Così tornò la «Danae» di Goering di Luciano Curino

Così tornò la «Dame» di Goering LA SCOMPARSA DEL MINISTRO SIVIERO, 007 DEI NOSTRI CAPOLAVORI Così tornò la «Dame» di Goering Implacabile segugio, in quarantanni ha recuperato tremila opere d'arte finite all'estero per furti, razzie di guerra e vendite «politiche» - La prima operazione: riprese ai tedeschi il «Discobolo» di Mirane - La rocambolesca impresa per togliere alla mafia l'«Efebo» di Fidia, valutato un miliardo nel 1972 - All'appuntamento con la pistola in tasca e FIRENZE — I funerali del ministro plenipotenziario Rodolfo Slviero, deceduto a 72 anni mereoledì all'ospedale di Torre Galli, dov'era da tempo ricoverato, si svolgeranno oggi alle 15,30 nella chiesa della S.S. Annunziata. «L'arte è pura, gli uomini; no», scrive Thomas Hoving, ex direttore del Metropolitan Museum di New York, nel suo libro di memorie: Il re dei confessori. Vi racconta storie di capolavori, avventurieri e trafugamenti di opere d'arte. La prima vicenda che Hoving confessa è come, nel 1960, venne in possesso di un bassorilievo toscano del XII secolo raffigurante l'Annunciazione, una «potente, primitiva opera d'arte». Finito In mano di trafficanti, il «pezzo» era stato nascosto in un garage alla periferia di Genova. Qui Hoving lo vide, lo pagò SO mila dollari, lo mandò a New York. Quello che gli combinò l'affare gli disse: «Agli italiani non importa. Un buon numero di persone in Italia, molto rispettabili, si guadagnano egregiamente da vivere esportando opere di contrabbando». In nessun altro Paese spariscono, ogni anno, tanti capolavori come in Italia. Un po'perché qui di opere d'arte ve ne sono più che altrove. Ma soprattutto perché i capolavori sono poco o per nulla sorvegliati, e lieve è la pena prevista per il loro furto: per legge non c'è troppa differenza tra rubare la ruota di scorta di un'auto e una tela del Rinascimento in una chiesa. Il ladro, comunque, riesce quasi sempre a farla franca. E' un'impunità che dipende dalla facilità con la quale si può trafugare un'opera d'arte. Per rubare un Renolr dalla Galleria d'Arte Moderna di Torino, un ragazzo ha impiegato pochi secondi, il tempo di Infilarsi il quadro sotto il cappotto e .andarsene. Il dipinto è statò 'recuperato è i ricettatóri'. sónò^'Ahiti' .dentro, ma il ladro è rimasto sconosciuto. Il furto di un'opera d'arte è il più sicuro, il più redditizio. I bersagli preferiti sono le chiese (437 ftirti nel 1981), seguite dalle collezioni private (375) e dai musei (47). I furti in chiesa sono cosi numerosi perché i più, facili, anche se a volte richiedono un camion per trasportare la refurtiva, come è accaduto l'anno scorso a Castelletto Cervo, nel Vercellese, dove i ladri hanno rubato nell'antico convento un'acquasantiera del XII secolo, pesante quattro quintali. Furti facili, dunque, e accade perfino che il trafuga¬ mento sia scoperto con parecchi giorni di ritardo. O addirittura venga scoperto soltanto dopo il ritrovamento degli oggetti rubati. Oltre la metà delle opere trafugate prima o poi sono recuperate dai carabinieri del Nucleo per la tutela del patrimonio .artistico. Uomini speclalizzaìi^phe conoscono, gli antiquari di tutto il mondo, i collezionisti e le loro preferenze, capaci di seguire la sottile traccia che l'oggetto rubato si è lasciato dietro. In questo campo, segugio implacabile è stato per quarantanni il ministro plenipotenzUuriovf^odolfo «tetani •mòrt&Ydltro giorno, a. «rei ^rHf^.rtpor^tóW'-I'htHi^frfi, ca fremite-'Capolavori ulte erano finiti all'estero in un modo o nell'altro. Lo hanno chiamato «James Bond dell'arte» per certe sue imprese avventurose, rocambolesche. Finita la guerra, vuoti impressionanti si erano scoperti nel patrimonio artistico italiano. Dalla Sicilia al Veneto i tedeschi avevano fatto razzia. Opere di Giotto, di Botticelli, del Tiepolo, di Rubens, del Tintoretto, di tutti i massimi artisti, erano partite verso il Brennero su autocarri. Per metterle al sicuro dai bombardamenti: era il pretesto. Ma altre opere erano state