Processo Chinnici, ascoltata in aula la cronaca di una morte annunciata di Guido Rampoldi

Processo Chinnici, ascoltata in aula la cronaca di una morte annunciata Il dialogo tra il libanese Chebel e il commissario De Luca tre giorni prima dell'attentato Processo Chinnici, ascoltata in aula la cronaca di una morte annunciata L'informatore aveva descritto nei minimi particolari la dinamica dell'imminente strage - «Mettono una macchina piena di esplosivo e da cento metri la fanno saltare» - Nella conversazione si parla di una «talpa» alla questura di Palermo - Impiegate sette ore per sentire parola per parola quindici minuti di registrazione DAL NOSTRO INVIATO CALTANISETTA — «Adesso hanno voluto fare un 'altra cosa, cioè come fanno i palestinesi, mettono una macchina caricata e dopo un ccìito metri, centocinquanta, st possono schiacciare un bottone, un radar, e si scoppia la macchina ... Vuol dire, io non so. diciamo De Francesco, Falcone, passerà per questa via, tutte le mattine loro sanno a che ora passa perché loro hanno anche da lì, dalla questura, tante piccole informazioni, passerà con la macchina lui, c' è una macchina ferma, appena lui passa uno dai duecento si schiaccia come un radar, e così si scoppia da lontano. Allora si fa fuori, non so. tutti quelli che sonoattorno, trenta-quaranta persone'. Smembrata in aula con l'ausilio di un registratore, anatomizzata parola per parola e perfino nel fonemi, la telefonata fatale si spezzetta in un rincorrersi di frasi monche. E' del 26 luglio: il libanese Chebel descrive al capo della «Crlmìnalpol» di Palermo, De Luca, la strage in cui di 11 a tre giorni morirà il giudice Chinnici. Tre giorni per evitarla. Ma Chebel non ha parlato di Chinnici. e forse non gli si crede più di tanto. Cosi il 29 Chin nici, mai avvertito e dunque ignaro, viene ucciso dall' esplosione di un'auto imbottita di tritolo e innescata a distanza: esattamente come annunciato. Adesso tecnologia e procedura soffocano il pathos di quelle parole, che una registrazione poco nitida e una riproduzione confusa velano qua e là. Chebel ha detto ad un certo punto: «Abbiamo parlato anche a Milano», oppure «Abbiamo parlato italiano?», vuol sapere con insistenza la difesa dei Greco. E il registra\ tore si ferma, torna indietro & riparte una ventina di volte. «Italiano-, sentenzia il presidente della Corte. «No, è un'altra parola», ribattono i legali. Si prova a cambiare la velocità di ascolto, la voce di Chebel risuona prima stridula poi grave. Mezz'ora se ne va su quella inconcludente disquisizione fonetica. E quel rumore di sottofondo che riecheggia dietro i discorsi di Chebel, non assomiglia forse ad un miscuglio di clacson, st lidio di gomme, rombare di motori, non è insomma il più classico rumore del traffico?, domanda l'avvocato Maisano. difensore dell'imputato Pietro Scarpisi. Ma allora, incalza, com'è possibile che Chebel telefonasse dall'Hotel Capo di Taormina, che è incassato tra la scogliera e lontano, lontanissimo da qualsiasi strada? «Io ho sentito solo musica di sottofondo», replica il presidente. «No, è rumore di traffico, dunque è falso clic la telefonata sia partita dall'albergo, come scritto nel verbale di polizia». Discussioni, celie, cavilli: l'udienza di ieri non è altro. Quasi sette ore per ascoltare, decifrare e trascrivere quindici minuti di conversazione, quattro telefonate. L' ultima è quella del 26, la prima risale al 21. Chebel da Milano racconta a De Luca di traffici d'armi, spiega che sta per «scendere giù» in Sicilia un mafioso con «otto, nove pezzi», cioè pistole. Si chiama Pippo, è tra i 40-45 anni, piccolo, capelli neri e ricci: da telefonate successive s'intuisce che è coinvolto nell'organizzazione della strage; ma gl'inquirenti finora non sono riusciti ad identificarlo. Chebel parla anche di un uomo della mafia in questura: «C'è uno della questura, Squadra Mobile, non mi ricordo, Antidroga... Vn tipo non tanto grande nel grado, diciamo... ufficiale, ma un po' di tempo che si trova lì, dà tante informazioni per loro, per la mafia». Esiste davvero 11 poliziotto corrotto descritto con molta approssimazione da Chebel? La questura a suo tempo smentì. Ora secondo indiscre¬ zioni prive di conferma, un personaggio sospetto sarebbe stato individuato e trasferito. Nella cronologia delle trascrizioni la telefonata del 21 è preceduta dalla chiamata del 15 luglio, in cui Chebel e De Luca parlano di un attentato contro ^quella persona» e De Luca spiega che l'argomento preme molto alla polizia; i due si congedano dandosi un appuntamento telefonico per il giorno dopo. Ma agli atti non risultano telefonate del 16 ed è singolare che nella chiamata nel 21 non si faccia cenno al discorso interrotto sull'attentato. C'è insomma un buco di cinque giorni, e là difesa di Vincenzo Rabito torna a sottolineare l'incongruenza. Il pubblico ministero Nunzio Di Natale azzarda questa spiegazione: può darsi che in quel cinque giorni non vi siano state telefonate, ma semmai un incontro diretto tra Chebel e De Luca. No, il funzionarlo non ne parla nella sua deposizione. Ma neppure gli è stata posta la domanda. Chiarirà In aula. I «luoghi» classici del processo per strage a questo punto ci sono tutti: le registrazioni che forse mancano, l'infiltrato che non si sa bene da che parte stia (Chebel), i dubbi sull'operato della polizia; la solita tela di misteri reali o Insinuati ad arte. La difesa del Greco, imputati quali mandanti, solleva altra polvere e grida alla persecuzione: «Inostri clienti? Cittadini integerrimi». L'avv. Rutili,cita a discarico il questore di Palermo: « Nel maggio del 1982 rinnovò il passaporto a Michele Greco». Due mesi dopo la procura di Palermo spiccò un ordine di cattura contro Michele Greco, che era già latitante; se espatriò, non ebbe bisogno di documenti falsi. Guido Rampoldi

Luoghi citati: Milano, Palermo, Sicilia, Taormina