Vive in una cella bunker il libanese che «sa troppo» sul delitto Chinnici

Vive in una cella bunker il libanese che «sa troppo» sul delitto Chinnici Caltanissetta: riservato a lui un intero braccio, non esce mai, gli assaggiano i cibi Vive in una cella bunker il libanese che «sa troppo» sul delitto Chinnici DAL NOSTRO INVIATO CALTANISSETTA — Come re e principi d'una volta, a tavola dispone d'una cavia. Da cinque mesi unico ospite di un braccio del penitenziario di Caltanissetta, dove hanno accesso solo alcune guardie carcerarie accuratamente selezionate, il libanese Ghassan Bou Chebel accetta solo il cibo già assaggiato in sua presenza da un secondino. «Ho paura di veleno», ha scritto nel suo italiano approssimativo. Rossella Giannone, suo difensore d'ufficio nel processo che lo vede imputato, dell'as, sassinio;dél' giudice' Chinnici, • racconta' anche che - Chebel ha ottenuto la possibilità di fare e ricevere telefonate; e nello spazio di pochi giorni gli sono arrivate diverse chiamate intercontinentali, dall'Arabia Saudita ad esempio. Legge ogni giorno parecchi quotidiani, per tenersi aggiornato sul processo. Pochi detenuti sono protetti e vezzeggiati come lui; pochi sono altrettanto terrorizzati. « Vivo in inferno, sto sempre chiuso», si legge in una delle sue lettere. Ha ridotto anche le passeggiate durante l'aria, solitario nel cortile nella sua tuta rossa, per paura d'una pallottola. Teme la mafia, non si fida dello Stato. Ha detto Ieri sera all'avvocato Giannone, nella sala dei colloqui: «Carabinieri, polizia, finanza, servizi segreti: mi hanno mollato tutti. Sto tra due fuochi, tra la mafia e l'antimafia». Destino di un informatore «bruciato» che sa molto, forse troppo. «Certo pia di quanto ìia raccontato ' negli interrogatori» commenta il pubblico ministero. Nunzio Di Natale. La verità di Ciiebel è nella lettera datata 13 agosto che inviò ad un alto funzionario della Crimlnalpol di Palermo, De Luca, e nella quale indicò i probabili obiettivi: De Francesco, 11 giudice Falcone e quelli che «ficcano il naso nelle indagini sulla mafia». Ma, lamenta Chebel, «quando sono stato in questura dicono die non sono stato preciso a ehi devono fare fuori, o che non erano sicuri della mia soffiata, o intendono die racconto palle. Ma allora se io racconto palle perché doppiato scorta a De Francesco?». Conclusione: «Hanno trovato me per far tacere opinione pubblica». Infine un appello («Appena viene a trovarmi li dico tutto, e ho tante cose da dirti») e un «nota bene» in calce: «Ti prego di avvertire il tuo capo, "Sebastian"». Per le telefonate fatte prima della strage e |>cr le accuse mosse agli altri imputali, Chebel si annuncia come la figura-chiave del processo; ma le ambiguità del personaggio offrono alcuni spazi alla difesa dei Greco, di Scarpisi e di Rabito. Per i legali degli ultimi due il libanese è una figura sordida, dunque assolutamente inattendibile: lenone, implicato in traffici loschi (armi, auto rubate, droga). Probabilmente perfino le camicie di seta e di colore eccentrico trovate nella sua valigia saranno evocate come prova di anomale tendenze, per adombrare che i rapporti con Scarplsi e Rabito fossero di tenore assai diverso da quello che Chebel racconta. Ma le focose lettere scritte alla sua fidanzata, una spogliarellista greca, c le testimonianze di portieri d'albergo sulle sue amicizie occasionali, acquisite agli atti, contraddicono questa inshwaalo^"--— , | La difesa dei Greco dov/ebr bémùovòrsfifCdffeiioric òp? posta, per sostenere che Chebel non è affatto un piccolo bugiardo, infimo confidente di polizia, ma figura di ben altro calibro; lunga mano di una manovra per colpire i Greco. |>crsegii itati benestanti. Chi sia davvero Chebel, se lo chiedono i suoi stessi difensori. Un dato è incontestabile era un informatore di alto rango. Le registrazioni delle telefonate che faceva dimostrano come a distanza di poche ore comunicasse con guardia di finanza milanese, ministero degli Interni, Crimlnalpol, Interpol; Chebel aggiunge di essere stato utilizzalo dai carabinieri, dal Sismi, dai servizi segreti americani, che gli avrebbero chiesto informazioni sul traffici di armi e di droga, sul terrorismo intemazionale. E lui sempre pronto. Che cosa ebbe in cambio? Forse soldi, probabilmente il lasciapassare per le sue poco chiare attività di import-export, di certo l'impunità: 1 funzionari che informava sapevano di avere a che fare con un ricercato. Ma a quanto pare anche la magistratura di Milano aveva dato via libera alla polizia, perché Chebel garantiva notizie importanti. «Sono riuscito a fare gran lavoro e grandi blitz ha scritto nella lettera al dottor La Corte —, non come que sto falso blitz». Guido Rampolli.

Luoghi citati: Arabia Saudita, Caltanissetta, Milano