Arcangeli della rivoluzione liberale di Renato Guttuso

Arcangeli della rivoluzione liberale UNA BIOGRAFIA (INCOMPIUTA) DI PIERO GOBETTI SCRITTA DALL'AMICO FRATERNO UMBERTO MORRA DI LAVRIANO Arcangeli della rivoluzione liberale ; C'è un famoso quadro di Renato Guttuso che immortala la scena. Cinque «cospiratori» intorno a un tavolo tondo. Una vibrazione quasi risorgimentale. Da sinistra, col suo naso arcuato, inconfondibile, Norberto Bobbio; accanto, con quel Volto vagamente gcntiliano, Cesare Luporini; affiancato, meno trasognato del solito, più calato nella realtà e nei suoi problemi, Aldo Capitini; nella posizione del padrone di casa, l'ospitante Umberto Morra di Lavriano; quasi in cattedra, come sempre, con quella sua altissima vena pedagogica, riflesso di un'innata eleganza intellettuale, Guido Calogero, cui il pittore, fedele alla tradizione rinascimentale, ha associato una scritta incompleta «libcral-socialismo». Data e luogo: Cortona 1939. , «Un giorno indeterminato»: preciserà più tardi Bobbio. Un incontro di intellettuali antifascisti in una vecchia villa di quella nobiltà toscana di campagna che era una volta la più civile di tutte ie aristocrazie. Mctclliano, a cinque chilometri da Cortona, la città etnisca della morte in cui rivive il segno di una secolare predestinazione. ., Mctclliano, nella residenza umbratile di un intellettuale che è stato grande amico di Piero Gobetti, che si è appartato da tutto e da tutti durante il fascismo, che vive in una sdegnosa e rigorosa solitudine, con un nome carico di una storia-che non è la sua: Umberto Morra di Lavriano. ■• Figlio del generale di cui tinte le storie patrie del tempo segnano il nome come autore delle repressioni in Sicilia, nclf epoca dei moti sociali caratterizzanti l'ultimo decennio del secolo, nella stretta autoritaria o reazionaria destinata a culminare nel regicidio di Monza: un casato piemontesissimo, che riflette l'intransigente devozione dell'aristocrazia guerriera a casa Savoia, una devozione perfino pre-risorgimsntalc, neanche sfiorala dai fermenti dello Stato costituzionale. Un generale tutto d'un pezzo, che ha messo al figlio il nome del' re (Umberto era nato nel 1£197) c ha voluto che fosse la regina Margherita la madrina del battesimo, sullo sfondo della villa di Monza che vedrà poi l'assassinio del marito. Nato, Umberto Morra, nel palazzo del corpo d'armata di Firenze, quello che guarda la statua impacciata e incerta di' Manfredo Fanti, il generale che ha dominato nel male la guerra del '66, col suo sfortunato antagonismo nei riguardi di Cialdini: un capitano garibaldino divenuto fedele al Regno d'Italia, ma con tutte le in-; certezze e le contraddizioni che accompagnavano i reduci dall'esperienza del partito d'azione, spesso più zelante dei generali savoiardi o conservatori nell'ossequio alla corona. Nato a Firenze ma poi peregrinante per mezza Europa. La villa di Cortona, dove sono riuniti quegli antifascisti nel '39, presumibilmente alla vigilia della seconda guerra mondiale, è piena di frammenti c di rimembranze della «belle epoque»: grandi ritratti a olio del re Umberto e della regina Margherita alle pareti, gli affreschi tardo-romantici dell'ingresso, le innumerevoli fotografie di granduchi e di principi russi sparse un po' dappertutto come le ha poi raccontate — in una testimonianza dal vivo — un amico fedele,di Morra, Alessandro Passcrin d'Entrèves. Una casa che il figlio ha voluto conservare con tutte le reminiscenze di una tradizione alla quale si 6 opposto fin dal lontano ottobre del '22: per una pietas filiale capace di conciliare, in una superiore tolleranza, le fedeltà di una volta con le scelte ereticali c battagliere di oggi. Morra, venticinquenne, ha conosciuto Piero Gobetti che era di quattro anni più giovane di lui. L'ha conosciuto nel giorno stesso della marcia su Ro¬ ma, recandosi in treno da Firenze a Torino per salutare il ncodircttorc della Rivoluzione liberale, che da qualche mese aveva lanciato il suo movimento, la sua rivista: dopo l'esperienza un po' acerba c composita di Energie nove. Uomo solcato da interessi letterari prima che politici, conoscitore profondo della letteratura inglese, studioso del mondo occidentale, al di fuori di ogni provincialismo e di ogni