Nel Cile verso l'ultima sfida di Igor Man

Nel Cile verso l'ultima sfida COME SI PREPARA UNO SCIOPERO NAZIONALE CONTRO PINOCHET Nel Cile verso l'ultima sfida La «prova del fuoco» ha avuto successo - Ora i leader democristiani, appoggiati dalle sinistre e dai radicali, puntano all'obiettivo più difficile: paralizzare il Paese «per mettere alle corde il regime militare» con una pacifica lotta di massa - Ma se non basterà? - A colloquio con Manuel Bustos, il presidente dei sindacati, tornato dall'esilio DAL NOSTRO INVIATO SANTIAGO — La paura, la fame: a queste due 'Costanti- sembrava irrimediabilmente crocefisso il Cile dopo l'esaltante parentesi delle proteste popolari (maggio-agosto) ma l'immensa manifestazione unitaria del 18 novembre al parco O ' Higgins di Santiago ha dimostrato che la paura è passata. La fame continua ma i cileni sembrano aver compreso che per sconfiggerla c'è un modo solo: scacciare il dittatore con l'ordinata, incessante, pacifica pressione della piagna non già ricorrendo alla violenza suicida della lotta armata. Torna, dunque, a fiorire la rosa della speranza, il 18 novembre è una data da segnare nel calendario amaro degli ultimi dieci anni di storia cilena marcati dalla repressione del regime di Pinochet, dal fallimento della sua politica economica ispirata ai principi liberisti della scuola di Chicago di Milton Friedman, che dopo un illusorio boom iniziale ha letteralmente sbancato il Paese. Certo è impossibile leggere nel futuro poiché la provocazione di un regime astuto e implacabile potrebbe sempre resuscitare l'infantilismo politico dell'estrema sinistra armata — causa non ultima della tragedia di Salvador Allenile —, tuttavia non appare azzardato prevedere die se sulle differenze ideologiche prevarrà l'intento unitario della pacifica lotta di massa, la dittatura sarà, alla fine, costretta alla resa. V'Operazione preventiva» del prefetto di Santiago — l'arresto di 219 'agitatori, nelle poblaclones, la soppressione di molti autobus—non è servita a nulla: al parco O' Higgins c'erano cinquecentomila persone a cantare, a ballare, ad agitar la bandiera nazionale, a scandire due solt slogans: «Pinochet vattene.; «Fermare la repressione - è 11 grido della nazione». Le cinquecentomila persone son diventate un milione quando, concluso il raduno, la gente ha invaso il centro di Santiago. Qui accanto agli striscioni (.per la democrazia e per la libertà»; «per la giustizia sociale e per la pace»; sono comparsi ritratti di Attende, di Frei, di Neruda e qualche simbolo dell'ultrasinistra che ha fatto veder rosso ai carablneros. C'è stato uno scontro, è morto un ragazzo di 18 anni, finito a manganellate. 1 nervi saldi del servizio d'ordine dei manifestanti e l'evidente disagio dei carablneros hanno scongiurato il peggio. Alla vigilia del raduno promosso dal cartello dell'opposizione di centrosinistra, l'Alleanza democratica, con il concorso attivo del Movimento democratico popolare creato dal pc, avevo parlato a lungo con Manuel Bustos, l o a i a o i presidente della Coordinatora nacional slndical. Se Rodolfo Segucl, minatore, aitante, spavaldo, è il leader mài facciata» del movimento operaio cileno, Manuel Bustos ne il leader effettivo. Trentotto anni, minuto, un viso drammatico, operalo tessile, figlio adottivo di una coppia di contadini, studi liceali compiuti sotto le armi, Manuel è stato cinque volte in galera, lo hanno arrestato due volte finché, nel novembre del 1982, per aver tenuto un comizio contro la disoccupazione, contro la fame, Pinochet non 10 ha esiliato. E' tornato in patria nell'ottobre scorso più 11 umanista y cristiano che mai. L'esilio è peggio della galera, mi dice, anche se il mio è stato un esilio dorato*. Prima tappa Rio de Janeiro, dove lo raggiungono 500 messaggi di solidarietà di sindacati, di governi che gli offrono asilo politico. Poi a Bruxelles, invitato dalla Clsl nordamericana. In Spagna, a Washington, ospite del Congresso, infine a Roma dove il Papa lo riceve in udienza privata e dove è nato suo figlio entrato, per ciò, in Clic con un visto turistico... «Tramite La Stampa desidero ringraziare ancora una volta la Federazione unitaria italiana, in particolare la Ci si; mi hanno alutato come solo gli italiani son capaci di fare» Manuel Bustos si proclama humanista y cristiano. Cosa significa? Postula forse un neo-gandhismo? «Io sono contro la violenza. La via pacifica è l'unica arma per arrivare relativamente presto a un recupero della democrazia in Cile. Non credo che la lotta armata possa portare a una soluzione politica. Quella del 18 novembre è la prova del fuoco, dovrà essere il primo passo verso uno sciopero nazionale che paralizzi tutto il Paese». E se la via pacifica si rivelasse 'sterile? «Non credo. Il problema è: convincere tutti' che l'alternativa violenta rovinerebbe noi e le forze armate. D'altra parte è anche vero che il popolo cileno è in tensione. Se l'attuale regime si ostina a rimanere nel bunker sarà difficile impedire che gli studenti, i lavoratori disoccupati, ipobladores senza casa e senza pane vedano nella lotta armata l'unico sbocco possibile. Ma io mi batterò sino all'ultimo per Impedire una simile catastrofe». Come sappiamo le prime proteste furono organizzale dal lavoratori, poi presero a gestirle i politici. Se è consentito a un