Per la Cvetaeva felicità è una lettera d'amore

Letteratura Letteratura Per la Cvetaeva felicità è una lettera d'amore L5 OPERA di Marino Cvetaeva, grande poetessa russa, per anni rimossa dalla «coscienza culturale» dell'Occidente come dell'Urss, si va oggi arricchendo di nuove edizioni e anche di inediti: e questo lo sappiamo da Serena Vitale, che della Cvetaeva è, in Italia, la studiosa e, soprattutto, la sottilissima interprete. Come ogni nuovo libro, anche queste mondadoriane Notti fiorentine, mai pubblicate prima di oggi (seguite dalla Lettera all'Amazzone, che vide la luce nella stessa veste, anch'essa inedita, due anni fa, in Italia), ripropongono possibilitàche annullandosi si incastrano: la riccchezza della povertà, l'uscita e il rientro, l'esserci dell'assenza, e scandiscono negativi .(.non», .mai», .nulla») controbilanciati con forza dai positivi (gli «interi», il .sempre» e il. tutto»). Ascoltiamo le epistole delle Notti fiorentine, dirette a un uomo: «Caro, non ho mai scritto a nessuno lettere simili (da quando tengo in mano la penna, — no, da quando la penna mi tiene, — no dal tempo lontano delle mie piume d'angelo—sempre, a tutti. E tuttavia credetemi»;. £ poi la lettera, unica e lunghissima, dedicata alla ben nota scrittrice androgina americana Natalie Clifford Barney, dieci anni dopo, nel 1932: «Ho letto il vostro ■libro. Voi mi siete vicina come tutte le donne che scrivono. Non adombratevi per questo "tutte" — non scrivono tutte: scrivono solo quelle tra tutte. Dunque, voi mi slete vicina co,me ogni essere unico femminile». impossibile afferrare la portata dell'orgogliosa profferta di amicizia verso la Barney (.Ascoltatemi, Voi non dovete rispondermi, dovete solo ascoltarmi») senza ricordare l'estrema Infelicità e indigenza di Marina esule a Parigi: diciamo, senza percorrere, anche se nel modo pili frammentario, la traiettoria esistenziale della poetessa russa. fiutata da Marina come espressione di ideologia e di violenza: ritroviamo negli Indizi terrestri (Milano, Guanda, 1980) la terribile vita di Mosca, Ut miseria divisa con le due figliolette, A Ija e Irina (la seconda morirà di stenti in un asilo), l'assenza del marito arruolatosi nelle guardie bianche, tutto sulla nostalgia di un'epoca irrimediabilmente tramontata ma più vera del presente. " Nel maggio 1922, Marina e Alia raggiungono Berlino e II, nell'attesa del marito, in uno scorcio di stagione, fiorisce in Marina l'amore brevissimo per l'editore Abram Grigor'evlc Wysnjak, al quale dedica in russo le Nove lettere, che rielaborate In francese diventeranno, dieci anni dopo, Le notti fiorentine. Dopo la Boemia, nel 1925, comincia infatti con Alja e il 'bambinetto Georgi) la durissima vita di Parigi, dove la poetessa, per quanto ormai assai nota, si ritrova stretta tra l'indifferenza degli editori francesi e l'ostilità dei compatrioti. Nel '1939 decise di tornare in patria, ma non vi ritrovò né il marito, rimpatriato prima di lei e probabilmente fucilato in quell'anno, né la figlia, finita in prigione, poi al confino e liberata soltanto nel 1956. Evacuata nell'Asia centro-orientale con il figlio, Marina mori suicida a Elaguba ti 31 agostomi. Le due prose, pubblicate oggi con il testo a fronte francese e completate dalle , T TN libro inconsueto, che non allettava l'anima, non \\ vJ aveva lacrime, non era buono, non sperava e non rr :«Hsper8va;;un libro che non corcava in nessun mo- ? do di allettare il lettóre...». Quel che' Giorgio Manganelli scriveva nel 1976, recensendo Un borghese piccolo piccolo, può valere anche per questo nuovo romanzo di Cerami, il ■ suo terzo, preceduto dal poema Addio Lenin. Lo scrittore romano è rimasto fedele ai suoi temi (la violenza, il rapporto fra le generazioni) e al suo brusco modo di enunciarli. L'<m-ubo contro cui Cerami continua ad avventarsi è quell'esistenza media, senza passato e senza futuro, tutta ripiegata nella difesa di quel poco che ha messo da parte, abitudinaria e cinica e sadica per eccesso di paura, Stefano, studente di liceo, va tutti gli anni in vacanza nella stessa pensione dello stesso paese dolomitico: Non gli manca una famiglia .regolare» che pare discretamente attenta a proteggerlo e ad assecondarlo, ma certo non può seguirlo nella sua ansia di rompere con quanto è mediocre e meschino, nel suo bisogno di assoluto. Stefano cerca un padre, e trova un nonno nelle pagine di un libro acquistato un po' a caso: è nientemeno che Gustav Aschenbach, Il protagonista di Morte a Venezia. A distanza di cento anni, lo stesso «sfibramento allarmante», lo stesso ansioso «desiderio di cose nuove e lontane» uniscono il vecchio scrittore gugltelmino e il ragazzo dell'età del riflusso che deve immaginarsi un futuro. Non per nulla l'unica incerta fraternità Stefano crede di provarla per Lucia, la ragazza del bar, né bella né intelligente, ma decisa a vivere la sua vita di rapina, in sprezzante contrapposizione con il mondo degli adulti. «La gioventù si appassiona solo ai problemi», scrive Mann. Di fronte alla pochezza, alla superficialità, alla miseria morale dei villeggianti, il problema di Stefano è prò- «Nozze in cielo»

Persone citate: Cvetaeva, Giorgio Manganelli, Gustav Aschenbach, Lenin, Mann, Natalie Clifford Barney, Serena Vitale