I posti non cresceranno neppure nel «dopo crisi» di Mario Salvatorelli
I pósti non cresceranno neppure nel «dopo crisi» Benvenuto: non facciamoci illusioni I pósti non cresceranno neppure nel «dopo crisi» DAL NOSTRO INVIATO TERNI — Non sembra dubbio che la crisi dell'acciaio abbia dimensioni mondiali e tempi lunghi. Però, in questo quadro, si sarebbe portati a ritenere che la Comunità europea, forse per un certo suo complesso d'inferiorità nei confronti degli Stati Uniti, dimostri la vocazione al sacrificio. Infatti, secondo i dati più recenti, relativi ai primi dieci mesi 1983, la produzione d'acciaio nella Cee, Grecia e Irlanda escluse, ha registrato un flessione del 0,7 per cento rispetto allo stesso periodo 1982, contro diminuzioni del 4,2 in Giappone, di appena lo 0,7 per cento negli altri Paesi del mondo occidentale aderenti all'Usi — In-, ternazional Iron and Steel Insti tu t e — ma esclusi gli Stati Uniti, dove si è registrato, invece, l'incremento notevole del 6,4 per cento. Di fronte a questo squilibrio di oltre 12 punti — quasi 6 al passivo, oltre 6 all'attivo — tra Europa e Stati Uniti, ci si domanda perché all'Italia s'impongano altri tagli «siderurgici», e proprio alla vigilia, se non all'inizio, d'una ripresa dell'economia mondiale, che negli Stati Uniti è già in pieno svolgimento. E, quando si dice Stati Uniti, si dice anche il 50 per cento dell'economia occidentale, in grado, quindi, di trainare l'altra metà, come sta avvenendo in Giappone, in parte dell'Europa, e si avverte, ma appena appena, in Italia. «Non c'è da illudersi, però, che l'uscita dalla crisi possa significare anche un aumento dell'occupazione-. Giorgio Benvenuto, nel fare questa affermazione, ha scelto la città di Terni, dove si è svolto nel giorni scorsi un convegno su «Crisi economica e ristrutturazione industriale-, e nella quale il tasso di disoccupazione, come ha precisato il presidente dell'Associazione Provinciale degli industriali. Bruno Urbani, tocca 1118 per cento, contro un tasso nazionale che si aggira sul 12. Ma il segretario generale della Uil ha ribadito che 1 posti di lavoro nell'industria sono destinati a diminuire, perché anche l'Italia è entrata nella fase post-industriale, perché la .miopia» di cui tutti, politici, imprenditori, anche sindacati, hanno sofferto negli anni passtl deve lasciare il posto a una chiara visione della realtà, e aprirsi a un patto tra le forze produttrici per l'innovazione tecnologica. Benvenuto ha fatto un solo esempio, ma significativo: nel 1980 occorsero 105 mila lavoratori per produrre un milione 400 mila automobili, lo stesso numero prodotto quest'anno con 68 mila e che potrà essere prodotto nel 1985 con 53 mila lavoratori. Cioè, in appena cinque anni, metà occupazione a parità di prodotto. Le proposte avanzate da alcuni relatori, nel convegno di Terni, hanno coinvolto, ovviamente, le piti recenti leggi itallane,;cprne la.675—pr({ <U salvataggio tihe'drrlstrutturazlone, còme ha commentato Urbani —, come la 902, e l'ultima, la 46, per l'innovazione, praticamente ancora ferma e «sotto il mirino della Comunità europea», che crede di cogliervi forzature della concorrenza. La via maestra da percorrere, però, a giudizio di Giorgio Benvenuto, è quella della politica dei redditi, un serio impegno «di sinistra» con determinati obiettivi: riduzione del disavanzo pubblico, dell'inflazione, delle indicizzazioni (compresa la revisione della scala mobile), per liberare risorse necessarie all'innovazione tecnologica, alla nuova occupazione nel servizi, e al nostro riaggancio all'Europa. Un quadro, questo, che porta a un unico obiettivo: l'aumento della produttività, quale si è già verificato anche nell'acciaio (in cinque anni l'occupazione siderurgica nella Cee si è ridotta del 40 per cento, ma la produzione solo del 29 per cento), e si dovrà ottenere nei prossimi anni in tutti i settori, maturi o nuovi, dell'industria. Mario Salvatorelli
Persone citate: Bruno Urbani, Giorgio Benvenuto, Iron, Urbani
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