Le molte vite di Yasser Arafat di Igor Man

Le molte vite di Yasser Arafat A Tripoli ha chiuso l'ultimo capitolo della sua lunga militanza, pronto ad aprirne un altro; un'Odissea non da Ulisse, ma da Penelope Le molte vite di Yasser Arafat Come già nel settembre «nero» del 1970 in Giordania, non sono «sionisti e imperialisti» quelli che lo cacciano dal Libano, ma gli stessi «fratelli» arabi - Da sempre la sorte del leader dell'Olp è quella di fare e disfare la tela delle alleanze, promuovendo intese, organizzando intrighi - Da giovane studente d'ingegneria al Cairo negli Anni 50 a protagonista del dramma palestinese - Sempre in equilibrio tra la soluzione politica dei problemi e la tentazione della scorciatoia terrorista Il destino è proprio un regista ironico: Yasser Arafat ha lasciato il Libano a bordo di una nave dal nome Odysseus. E' la sesta migrazione forzosa del palestinesi, ricomincia l'Odissea di Arafat, ma per la seconda volta nella storia dell'Olp i Proci, come già nel settembre «nero» del 1970, sono 1 «fratelli» arabi non già 1 sionisti. Ricomincia l'Odissea di colui che qualcuno ha definito «l'arabo fenice» e non è incauto prevedere per 11 leader dell'Olp un futuro da Penelope piuttosto che da Ulisse. Fare e disfare la tela delle alleanze, promuovendo intese e organizzando intrighi, navigando sul filo del vento pronto a virare a diritta o a sinistra in rotta per un approdo sempre più lontano e incerto: ecco la sorte di quest'uomo che riassume in sé, appassionatamente ancorché non senza una punta di demagogico protagonismo, la tragedia del reietti della terra, di un popolo, quello palestinese, di quattro milioni condannato alla diaspora fuori e dentro i confini del rissoso mondo arabo. Ora che, contro tutte le previsioni, Arafat è riuscito a salvare la pelle sua e di quattromila fedayn vlan fatto di domandarsi come mai e perché. Come mal e perché gli israeliani che scatenarono la guerra del Libano nel giugno del 1982 proprio per estirpare il «bubbone» palestinese e che fino all'ultimo sono apparsi decisi a chiudere nella trappola di Tripoli Arafat, hanno lasciato, infine, che partisse? La risposta più superficiale può essere: perché cosi han voluto gli americani secondo l'assunto che quel che conta è liberare 11 Libano dalla presenza delle forze straniere. In verità, per quanto paradossale possa apparire, gli americani e, per conseguenza, gli israeliani, hanno compreso che lasciando liquidare fisicamente Arafat dal «dissi denti» palestinesi armati e fo' raggiati dalla Siria avrebbero ' finito col favorire non tanto 1 disegni della Siria quanto 1 ' progetti egemonici dell'Urss.: Una Olp tutta di duri, infeudata completamente alla Si- ria avrebbe dato al regime di Damasco (con o senza Assad) un potere contrattuale e una valenza politica tali da rendere perigliosi eventuali negoziati, segreti e non, sull'assetto del Libano. Ancora: una Sirla molto forte, diclamo «imperlale» avrebbe fatto 11 giuoco di Mosca cosi come un Israele forte e diciamo «imperiale» fa 11 giuoco degli Stati Uniti. Mai 1, sovietici si erano spinti tanto oltre nel rifornii e di armi, neirassistere un Paese arabo come han fatto con la Siria. L'aiuto di Mosca, nel 1970, all'Egitto era più massiccio ma non cosi up to date, era meno sofisticato e meno diretto. Per servire, manutendere e rendere operative le loro basi di missili In Sirla, 1 russi hanno Inviato non meno di cinquemila uomini, fra tecnici e militari. Il sistema radar installato alla periferia di Da- masco è collegato via satellite con le basi missilistiche della Russia meridionale. il totale assorbimento (e asservimento) del palestinesi da parte della Sirla avrebbe consentito all'Urss di armare, secondo la stima del New York Times (vedi l'articolo di Drew Midelton del 27 giugno 1983), ben dodici battaglioni di 550 uomini ciascuno, con materiale ultramoderno, ribaltando In positivo la capacità offensiva del .siro-palestinesi. A questo punto In Libano ci sarebbe stata una frontiera nuova: da una parte l'Occidente, dall'altra i sovietici. E' quello che volevano evitare 1 Paesi arabi moderati e 1 Paesi del Maghreb, nonché gli europei, che tanto si sono affannati per far comprendere agli Stati Uniti (e indirettamente agli Israeliani) quale disastro avrebbe comportato una simile «nuova frontiera» nel cuore del Medio Oriente. O'è da dire, perù, che se gli appetiti della destra Israeliana che mira alla inglobatone della Clsgiordania non si placheranno è possibile che Ih Libano si produca una nuova esplosione, lasciando al margini la Giordania di Hussein col risultato di prefigurare un pesante contenzioso assolutamente russo-americano. Tutto ciò è apparso chiaro, e da tempo, ad Arafat. Col suo indubbio talento politico riuscito, salvando se stesso e i suol ultimi fedayn, a dare un tempo di respiro agli arabi non oltranzisti, agli Stati Uniti, all'Europa e allo stesso Israele tuttora traumatizzato dalla sanguinosa spedizione libanese e, per di più, scosso da una profonda crisi esistenziale ed economica. Ma che fare per Arafat ora? Riprendere a tessere la tela dopo averla disfatta per l'ennesima volta, in attesa che si compia la «guerra del