Dirigeva la Banca Unione ma non vide irregolarità

to Dirigeva la Banca Unione ma non vide irregolarità <i;> «la.l^a linea difensiva degli imputati al processo Sindona to Dirigeva la Banca Unione ma non vide irregolarità ' MILANO — Agli inizi della paniera, Pietro Olivieri si era ,. prefissato una meta: diventare dirigente industriale. Appena diplomato geometra approda alla Sgs, poi alla Kraft, ogni volta un gradino più in su. Poi, verso la fine degli An. ni Sessanta, è convinto da un suo superiore, Ugo De Luca, a .lasciare l'industria per la banca, e adesso si ritrova imputato per la bancarotta di «Michele Sindona. Ai tempi : d'oro, era direttore centrale di ; Banca Unione, nonché responsabile del personale e dell'organizzazione. La sua firma è stata trovata in calce à parecchi fiduciari, cioè quei ' trasferimenti irregolari all'e' stero di valuta che venivano utilizzati per effettuare ope' razioni finanziarie di ogni genere. Come gli altri prima di lui, anche Olivieri ha dovuto ammettere di aver firmato quelle carte compromettenti; si è giustificato dicendo che a quell'epoca era completamen. te all'oscuro della pericolosità 'dei fiduciari e che, ahimè, apri gli occhi soltanto nella .primavera del 1974, quando non c'era più nulla da fare. E' questa una costante comune a tutto il processo: appena iniziate le indagini, otto anni fa, nessuno degli attuali imputati ammetteva una benché minima partecipazlone al crack mentre Sindona e ; il suo braccio destro, Carlo ' Bordoni, esuli oltreoceano, lanciavano anatemi e querele contro chiunque avesse messo in dubbio la loro onestà. D'altra parte, gli inquirenti non riuscivano a recuperare i documenti necessari a provare la bancarotta, anche perché, non va dimenticato, molte carte compromettenti furono asportate dalle due banche, quando non distrutte. Poi il fronte delle indagini si fece improvvisamente più agevole: all'estero la Privat Kredit Bank, presso la quale la Banca Privata appoggiava parecchie operazioni fiduciarie, iniziò a collaborare, offrendo documentazioni importanti. Lo stesso avvenne per Finabank e Amincor. Di colpo 11 quadro divenne chiaro e le responsabilità dei dirigenti delle due banche emersero nella loro completezza. La struttura del sistema Sindona venne quindi allo scoperto: ai vertici c'erano Sindona e Bordoni che davano istruzioni, poi una gerarchia di consiglieri d'amministrazione e dirigenti che eseguiva senza fiatare. In tanti anni di illeciti non ci fu mai un esposto alla magistratura da parte dt un dirigente delle due banche, mai vi furono dimissioni di protesta, a parte quelle di Vittorio Ghezzl e di Ugo De Luca, anche se quest'ultimo se ne andò via dalla banca privata per contrasti con Sindona non certo riguardanti la gestione aziendale. Ovviamente Sindona e Bordoni ricompensavano questa fiducie.: stipendi elevati, gratifiche fuori busta, viaggi di studio all'estero, e partecipazioni alle scorribande di Borsa nonché agli utili sul cambi, come è stato reso noto da due imputati. Insomma, il caso Sindona è stata la dimostrazione di quanto pericolosa possa essere una entità economica inserita In un libero mercato bancario e finanziarlo se oltre ai controlli esterni non sussiste una minima volontà di prevenzione anche all'interno. Il crack da mille miliardi ne è la riprova. Gianfranco Modolo

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