osservatore esprimere un parere io penso che sia stato un errore... «Sono d'ac; orcio con lei. D'altronde dopo il colpo inferto ai lavoratori del rame — licenziamenti, gli arresti di Seguel e del suol sostituti — 1 lavoratori si son trovati senza una guida valida. Penso che la protesta deve passare anche attraverso 1 partiti però molti uomini politici si sono sbagliati privilegiando l'azione settoriale anziché preoccuparsi di lavorare unitariamente. Pensavo che la situazione fosse matura e non lo era, non lo è. L'ho detto e lo ripeto: piuttosto che parlare di "democrazia subito" occorre dire e volere "unità subito". Bisogna procedere uniti e per gradi. Prima il cambio di governo, poi la transizione democratica che necessariamente non potrà essere democrazia piena, infine la libera scelta del popolo in fatto di schieramenti politici cui affidare il potere». Manuel Bustos, democristiano, ha integrato nella Cns molti lavoratori marxisti. In più ha dichiarato che l'Alleanza democratica è necessario abbia una migliore intesa con il pc. «Intanto 1 lavoratori sono lavoratori a prescindere dal colore politico, e tanto basta. Poi è indispensabile elle la lotta sia unitaria. Non stiamo mica lottando contro una dlttsiura comunista. Combatti^'no una dittatura militare incapace di risolvere anche il più piccolo dei problemi che angustiano il Paese e che si ostina a rifiutare la realtà: il Cile è oramai risucchiato dal gorghi terribili del pauperismo. 0010 la libertà, solo l'uscita di scena di Pinochet potranno salvare il Cile». E dunque, ora che la «prova del fuoco (il raduno del 18 novembre)» è stata superata, Manuel Bustos punta alla sfida più difficile: uno sciopero nazionale che paralizzi 11 Paese «per mettere alle corde il regime militare». Vn altro democristiano che conta, Andrei Zaldivar, anch'egli tornato da poco dall'esilio, indica lo stesso obiettivo di Bustos «da raggiungere mediante il progressivo aumento della pacifica pressione popolare contrappuntata da tutta una serie di iniziative politiche». Una di esse, certamente non la meno importante, a suo avviso, è la prossima assise a Santiago (9-11 dicembre) della Internazionale democristiana. Ma il fatto che una riunione tanto importanie e di segno ovviamente democratico abbia luogo in Santiago non finirà col giovare a Pinochet? In un modo o nell'altro quella riunione potrebbe allentare l'isolamento internazionale cui sembra condannato. Andres Zaldivar non è noto all'estero come Gabriel Valdes, presidente della de cilena. Sennonché in Cile Valdes lo stanno scoprendo solo adesso mentre Zaldivar è popolarissimo. Perfino certi generali, suoi acerrimi nemici, riconoscono che Zaldivar è «un economista di alto rango, un politico di grosso spessore». Ebbene, un uomo come lui non può non aver considerato la possibilità che l'assise democristiana di dicembre si trasformi in un boomerang. «Certamente è un rischio che potremmo correre, mi dice, ma noi miriamo con questa riunione nel cuore di una dittatura a condannare la dittatura stessa, a gettare le basi di un processo di supporto alla democratizzazione dell'America Latina, del Cile. Pinochet potrà ostentare la sua permissività, non per questo potrà cancellare la realtà. Il fatto che qui si tenga la massima assise della democrazia cristiana internazionale non gioverà certo alla dittatura, al contrarlo ci aluterà a rovesciarla». Quando? «Io ho fede. Credo che se saremo compatti e accorti, se sapremo respingere ogni provocazione—non ne mancheranno! — potremo riconquistare la libertà non tanto tardi, anzi piuttosto presto». La stessa domanda, quando?, che è poi quella che un po' tutti nel mondo si pongono, la rivolgo a Gabriel Valdes. Lo incontro alla vigilia di un giro diremo elettorale nelle regioni meridionali del Cile (ne ha già fatto uno, trionfale, in quelle del Nord). «Le risponderò, dice, che siamo a metà strada. Come ho già avuto modo di dire a un suo collega aggiungerò che, per fare un paragone di presa Immediata, lo sport ci insegna che le misure Intermedie sono le più aspre e difficili. Non sono i cento metri o i mille a creare soverchi problemi quanto 1400 metri. Ecco, i cileni stanno ora correndo 1400 metri». £ prosegue: «La protesta popolare ha scosso la dittatura, l'ha costretta a retrocedere, a concedere spazi politici che noi abbiamo subito occupato. Certo sarebbe ingenuo pensare che il regime si lasci morire senza la benché minima reazione. Ma se sapremo tenere 1 nervi a posto, accada quel che possa accadere, riusciremo a uscire dal guado evitando il pericolo maggiore: che, cioè, si crei un abisso tra il mondo civile e quello militare. Vogliamo un processo di rigenerazione ordinato. La svolta argentina potrà aiutarci ma soprattutto contiamo sulla solidarietà internazionale. Io dico a tutti gli uomini liberi: non ci perdete mai di vista, non dimenticate il Cile. Il problema della nostra libertà, infatti, appartiene oramai a tutta la comunità Internazionale».— ■Voglio ancora riferire qualcosa del mio colloquio con Gabriel Valdes. Qualcosa che penso abbia una indubbia valenza storico-politica. Mi ha salutato ripetendomi una frase del messaggio letto alla radio da Salvador Attende prima di cadere sotto i colpi dei pretoriani: «Dopo la lunga notte si riapriranno al popolo i larghi viali della democrazia». Igor Man