al 13 per cento, meno di quattro punti sotto il livello di partenza, che in gennaio era pari al 16,4 per cento. Devo riconoscere che ci ha indovinato, ma lei non parlava di sacrifici delle famiglie. A che cosa dobbiamo, allora, questo attenuarsi dell'inflazione?». Fa sempre piacere un «riconoscimento di meriti», in particolare quando sono relativi al possibile verificarsi di un avvenimento positivo, come l'attenuarsi dell'inflazione. Devo aggiungere, però che, in questo caso, si trattava, dicci mesi fa, di polemizzare contro una maggioranza di osservatori dell'inflazione, in parte superficiali, occasionali, in parte professionali, ma, come tali, complessati — è il termine giusto — da pregiudizi di «casta», cioè da teorie e analisi economiche di carattere accademico, non calate nella realtà. E, per quanto riguarda i «sacrifici delle famiglie», ricordati dal nostro lettore, si tratta, sempre a mio parere, di un altro esempio di «pregiudizio», e cioè dell'ostinazione a voler vedere, come causa della «grande inflazione^ di questi anni, anche il cosiddetto «consumismo», cioè l'eccesso di domanda rispetto alle possibilità dell'offerta, con il conseguente turbamento del mercato, che avrebbe reagito con le sue leggi. Si dice, appunto, che i prezzi si formano in base all'andamento della domanda e dell'offerta, e che, quando prevale la seconda, i prezzi scendono, quando prevale la prima, i prezzi salgono. Tuti^ vero, ma nei tempi ^clic furono, perché oggi ben altre sono le leggi che regolano il mercato. Prima fra tutte, c quasi incontrastata, è la legge dei costi, come ha dimostrato il fatto che la «grande inflazione» è partita, dicci anni fa, quando le quotazioni delle materie prime c del petrolio salirono a razzo. E questo non a\ /enne certo per colpa della domanda, che si andava assestando in tutto il mondo, anche in Italia, su livelli più che sopportabili dal sistema della produzione, cioè dell'offerta, la quale, caso mai, dava i primi segni — si vedano siderurgia e chimica — di un eccesso di capacità produttiva. Oggi la domanda, anche in circostanze particolari, come le festività di fine anno, può influire solo marginalmente, e per momentanei soprassalti speculativi, sull'andamento dei prezzi: come dimostra il mese di dicembre, che negli ultimi quattro anni ha registrato aumenti mensili sempre inferiori a quelli di novembre, per non parlare del confronto con ottobre, il mese che subisce, in base alle statistiche, il contraccolpo degli aggiornamenti dell'equo canone. Questo non significa, sia ben chiaro, non riconoscere i «sacrifici delle famiglie», le vere protagoniste, non solo di questa rubrica, ma del risparmio nazionale, e della sana economia, nel bene e nel male. Tuttavia, mentre le famiglie italiane sono, da una parte, citate a modello per la loro inclinazione al risparmio, dall'altra non sono «esemplari», quando si passa dal privato al pubblico, dal mondo domestico a quello del lavoro. Ed ecco, a questo punto, che il discorso si sposta sopra un altro costo, quello del lavoro, appunto. Con una premessa, però, e cioè che, quando si parla di «politica dei redditi», e si afferma che il costo del lavoro ne è la premessa, si compie un errore, grave, addirittura grossolano, dal punto di vista psicologico, ma anche economico. In Italia i lavoratori dipendenti si sentono in prima linea nel compito doveroso di concorrere alle esigenze dello Stato in base alla rispettiva capacità contributiva. Anzi, più che in prima linea si sentono proiettati, come «teste di ponte», al di là della terra di nessuno perché le altre categorie non li seguono in questo compito doveroso, almeno a loro giudizio. Quindi, ai lavoratori dipendenti non va molto a genio di dover essere di esempio anche nella politica dei redditi. Dal punto di vista economico, poi, bisognerebbe, quanto meno, spiegare che cosa s'intende per politica dei redditi e, tanto per incominciare, applicarla subito, in modo efficace e significativo, ad altri redditi, cosi che la sua applicazione ai redditi da lavoro dipendente ne scaturisse come coronamento, non come premessa della manovra. Ma non si parli più di eccesso di domanda, e cose del genere, per spiegare l'inflazione. Altrimenti non si riuscirebbe mai a spiegare come, nei Paesi dove il reddito per abitante e i consumi sono più alti, il tasso d'inflazione sia sceso più rapidamente e decisamente che in Italia. Lo si può spiegare, invece, con il fatto che in quei Paesi la «politica dei redditi» è stata applicata nei fatti, prima ancora che proclamata nei discorsi, seriamente e in ogni suo significato, primo fra tutti quello della produttività: dei capitali, del lavoro, dell'energia, della tecnica. Oggi, in quei Paesi, a parità di costi si produc: di più, molto di più, quindi si può anche consumare di più, spendendo come, o poco più, di ieri. ■J

Persone citate: Guido Vittoria, Tuti

Luoghi citati: Italia, Roma