63, scrittore che cambia di Geno Pampaloni

ìt'anni fa nasceva a Palermo un movimento per rinnovare la cultura italiana: rivoluzione riuscita? ìt'anni fa nasceva a Palermo un movimento per rinnovare la cultura italiana: rivoluzione riuscita? 63, scrittore che cambia Schifano: «Futurismo rivisitato» (part.) lata di nascita (tra il 30 c il '35) si poteva:onsiderare immuni dal dima prebellico. ;schi aveva partecipato al precedente spentalismo di rilievo della nostra letteratura, ittismo degli Anni Trenta, ultimo episodio vello, prima dell'abbassarsi e provincialei della nostra letteratura. Ma mentre i suoi anei (da Bo a Macri) avevano fermato il tempo ideale a quella stagione, Anceschi, ; della lezione teorica di Banfi che incitava •n lasciarsi legare in modo rigido a nessuna «ione, ma a tentare un continuo rinriova- rne ■ le xia sier tutli caso cornuti, dalri' dai iampamoper equen- ìt'annl nel' panano e t anco- mostr Ritengo che la dispersione del Gruppo intorno al '68 abbia lasciato un vuoto effettivo e che questa carema di una organizzazione culturale alternativa alla società letteraria tradizionale, sia in negativo la conseguenza più forte. Oggi a 15 anni dallo scioglimento del Gruppo, più. chea 20 anni dalla sua costituzione, il Gruppo ha la vitalità dei fantasmi necessari. Qualcuno prova brividi retrospettivi, altri lo percepiscono ancora come un incubo attuale, e altri ancora provano certamente rimorsi di coscienza. Uscendo fuori dai nostri confini e anche dalla letteratura un fantasma percorre l'Europa postmoderna, è il fantasma della Nuova Avanguardia. Edoardo Sanguineti Hayez: « tra a Milano dedicat mento, era riuscito a pilotare la navicella della poesia italiana (cui andava il suo interesse prevalente) fuori del pelago dell'ermetismo, cioè di una poesia «chiusa», legata al senso del sacro, e così via, aprendola alla .presenza degli oggetti. Cosi facendo Anceschi aveva consentito un varco attraverso cui sarebbe passata la furia dei «Novissimi» (Sanguinea, Giuliani, Pagliarani, Balestrini, Porta), cosi battezzati nella fortunata antologia curata da Giuliani, nel '61, che si può anche considerare l'episodio più riuscito e decisivo dell'intero arco della neoavanguardia, la risposta, in ambito letterario, al passaggio dalle forme chiuse alle forme aperte, dalla civiltà dell'Ego a quella dell'Es, da un mondo ancora agrario e umbratile a una società industriale e tecnologica sviluppata. Infatti nelle prove dei Novissimi, attraverso l'insegnamento di Pound, o dei Dadaisti, o di un Moni tale radicalizzato, gli oggetti affluiscono, prelevati da ogni contesto di esperienza, in modo da simulare il grande bazar della civiltà . „<itemporanea. Da allora, lo stato della ricerca poetica non è cambiato di molto, e anzi, si sono dovute registrare semmai delle spettacolari conversioni, benché non confesse, vedi 0 caso di Zanzotto, e perfino degli adattamenti, come nell'ultimo Montale. Più difficile la situazione nel campo della narrativa, dato che in quel settore non esisteva una «tradizione del nuovo». E del resto il «genio» della letteratura italiana è forse rintracciabile più nell'ambito della poesia, appunto, che in quello del romanzo. Nel quale ambito occorreva in primo luogo condurre Una «pars destruens». Fu il compito di alcuni critici, tra cui in particolar modo Angelo Guglielmi e il sottoscritto. TI crepuscolarismo, i naturalismi di ritorno, l'etica dei buoni sentimenti avevano fatto e stavano facendo, nel nostro romanzo postbellico, danni ben superiori a quelli che si potevano riscontrare nella poesia. Come rimedio si tentava di riscoprire qualche padre, puntando su diverse linee: la linea Svevo - Pirandello, più che altro contenutisti¬ Rotella: «Estroverso» (part.) guardistici come Baldacci, ma anche per un apprezzabile lavorio (e lavoro) che ha alutato a illuminare zone fino allora1 sjpesso rimaste in ombra nel'fare letterario. Il Gruppo 63 ha contribuito teresse criticamente acuto, anche se per lo più d'importazione, verso la «l'orma» linguistica. Qui siamo nel positivo; non solo per l'apporto di maestri come Anceschi o di critici cripto-avan- bellissimo quadro, alla Ingres: e fa reclame come la •sensualità* sottopelle, insinuante, di .Giulietta e Ro-rf, meo», replicato tante volte e ' dove il Romeo, •considerato con desio dalla femminile curiosità* in certo modo inventa il •divo* cinematografico-, l'eroe bello a grandi tirature, v Ma Stendhal, nel 1828, lo ha definito 'il solo pittore italiano che mi insegna qualcosa di nuovo sulle passioni*; e nel 1838, capitolo XVII della «Certosa di Parrò»., è ad Hayez che viene commissionato il ritratto, ■ vestito semplicemente di nero*, di Fabrizio Del Dongo. Successi, successi, successi. Nel 1838, in quaranta giorni e pei' quarantamila lire, affresca a Palazzo Reale una .Allegoria