autoctonia, Morra ha incontrato Gobetti nelle scelte morali prima ancora che in quelle politiche, è stato assiduo al suo fianco prima nella Rivoluzione liberale e poi nel Barelli, ne ha tramandato l'eredità all'indomani della morte a Parigi, continuando a scriverne anche nei giornali tollerati dal fascismo. Esule in patria, come molti altri: in una linea di ri¬ serbo crociano, ma con un liberalismo rifcrmcnlato nell'esperienza revisionista, in cui si 6 riflessa la parabola di «Giustizia c libertà». Combattente nel partito d'azione senza averne la tessera: uomo senza tessere, sempre. Liberale di sinistra, che in taluni momenti del dopoguerra si avvicina pure al partito comunista. Qualche punta di contatto con Sergio Solmi. Un gobcltiano portato a interpretare piuttosto a sinistra il «depositimi fidei» della Rivoluzione liberale. Uno studioso e un amico di Gobetti che mise sempre al centro dell'esperienza del suo eroe l'incontro con Gramsci, l'esperienza torinese dei consigli di fabbrica, l'apertura problematica e quasi rabdomantica alle nuove esperienze del movimento operaio, al di fuori della cornice esausta del vecchio socialismo vcrbalista c inconcludente. Un uomo sempre schivo, sempre riservato, alieno da ogni pubblicità. Due anni fa la sua morte fu circondata dallo stesso riserbo che ne aveva accompagnalo la vita. E' perciò straordinario che un vecchio istituto universitario come la Normale di Pisa abbia promosso qualche settimana fa un convegno su Morra di Lavriano, aperto da una bellissima relazione di Hobbio (tutta incentrata sul rapporto fra Morra e Cìobctti). Ed è egualmente consolante il fatto che un vecchio editore torinese come la Utct abbia deciso di stampare, come strenna per i suoi lettori, come segno di augurio per il 1984 in questo mondo desolato e tormentato, un manoscritto incompiuto di Umberto Morra, che noi tutti, fedeli a Go- betti, volevamo vedere completato, arricchito da un mirabile saggio di Bobbio. La vita di Piero Cìobctti, come dice il titolo, anche questo antico c senza retorica. L'aveva commissionata, a Morra, un suo amico (e nostro grande amico) che era stato rifugiato a Cortona durante l'occupazione nazi-fascista e li aveva disegnato le lince dell'indimenticabile antologia, con quel lontano timbro oriancsco nel titolo, 1m lotta politica in Italia: Nino Valeri. Lo storico più gobettiano, meno conformista, più ereticale che abbia avuto la nostra recente storiografia. Direttore allora della collana delle biografie dcH'Utct; autore della bella e illuminante silloge della Rivoluzione lìlwrale, quella stampata da De Silva nel dopoguerra. Morra attendeva al libro su Gobetti da parecchi anni. Ma aveva una specie di supremo pudore a completarlo. Aveva troppo amato Gobetti per riu scirc a scriverne in modo di staccato e storicamente pacificato. Noi ricordiamo un fenomeno simile di resistenza alla parola scritta, di sovrana prodigalità di se stesso, di incapacità a chiudersi nei limiti della carta stampata: Alessandro Casati. 11 grande amico di Cro ce, il grande studioso dell'Illuminismo che non ha lasciato quasi traccia scritta della sua prodigiosa cultura e della sua sterminata erudizione. Perché si arrestava — sapendo già lutto — ogni volta che si trattava di scrivere su qualcuno dei temi che egli meglio conosceva. Lo stesso fenomeno, lo stesso disdegno aristocratico (Cassati era crede dell'aristocrazia 'lombarda, rispetto a quella piemontese: l'aristocrazia delle Cinque giornate) si può notare in Morra di Lavriano. E noi, che fummo amici di Morra per trent'anni e che cercammo di aiutarlo nel completare questa biografia, dobbiamo dire che l'opera non è solo incompleta sul piano della stesura (arriva appena alla fondazione della Rivoluzione liberale e si intrattiene con nuovi c singolari apporti sul direttore di Energie nove) quanto incompiuta sul piano delle scelte fondamentali metodologiche. Alla fine della lettura gli interrogativi su Gobetti si infittiscono. L'inedito di Morra ha questo di straordinario: che moltiplica le domande sullo straordinario arcangelo della «rivoluzione liberale» anziché ridurle. Contributo esso pure a quella storia incompiuta dell'uomo che è sempre per Gobetti come per noi, la storia della libertà. Giovanni Spadolini