Da Kyoto, con antifemminismo di Vittorio Zucconi

Da Kyoto, con antifemminismo Lettera da Tokyo Da Kyoto, con antifemminismo Un'impressionante riconferma dell'indifferenza giappone-' se al femminismo e all'emancipazione delle donne arriva da un'università di Kyoto, la città «colta» del Giappone storico e contemporaneo. L'università di farmacologia di Kyoto ha deciso di limitare il numero di donne ammesse alla facoltà, notando «con riva preoccupazione* che negli ultimi anni la percentuale di studentesse aveva ormai largamente superato il numero di studenti maschi e questo fatto «non giovava al prestigio e al futuro della nostra università». Nell'anno accademico in corso, le donne oltrepassano' gli uomini in ragione del 65% contro il 35%, e il presidente dell'università di farmacologia, Hajime Fujimura, ha deciso di introdurre il «numero chiuso» per le studentesse. D'ora in poi, i maschi non potranno essere meno del 40% del corpo studentesco. E, per raggiungere questa quota, la facoltà accetterà addirittura di iscrivere studenti uomini anche senza V «esame di ammissione» necessario per accedere alle università giapponesi. La discriminazione c quindi pacchiana, dichiarata e, ciò che più conta, incontestata. Il consiglio di facoltà, dove sono presenti anche donne, ha votato unanime l'approvazione alle decisioni del presidente. I robots al supermercato Dopo la fabbrica automatizzata, dove j «robots costruiscono i robots», dopo il cassiere di - banca robotizzato, dopo i treni che si guidano da soli, l'automazione entra al supermercato: da ieri, 29 ottobre, è in funzione a Yokohama, il porto ormai inghiottito dalla «grande' Tokyo», il primo supermarket gestito dai robots, che si prendono cura di trasportare i prodotti dal magazzino al negozio, di sistemarli sugli scaffali, di controllare gli stocks, di prevenire i furti e gli incendi, e finalmente di fare il conto all'uscita: tutti i beni venduti nei grandi magazzini giapponesi .portano infatti sulla confezione messaggi in codice leggibili dai terminali ottici delle casse. Alle donne e agli uomini, che pure rimarranno in servizio nel supermercato, sarà riservato il compito di «assistere ■i clienti nella scelta degli acqui¬ sti» dicono i portavoce della società, la «Seiyu Limited». In sostanza, faranno un lavoro da «truppe ausiliarie», lasciando agli automi la gestione della bottega. Un lapsus freudiano . Capita a volte che persino un • errore riveli paradossalmente un po' di verità. Su questa stessa pagina delia Stampa, sabato 22 ottobre scorso, è uscita una corrispondenza da Tokyo in cui si descrivevano le nuove misure governative giapponesi per aiutare le importazioni. Il titolo annunciava il contrario, cioè «aiuti all'export». Una svista, certo, un lapsus, per il quale dobbiamo scu¬ sarci, ma a guardare più a fondo, anche qualcosa di più: in quell'errore c'Q lij conferma che in phwijiqu^,. si. occupi di Giappone -sc£tt/a, 'róme un riflesso pavloviano, ^'associazione con la parola .f esportazioni-/. L'idea diiurt Chiappone che non solo esporta, jriia che im-' porta, è quasjjinconcepibile. Proprio negjj^tytimi giorni sono poi uscite.fiuQvc cifre che sembrano fatte; apposta per ribattere .questa certezza: il portafoglio ordini esteri dell'industria manifatturiera .nipponica è.cresciuto dcl-v74ft — ripeto del 74% — rispetto al 1982, e, secondo il negoziatore commerciale americano 'William Brock il deficW dèi soli Usa verso il Giappone salirà a oltre 30 miliardi di dollari, circa 50 mila miliardi di'lire, nel 1984, nonostante il rmhovo del limite ai numero1 di'auto e macie in Japan» vendibili irf America. Il «pacchetto^ dfaiutì all'importazione, sia'tariffari sia finanziari, dovrebbe in teoria favorire un riequiiib'rio proprio di questo mostruoso sbilancio, ma i più sono sceltici. Anche da provvedimene del genere, in passato, l'industria nipponica è sempre uscita, più forte e più competitiva.deprima, basti .pensare agli aumenti del conto, energetico, subiti nel '74 e nel '78, da cui Tokyo .trasse stimolo per razionalizzare, ristrutturare e finalmente esportare di più. Proprio come in un ^lapsus freudianodunque, la svista dell'autore cdH quel titolo nasconde if timóre inconscio che, alla fine'dVj:conti, sarà.an cora l'texpòVft giapponese a trarre profitto' dagli «aiuti al! l'import» varatì"dai governo. " Il «Jaguar» addomesticato Un altro grande nome della storia ' dell'automobilismo europeo chiede l'aiuto dei giap ponesi; gli irresistibili «nou veaux riches» dell'industria mondiale, per sopravvivere, Nei mesi scorsi fu la «Lotus» a legarsi alla «Toyota» per razionalizzare la produzione e. mi gliorare la competitività e la commercializzazione delle proprie vetture. Oggi è la «Jaguar» a dover concludere con una società nipponica un accordo per la «robotizzazione» dell'assemblaggio, nella spe ranza di ridurre i costi e tornare competitiva. A Londra, il presidente della «Jaguar» John Egan, c il presidente del la «Dai-Nichi», una società specializzata nella produzione di «catene di montaggio» automatiche, hanno firmato un contratto da 85 milioni di del lari (quasi 140 miliardi di lire) In esso, la «Dai-Nichi» si im pcgna'a fornire la «più avait. ta linea d'assemblaggio del mondo» per i tre stabilimenti della «Jaguar» a Birmingham in vista del raddoppio della produzione annuale di vetture, fino a'60 mila unità l'anno ; Grazie alla tecnologia giap ponese, la Casa britannica intende robotizzare non solo la saldatura e la verniciatura ma anche il montaggio dei motori, delle portiere e del cofano. Da • notare cóme ormai, fra accordi ' di collaborazione, di partecipazione finanziaria, di assistenza tecnica, l'industria dell'auto britannica sia divenuta «terra di conquista» per i giapponesi Vittorio Zucconi

Persone citate: Chiappone, Hajime Fujimura, John Egan, William Brock