Vietnam nella macchina della verità di Furio Colombo

Vieùmm nella macellimi della verità IN AMEBICA IL PIÙ';AUDACE ESPERIMENTO DI «STORIA TELEVISIVA» Vieùmm nella macellimi della verità Per la prima volta la guerra viene osservata da occhi diversi in un documentario, le cui puntate si succederanno per tre mesi L'immenso materiale statunitènse è «bilanciato» con filmati europei, della Germania Est, di Mosca e di Hanoi - La politica americana non tiene conto della storia? - Esplode un dibattito che coinvolge ex segretari di Stato - La scuola sotto accusa NEW YORK — Il Vietnam è tornato sugli schermi della televisione americana la scorsa settimana e vi resterà per plU di tre mesi: Ha avuto inisio in tal modo il pili audace esperimento di «storia televisiva» (questa è la definieione del programma) che sia mài stalo tentato da quando esistono le comunicazióni di ; massa. Nel progetto Vietnam è nuovo l'uso della televisione, che si è assunta un compito di rigorosa ricostruzióne è che deve realizzare questo rigore attraverso i suoinatutdli strumenti, le immagini. Ma è nuovo anche lo sfòrzo di produrre storia e non solo storia nazionale. Infatti dopo avere lavorato a una' delicata identificazióne degli eventi a partire dal modo in cui essi sono stati archiviati dalla memoria americana, gli autori si sono imposti di bilanciare le immense risorse disponibili presso le televisioni locali, con materiale europeo (già adesso'si sono visti e riconosciuti frammenti di documentari girati in quella guerra da giornalisti e operatori della Rai), con filmati della Germania dell'Est, della televisione di Mosca. E soprattuttocon l'accesso a molto materiale, inedito per l'Occidente, di fonte nord-vietnamita. La guerra cioè appare per la pri¬ ma volta osservata da occhi diversi, e il dialogo del narratore (il giornalista Stanley Ramaio) si incrocia continuamente con-punti di vista e interpretazione-dei fatti radicalmente diversi; Tutti ricordano la forza spietata della televisione americana nei reportages sulla guèrra del Vietnam. Ma la postatone ■morale, il giudizio critico, la dura censura dell'opinione' pubblica Usa erano un fatto interno della cultura americana. Ascoltare, oggi, la voce vietnamita è altra cosa dal dibattito di coscienza. La ricostruzione storica ci offre, adesso, voci contrastanti ma crude, liberé.da ansie morali e cariche di diverse visioni-politiche, strategiche, militari. Kissinger La prima grande novità dunque è la storia a più voci, qualcosa che può apparire ovvio ed elementare se detto in una conversazione e nelle pagine di un giornale. Ma, ricordiamo, qualcosa che non avviene in alcuna scuòia del mondo, neppure nel piti libero dei Paesi. Ogni insegnamento segue uria pista nazionale che sceglie e discrimina, costruisce gli eventi e li classifica secondo prospettive radicalmente diverse. Ma la seconda novità è' quella di usare la forza dello strumento televisivo per rovesciare la storia sull'opinione politica, sul sentimento, sulla ferita, sulla memoria. E' una doccia fredda che sta provocando una forte reazione in America, prima di tutto di attenzione e poi di dibattito. E il dibattito si svolge sia sul tema del Vietnam che, più in generale, sull'uso della storia per riorganizzare la memoria collettiva. Due dibattiti latenti che da tempo stanno dunque esplodendo, nel confronto di illustri opinioni e nella conversazione comune. Serve la storta?Dobbiamo tornare alla storia? E' la storia davvero maestra, nel senso che aggiunge qualcosa che è 'indispensabile al giudizio politico sul presente, alla visione del futuro? E' stato facile raccogliere giudizi sulla «storia televisiva» che ha aperto questo dibattito e sul suo senso culturale e politico, perché l'argomento è per tutti di estremo interesse. Henry Kissinger non è affatto}sicuro che condividerà il modo in cui Stanley Karnoweil suo gruppo di storici hanno organizzato il programma. Teme di ritrovare troppi segni di quell'ansia americana che era più «buona» clic «politica», più passionale che realistica. Ma tut- ' l a i a ? o ta la sua vita scientifica è in favore di un simile esperimento. Storia invece di