portate via senza nemme¬ no un ridicolo pretesto. C'erano soldati qualunque con una tela del Cinquecento arrotolata nello zaino. Un'unità di paracadutisti si era preso il ritratto dell'Ariosto dipinto dal Tiziano. Altri capolavori senza prezzo erano stati acquistati dai tedeschi per una sciocchezza. «Ho fatto vedere le fotografie dei dipinti al Fuhrer, cui sono immensamente piaciuti, e mi sono ritenuto autorizzato ad assicurarlo che in breve tempo potrà entrarne in possesso», aveva scritto nell'ottobre del 1941 il principe Filippo d'Assia al conte Andrea di Robillant, proprietario dei nove dipinti di Sebastiano Ricci, che costituivano l'insieme del soffitto di Palazzo Mocenigo a ■Venezia. I dipinti erano dichiarati «inamovibili e inalienabili», ma non si poteva dire di no a Hitler, sicché i nove Ricci erano stati incassati, spediti a Berlino. Così la Danae di Tiziano era finita addirittura nella camera da letto di Górlng. Il Discobolo di Mirone, appartenente alla collesione Lancellotti, era stato venduto ai tedeschi per 18 milioni: il ministro responsabile Bottai si era opposto alla vendita, ma erano venuti «ordini superiori». In quegli anni Rodolfo Siviero nella clandestinità fece cose incredibili per sottrarre al tedeschi parecchi capolavori. Sicché, conclusa la guerra. Benedetto Croce gli propose di occuparsi delle opere d'arte finite all'estero: trafugate o «vendute». Per primo recuperò, tra le isteriche reazioni tedesche, il Discobolo, dimostrando con documenti che l'opera era finita in Germania contro il parere del ministro responsabile. In bre- ve, riportò a Napoli la Danae e la Lavinia di Tiziano, la Parabola dei ciechi di Brueghel. Via via tornarono in Italia, a centinaia, altri capolavori, e questi successi Siviero li ottenne per la sua paziente tenacia e anche per le amicizie che si era fatte tra gli ufficiali e diplomatici alleati, ottenendo anche di modificare il trattato di pace. I successi gli procurarono molti nemici, per gelosie, per conflitti di competenze. Altri avversari si procurò con la sua spregiudicatezza e con certe sue decisioni. Per esempio, non si capisce perché molte delle opere recuperate siano ancora, dopo, quasi quarant'anni, a Firenze nei magazzini degli Uffizi, invece di essere già state riportate dove erano state trafugate. i . Siviero non si occupò solo delle opere finite in Germania negli anni della guerra, ma anche di quelle espatriate clandestinamente, soprattutto In America, nel dopoguerra. «Va trovato sempre l'aggancio giusto, ecco 11 segreto», ha detto qualche mese fa in un'intervista a Oggi. «E" merito mio, ad esempio, se un Raffaello della collezione Fieschi di Genova è tornato in Italia, dagli Usa. L'aveva acquistato da un antiquario genovese il direttore del museo di Boston, esportandolo di nascosto. Io dimostrai che quel direttore non aveva denunciato alla dogana americana l'ingresso del Raffaello. Un reato, negli Stati Uniti». . Il suo recupero più rocambolesco, e anche pericoloso, fu quello deHEfebo di Selinunte, un bromo attribuito a Fidia. Il sindaco di Castelvetrano lo teneva nell'ingresso del suo ufficio e qui, nel 1962, fu rubato dalla mafia. Il furto fini sul giornali di tutto il mondo, si scrisse che il bronzo valeva un miliardo. La mafia lo offri al Metropolitan Museum e ad altri, ma tutti naturalmente rifiutarono un'opera incomparabile ma «bruciata», diventata refurtiva. Per sei anni Siviero diede la caccia all'Efebo. Finalmente, il contatto con la mafia. Va all'appuntamento con una valigia gonfia di soldi e in tasca una pistola Walther. Apre la valigia, il mafioso gli mostra un baule dov'è la statua ma cerca anche di estrarre la sua pistola. Siviero lo previene puntandogli la Walther. Finisce cosi, con lEfebo recuperato e il mafioso catturato. Ricordava Siviero che il commissario di polizia si congratulò con lui dicendogli: «Dottore, in tutta la mia vita è la prima volta che vedo ingannare del mafiosi con tanta abilità. A mafioso, mafioso e mezzo, dottore •. Luciano Curino ss. dnmcrtimFia