di Ferdinando d'Austria». E' ricevuto a Vienna, Metternich lo protegge, va ad •aggiornarsi* (ahimé, invece che a Parigi) a Monaco di Baviera. Contemporaneamente, Carlo Alberto gli commissiona «La sete dei crociati davanti a Gerusalemme», ci mette dieci anni a dipingere l'immenso, bellissimo quadrone oggi intrasportabile dal Palazzo Reale di Torino, e ci incassa sessantamila lire. La stampa piemontese lo tratta malissimo, lo accusa di •pennellivendolo*: gli sbatte in faccia il ben più acceso patriottismo (?) del Verdi nei «Lombardi alla Prima Crociata». Ha già sessant'anni. Campa insomma tanto, Hayez, che al momento dell'Unità è considerato dalla •nuova pittura*, un sopravvissuto, un rudere. Lui intensifica le ricostruzioni storiche-archeologiche: tra pedantismo alla Schliemdnn e Dorè. Ma cerca sempre un parallelo di vitalità, di mano (salvo i tempi) con l'adorato Tiziano. Quando muore, novantunenne, Verdi scrive: •E' morto Hayez, il venerato vecchio, il grande artista, il perfetto onest'homo*. I contestatori del tempo (finiti in Cremona e Ronzoni, o nel •pompiere* umbertino) avevano schernito perfino il suo periodo migliore, quello tra 1820 e 1840, come: •La rivoluzione del trovarobe*. Claudio Savonuzzi Ma accanto a questo filone di fedeltà al vissuto, nella sua accelerazione e franchezza impietosa richiesta dalla società di oggi, si sviluppava anche un filone alternativo di ricerche artificiali, consapevoli e orgogliose di essere tali (la «letteratura come menzogna» di Manganelli, o in direzione molto diversa, l'assemblaggio neo-dadaista di materiali già scritti, da parte di Balestrini, o più in genere una prospettiva di «riscrittura», di letteratura al quadrato, piena di germi verso il futuro). H tutto, beninteso, sfociava nel dibattito filosofico e ideologico, il cui dato di fondo stava nella consapevolezza del rapporto «alla pari» tra le forme di ogni ambito di ricerca. La letteratura non doveva più suonare il piffero alla rivoluzione, ma essere essa stessa rivoluzionaria nel proprio ambito, farsi carico di un rinnovamento parallelo a quello che intanto stava avvenendo in ogni altro settore della cultura. In questo ambito di interessi emergeva i! contributo di Umberto Eco con la sua fortunata «Opera aperta», del '62. I! Gruppo 63 fu la cassa di risonanza, l'e¬ ca, volta a introdurre la rivoluzione freudiana a livello comportamentale e psicologico. Oppure la linea di Gadda e del pastiche linguistico. Ma appariva utile soprattutto additare al nostro fiacco clima le ricerche più rigorose che si conducevano in Francia col Nouveau romin, o in Germania, con Gunter Grass e gli altri eredi del Gruppo 47. E per l'Italia, molta attenzione andava a Arbasino, l'unico «nipotino dell'ingegnere» che non concedeva ai miti di un'Italia popolare e contadina, a differenza di Pasolini e di Testori; oppure all'intelligenza vivace e prensile di Calvino, o agli eroi psicopatologicamente deliranti di Volponi. Non era infatti il caso di riproporre l'alto e olimpico dramma di coscienza degli autori primonovecenteschi; i tempi richiedevano che l'immersione nel «profondo» e nei ritmi accelerati della vita contemporanea avesse anche un corrispettivo linguistico. Di qui la formula dello stile basso, di un super - esistenzialismo, al limite con l'onirico («Capriccio italiano» di Sanguinei!, «Partita» di Porta, e poi Malerba, Celati...). con le sue polemiche ad arricchire la critica italiana, anche quella dei più tiepidi alleati o degli avversari. Si torna nel negativo con il terzo aspetto: la pretesa, o peggio la convinzione, di poter programmare una nuovaletteratura, di poter individuare una normativa, una prescrizione, un codice quasi infallibile di sicuro accesso all'arte. Gli effetti, devo ripetere, sono stati devastanti. Il frutto migliore della neo-avanguardia di venti anni fa è stato l'ultimo Palazzeschi, fiorito sulle ceneri del primo, nonché l'innesco indiretto a certe vertiginose «trasgressioni» del petrarchesco Zanzotto. Poi qualche apostata o profugo, come Arbasino ed Eco; i versi, sempre molto intelligenti, di Sanguineti, qualche scheg¬ Renato Barilli gia di Giuliani, qualche buon testo tra pedagogico e narrativo di Gramigna, e una catasta, un coacervo, di ambizioni male apposte. Forse non è neppure tanto poco per una generazione; ma certo assai poco a netto delle ambizioni e della sicumera. Bicordo che a Firenze, in un convegno al Forte del Belvedere, un tale ricamò a lungo un paragone tra l'opera narrativa di Sanguineti e quella di Kafka, a vantaggio, sembrava di capire, del primo. Dietro di me era seduto Umberto Eco, che, onestamente detto, sbuffava. Di là dal piazzale, quando uscii, la vista di Firenze era proprio (mi sia perdonata la parola aborrita da Vittorini) una consolazione. Geno Pampaloni Una scultura di Mario Ceroli