Il grano non vincerà la fame di Tito Sansa

Il grano non vincerà la fame In ventidue Paesi 150 milioni di persone rischiano la morte per denutrizione, ma non basta inviare aiuti alimentari Il grano non vincerà la fame Per la prima volta, in un confronto pubblico tenuto alla Fao tra «donatori» e «bisognosi», è stata messa in discussione la politica seguita finora - Soccorsi e sovvenzioni per miliardi non hanno arrestato il fenomeno, anzi sono aumentati i casi dì bisogno - «I fondi dovrebbero essere spesi per sviluppare Pagricoltura» - L'esperienza di India e Cina che hanno rifiutato la «filosofia dell'aiuto» ROMA — Aumentano di anno in anno gli aiuti degli! organismi Internazionali, dei! governi, delle organizzazioni: di carità al Paesi minacciati: dalla fame e dalla malnutrizione. Eppure, nello stesso tempo — con un ritmo di crescita più veloce — aumenta 11 numero delle persone sofferenti e quello dei Paesi sui quali incombe 11 millenario flagello. Soprattutto In Africa, nella fascia a sud del Sahara fino ai confini della Repubblica sudafricana, la situazione si è aggravata In maniera drammatica: in un spio anno il numero dei Paesi in stato di urgente necessita è aumentato da 18 a 22, il numero delle persone minacciati da una catastrofe è aumentato da 120 a 150 milioni. {Àncora una volta, durante ufi a riunione straordinaria dei 22 Paesi toccati dalla crisi e idei 35 Paesi donatori, tenuta a; Roma nella sede della Fao, il; direttore generale dell'Organizzazione delle Nazioni unite per l'alimentazione e l'agricoltura, Edouard Saourda, ha chiesto'«urgenti t'niz\ative concrete», basandosi sai rapporto dì un «gruppo speciale d'azione» che negli ultimi mesi ha studiato la si tuazlone in loco, gettando l'allarme. Per evitare che milioni di persone muoiano di fame nei prossimi mesi, è necessario l'invio immediato di almeno 700 mila tonnellate di generi alimentari e di 76 milioni di dollari (quasi 120 miliardi di lire). La siccità prolungata (più grave ancora di quella disastrosa del 1873), le infestazioni eccezionali delle colture, l'espansione della peste bovina, il depauperamento della pastorizia e la generale riduzione dei redditi, ma soprattutto 11 persistente soffiare dello tHarmattan», un vento secco che ha distrutto milioni di ettari di boscaglia, hanno gettato milioni di persone al di sotto dei limiti minimi della sopravvivenza. Ad aggravare la situazione sono venuti 11 ritorno massiccio di emigrati, l'afflusso di milioni di rifugiati, le guerre civili e il continuo aumento della popolazione. Come mai — ci si domanderà — mentre gli aluti aumentano la situazione peggiora? Le spiegazioni sono state date durante il dibattito tra donatori e beneficiari che (per. la prima volta) si è svolto alla presenza della stampa. Da esse si rileva che tanto 1 Paesi donatori quanto quelli che ricevono gli aiuti hanno la loro parte di colpa. Le promesse di aiuto vengono fatte e sono generose, ma poi non sempre vengono mantenute, per cui le forniture effettive di generi alimentari sono di gran lunga inferiori a quelle alle quali 1 diversi Paesi si erano Impegnati. Attualmente c'è meno slancio, le promesse di aiuto coprono solamente il 19 per cento del fabbisogno previsto per la prossima stagione (circa 3,2 milioni di tonnellate). Ma quale sarà 11 quantitativo che verrà consegnato, ci si domanda alla Fao? E quale sarà la percentuale di questi generi che arriverà a destinazione, al «più poveri nei paesi più poveri; che muoiono di fame in località difficili da raggiungere per mancanza di strade e per deficienza di mezzi di trasporto? Sono domande che per la prima volta vengono a conoscenza dell'opinione pubblica dei Paesi donatori, la quale ha il diritto di sapere come vengono spesi i miliardi di dollari destinati a sfamare le popolazioni minacciate. Finora — come si è detto — 1 dibattiti avvenivano a porte chiuse e (nonostante qualche critica) i controlli delle spese della Fao vengono fatti in casa. Qualcosa tuttavia sta cominciando a muoversi all'interno del fa¬ raonico palazzo della Fao alle Terme di Oaracalla, si sentono le prime critiche, vengono ammesse manchevolezze, in un documento ufficiale si legge l'invito ad «agire invece di chiacchierare», si avvertono dubbi perfino sulla efficacia stessa degli aiuti. L'Africa affamata si sta rivelando un pozzo senza fondo, si avverte un ripensamento di tutta la politica assistenziale il cui bilancio di diversi decenni si è rivelato deludente. Le novità, venute alla luce durante l'incontro pubblico tra Paesi donatori e Paesi in crisi, sono le critiche reciproche. Oli africani, che chiedono sempre maggiori aluti, rimproverano al donatori lentezza, insufficienza del soccorsi stessi, programmazione difettosa, eccessivo tecnicismo, dipendenza dalle grandi multinazionali dell'alimentazione, egoismo e protezioni¬ smo. I Paesi donatori, dal canto loro, lamentano (facendo eco al premio Nobel Ounnar Myrdal), che gli aiuti sovente vanno dispersi, non giungono a destinazione, spesso a causa della corruzione diffusa nel Paesi beneficiati, per cui finiscono nelle mani delle categorie più ricche, anche a causa di disorganizzazione e di deficienze nella distribuzione e nello stoccaggio. Ai rappresentanti del Paesi africani—queruli ma talvolta aggressivi—1 donatori suggeriscono di rivedere tutta la politica di distribuzione, di migliorare 1 trasporti con le somme messe a disposizione, di fare una oculata conservazione delle sementi, di impiegare 1 vaccini e 11 materiale tecnico che vengono forniti per sconfiggere le principali malattie degli animali. Oli Stati Uniti, che finora aveva- no gestito in proprio la distribuzione degli aiuti, hanno stanziato 60 milioni di dollari (circa 100 miliardi di lire) affidando 1 trasporti del beni di prima necessità al «programma alimentare mondiale». Ma non c'è speranza di curare la grave malattia che ora minaccia 150 milioni di africani (e domani saranno di più), fino a quando ci si limiterà a tamponare le falle soltanto mediante aiuti immediati in caso di necessità. I Paesi in stato di bisogno — si sente dire sempre più sovente e anche ad alta voce — devono adottare riforme Interne, il malato non può venire guarito con il palliativo delle iniezioni, l'obiettivo deve essere la guarigione, la autosufficienza alimentare, esso è raggiungibile soltanto mediante drastiche riforme strutturali, all'interno stesso dei diversi Paesi. Che ciò sia possibile è dimostrato dagli esempi della Cina e dell'India, che fino a poco tempo fa sedevano nel consesso dei Paesi bisognosi e ora, dopo avere investito intelligentemente gli aiuti ricevuti, seggono orgogliosamente tra 135 Paesi donatori. «In Cina e in India—dice un funzionario — hanno rifiutato lidea dell'aiuto, e adottato la filosofia dello sviluppo tecnologico in agricoltura. E'un cambio di mentalità che anche gli africani debbono fare, se non vorranno aggravare sempre più la loro situazione alimentare, e di conseguenza Quella sociale e politica interna, e diventare sempre più dipendenti, economicamente e politicamente, dal Paesi donatori». Non c'è stato alcun dubbio, tra i partecipanti al convegno alla Fao, che si debba alutare urgentemente 1150 milioni di africani che stanno per morire. Ma ci si domanda anche se sia giusta la politica caritativa del pronto soccorso, le cui dimensioni aumentano di anno in anno. Essa non può continuare all'infinito, occorrerà porre del limiti e pretendere dai Paesi africani — come ha detto Saouma—che «si impegnino più decisamente a favore dello sviluppo agricolo: A queste condizioni le nazioni industrializzate sono disposte a dare una mano. Tito Sansa

Persone citate: Edouard Saourda