Aalto, i miracoli della luce di Francesco Vincitorio

A alto, i miracoli della luce IN MOSTRA A ROMA I SEGRETI DEL GRANDE ARCHITETTO ■ :—ji—! A alto, i miracoli della luce ROMA — A sette anni dalla scomparsa, nel grandioso salone barocco di Palazzo Barberini affrescato da Pietro da Cortona, fino al 5 novembre, mostra di Alvar Aalto. Meno vasta di quella, memorabile, che nell'inverno del 1965 fu allestita a Palazzo Strozzi a Firenze, tuttavia sufficiente almeno come introduzione alla poetica del grande architetto e designer finlandese. Accanto a mobili, lampade, dipinti e un paio di modelletti, una serie di pannelli fotografici con didascalie, dedicati alle sue più importanti realizzazioni, 1 quali con semplicità e chiarezza riassumono l'intero suo iter. Dagli esordi negli Anni 20—il cosiddetto «primo periodo neoclassico» e, subito dopo, quello «funeionalista» ma già con caratteristiche tipicamente attillane — fino ai capolavori del decennio successivo e, soprattutto, del dopoguerra ed oltre, quando la sua fama varcò i confini della Finlandia ed egli ebbe numerosi incarichi in diverse parti del mondo. Uno, per fortuna, anche in Italia e cioè la parrocchiale di Ri ola, vicino Bologna, commissionatagli dal cardinale Lei-caro. Un ideale Oltre a tale documentazione, alle pareti, qua e là, varie frasi tratte dai discorsi o scritti con cui accompagnò la sua ultraclnqu an te nnale attività. Quasi delle, sottolineature di un pensiero che, nello svolgersi degli anni, pur nella diversità dovuta agli svariati campi in cui si è cimentato, fu di straordinaria coerenza. Un pensiero le cui radici, come, egli stesso amava ripetere, si perdevano nell'infanzia, probabilmente nel lavoro del nonno materno. Quell'Hugo Hamilkar Hackstedt, ingegnere forestale in un piccolo centro silvestre del paese, che ebbe grande influenza sul nipote. Questi andava a trovarlo molto spesso, affascinato da quel binomio «scienza e natura». Un ideale goethiano che Aalto farà suo, in uno con la consapevolezza di un dovere civico e sociale, secondo lui implicito nell'attività dell'architetto. Specie in una piccola nazione che, come egli stesso annotò, forse, più delle grandi, si prestava al ruolo di laboratorio. E qui siamo a un altro punto fondamentale del suo lavoro. Vale a dire la continua sperimentazione che contraddistinse il suo cammino. Animata da un forte senso de) mestiere e da una genuina disposizione umanistica nell'affrontare i problemi che, man mano, doveva risolvere. Vale a dire, tenere sempre presenti tutte le necessità, anche quelle psicologiche, dell'utente (si pensi agli esempi del sanatorio di Paimio e delle numerose biblioteche, in primo luogo quella di Vilpuri in Cardia, oggi purtroppo territorio sovietico). Semplificando al massimo e sfrondando 11 progetto di qualsiasi orpello ma sempre attento ai moti inconsci, costituiti da memorie e bisogni latenti, in- definibili e. di solito, ancestrali. I quali, come il maestro finlandese diceva sovente, non si possono trascurare, pena la disumanizzazione sia dell'architettura che del design. ' ! Per l'uomo Da ciò, a parte.ila speciale tecnica progettuale (rotoli di carta su cui tracciava schizzi che, dapprima confusi, via via si decantavano fino a diventare limpida ideai le scelte «ispirate» dei materiali e la famosa, plgnolesca cura di ogni particolare. E, soprattutto, 11 suo lasciarsi guidare, costantemente, dall'intuizione poetica, non rifiutando, quando necessario, risultati persino simbolici. Nella sua opera ci sono realizzazioni, specie alcune di dimensioni ridotte,'che, al riguardo, sono paradigmatiche. Penso all'emozione che si prova visitando -li l minuscolo, esemplare municipio di Saynàtsalo. Oppure quando appare, in riva al lago, nascosta nel fitto bosco,lasua semplice casa-studio di Muutatsalo. Autentiche opere di poesia, come sa chi le ha viste, cosi come miracolosamente poetica fu la sua utilizzazione della luce, come più volte ha sottolineato Leonardo. Mosso, che è uno del suoi massimi studiosi. Un uso che ricorda 11 primo Bernini e le ombrate modulazioni del Borromlrii—valga la soffusa luminosità all'interno della chiesa di Vuoksennlska — e che, immediatamente, ri- chiama alla mente 1 suoi profondi legami con la tradizione. «/ nostri antenati saranno sempre i nostri precettori», scrisse, una volta, all'inizio della carriera. E a questo principio rimase sempre fedele, pieno di rispetto verso gli architetti del passato, pur nella coscienza dell'importanza e del valore innovativo delle cose che egli andava propugnando. Fra queste, vorrei ricordarne per lo meno due. Utilizzando le sue stesse parole. Per prima cosa, il sentimento che «l'architettura e i suoi dettagli, in un certo senso, fanno parte della biologia». Da ciò l'origine dell'organicità del suol progetti. L'altra, l'insistenza con la quale pensava che un architetto debba sempre «partire dall'uomo». E che sua maggiore preoccupazione deve essere quella di «donare alla vita una struttura più dolce». In sostanza, muovendo dalla scienza e dalla ricerca, contribuire perché gli uomini abbiano un'esistenza di relazioni, di lavoro, di riposo, più armoniosa e civile. Un atteggiamento, in definitiva, da vero poeta. Testimonianza di un modo di intendere l'architettura oggi un po' fuori moda. Ma, forse, proprio per questo, più attuale che mai. Ed è una ragione di più per essere grati al Museo di Architettura di Helsinki che ha organizzato la mostra. E, senza clamori e sfoggi, la sta portando In giro per il mondo. Francesco Vincitorio

Persone citate: Aalto, Alvar Aalto, Barberini, Bernini, Cardia, Del Grande, Mosso

Luoghi citati: Bologna, Cortona, Finlandia, Firenze, Helsinki, Italia, Roma