clnquant'anni». Quindici anni fa, 11 25 marzo 1968, dopo l'attacco Israeliano alla cittadina giordana di Karameh, roccaforte del commandos palestinesi, Yasser Arafat tiene una conferenza stampa uscendo dalla lunga clandestinità. Nessuno del reporters occidentali (con le debite, rare eccezioni) conosce quest'uomo dalla barba incolta, grassoccio, una kaffia beduina in testa, il revolver alla cintura. Arafat che ha scelto il nome, di battaglia di Abu Ammar in omaggio ad Amman Ben Yasser, 11 grande capo militare del primo secolo dell'Islam, afferma che la -guerra di popolo può durare anche cinquat'anni e che gli arabi dispandono di un'arma potente, quella del petrolio: Un mese dopo era l'uomo di copertina su Time: aveva vinto la sua prima battaglia politica perché 11 problema palestinese veniva finalmente alla ribalta internazionale e si configurava per la prima volta l'Idea che 11 petrolio arabo potesse usarsi come arma contro l'Occidente. Ma chi è questo Arafat? si domandavano gli specialisti del Medio Oriente. Arafat non ha mal parlato volentieri delle proprie origini, preoccupato sempre di disegnare un personaggio semileggendario. Esiste di lui una sola biografia «autorizzata», quella, apparsa due anni fa, del giornalista tedesco Gerhard Konzelmann. VI si legge che è nato a Gerusalemme 11 4 agosto del 1929 da una famiglia palestinese benestante, -gente di commercio e medi proprietari terrieri: Quando lo conobbi, al Cairo, nel 1956, dopo la disfatta di Suez, Arafat, o meglio, Mo- hammed Abed Ar'uf Arafat, era un giovine che affermava ridendo di essere 'Studioso di ingegneria, poeta mancato e rivoluzionario arabo-palestinese-. Oli amici lo sfottevano affettuosamente per la sua vera o presunta discendenza dal Profeta (pare che sia imparentato col Gran Muftì di Gerusalemme) ma mostravano di ascoltare con attenzione il suo «scenario»: un mondo arabo unito con una Palestina indipendente a far da «cuscinetto», da asse di equilibrio. Fin da allora appariva un politico puro, ••che guardava solo alla meta e pensava di potersi alleare anche col diavolo pur di raggiungerla». L'Egitto gli stava stretto, conseguita la .laurea In Ingegneria emigrò nel Kuwait per crearvi un'imipresa di costruzioni, la «copertura» di Al Fatah e del suo braccio armato Al Assifa. Allora a capo dell'Olp, strumento di Nasser, è Ahmed Su keiry, intrallazzatore e parolaio, colui che «promise» che gli ebrei sarebbero stati gettati a mare. Ma chi tiene viva la fiamma dell'irredentismo visitando 1 campi profughi, parlando il linguaggio dei diseredati al quali ricorda che una patria è stata perduta e bisogna lottare per riaverla, è lui, Yasser Arafat. . Dopo la disfatta del 1967, Arafat entra clandestinamente In Giordania organizzando cellule di Al Fatah. Nel febbraio del 1969 viene eletto leader unico dell'Olp. Ma già la sua kaffia a pepi neri e bianchi, il suo revolver avevano fatto 11 giro del mondo. A quel tempo Arafat, «nazionalista e basta» come amava autodefinirsi, subiva il fascino del marxista Georges Habbash e il suo terrorismo secondo la filosofia che «il fine giusti¬ sNrstd à A o o ¬ fica i mezzi». Ed è proprio l'influsso pernicioso della corrente marxista dell'Olp a spingerlo a sfidare re Hussein: «La Giordania non è abbastanza grande per averci tutte e due», disse una volta. E fu il «settembre nero». I fedayn erano coraggiosi ma l'esercito beduino sapeva fare la guerra: ne risultò un massacro, con la Siria a guardare dietro una cortina di promesse non mantenute: Quando Nasser convocò una conferenza di pace al Cairo, Arafat si presentò armato all'incontro e dissero che voleva uccidere Hussein. Poi, da buon politico, prese la strada dell'esilio e si mise a tessere un'altra tela. E furono gli anni del Libano, con Arafat vero capo e signore del già felice Paese dei cedri. Ma ancora una volta il settembre si rivelerà per lui un mese fatale. E' Infatti nel settembre del 1982 che Arafat abbandona Beirut diretto ad Atene, dopo essersi salvato in extremis con un ennesimo capolavoro di acrobazia politica. Che farà, ci si chiese allora? Prese a tessere una tela che l'intransigenza del «falchi» foraggiati dalla Siria e dalla Libia doveva mandare in pezzi: quando, dopo 11 vertice palestinese di Algeri, l'accordo con Hussein per usare il plano Reagan come una scorciatoia verso un negoziato con Israele sembrava cosa fatta, Abu Amman venne clamorosamente sconfessato. Il resto è cronaca viva. Condita di umiliazioni, di amarezza ma ravvivata, occorre rico-' noscerlo, da una passione politica di spessore storico. Adesso che ha salvato la pelle riuscirà a salvare 1 ' Olp, riuscirà a ritornare l'Arafat del 1974 quando, davanti a mille delegati dell'Onu, proclamò di reggere con una mano un ramoscello di ulivo e con l'altra 11 fucile? Quand'era pressoché un ragazzo, al Cairo, scrisse una poesia: Domani è sempre un altro giorno. E finora, quell'uomo dalle molte vite che è Yasser Arafat ha saputo dimostrare che per lui, veramente, «domani è sempre un altro giorno». Igor Man sbpstpg.lnippbltkl. , Tripoli. Le banchine del porlo libanese affollate di fedayn che si imbarcano sulle cinque navi greche (Tel. Associated Press)