suggestione, riorganizzazione di date e di fatti in luogo di impressioni annotate, materiale documentario invece di film d'autore. Zbigniew Brzezlnski pone il problema nei termini di un drastico richiamo al presente. «Gli errori che stiamo per commettere nel Medio Oriente, scegliendo la stabilità del Libano come problema, invece che la visione di tutta l'area, ci apparirebbero -f inconcepibili se ci avviassimo al giudizio politico con il testo di storia — o almeno un buon riassunto — nella valigia. Piani costosi, sofisticati, rischiosi, vengono redatti da chi sembra credere che tutto cominci ogni volta questa mattina». Il columnist Anthony Lewis ripete con altre parole lo stesso giudizio: «Se qualcuno, dopo avere visto le prime puntate della storia televisiva del Vietnam, volesse voltarsi di colpo a osservare nella stessa prospettiva il presente, si accorgerebbe di come la politica sia mutilata della storia, cioè di riflessione e radice. Ci muoviamo senza storia nelle Filippine. Ci muoviamo senza storia nell'America Centrale. Ci ostiniamo a muoverci senza storia nell'ambivalenza perenne tra l'uno e l'altro dittatore, distribuendo, anche in buona fede, spiegazioni che non reggerebbero 11 confronto con la sequenza storica. Se mal quella sequenza ci fosse nota». Il dibattito sulla storia è entrato cosi nelle scuole, nelle università e sui giornali. ■Ed è un dibattito a molte facce: Una parte delle voci insiste sul rapporto fra storia e politica, fra coscienza organizzata del passato e decisione politica del momento. Osserva Robert Hunter.già capo dell'Ufficio Europa e poi de). Medio.Oriente nel Natii* nal Securìty-Council di Carter: .Cd una certa illusionenell'idea che-la storia è maestra. Ma non c'è nessun dubbio sul fatto che troppe decisioni politiche vengono prese senza conoscere 1 precedenti, che troppi politici si comportante come medici senza cartella cllnica, che troppi momenti cruciali, che a volte ci dividono dalla possibilità stessa della sopravvivenza, vengono affrontati come se prima non fosse successo niente. L'Iran è un esempio. Il Medio Oriente è un esempio. I rapporti delicati e imperfetti con molti nostri alleati sono un esempio». Sostiene Richard Holbroke, già viceministro degli Esteri per gli affari asiatici ai tempi di Cyrus Vance: «Non è una questione di illusioni. Viaggiamo tutti come il famoso aereo coreano. Abbiamo il radar in testa, ma non in coda. Non siamo in grado di vedere il passato e il passato ci assale alle spalle». E nota Charles Percy, capo della commissione di politica estera del Senato, repubblicano: «Ascolto 1 miei colleghi parlare con passione di eventi nazionali o internazionali come se arrivassero sul nostro tavolo per la prima volta. Ben pochi sembrano avere memoria o coscienza di quel che è successo intorno agli stessi eventi cinque o dieci anni prima. Manca del tutto la memoria politica». Ma il dibattito sulla storia come memoria politica si allarga subito, nelle scuole e nelle università, al dibattito più grande, («e ben più drammatico», dice Giamatti) sulllnsegnamento della storia nelle scuole. «Il metodo della storia a più voci, come è proposto in questi giorni dalla televisione nella ricostruzione della vicenda Vietnam, è ignoto nelle nostre scuole», afferma Arthur Schlesinger, che è il personaggio più illustre fra gli storici americani. «Nessuno studente che non sia uno specialista conosce rudimenti di storia europea o asiatica. La storia americana è studiata per luoghi comuni e per monumenti». £' l'Opinione di John Brademas, ex membro del Congresso, presidente della New York University. La disputa è viva in America, per ragioni uguali o simili a quelle che motivano in questo periodo il dibattito europeo, soprattutto in Francia e in Italia. Ma nella tradizione pedagogica degli Stati Uniti il fenomeno è più grave e più interessante. Non è un ritorno, è un risveglio. Infatti l'insegnamento della storia negli UptsusrdegaifQalM Usa è stato condizionato in passato da due problemi che William Shirer aveva elencato in questo modo, in un suo scritto di alcuni anni fa: «Da un lato c'è l'ossessione per la storia inglese, ossessione curiosa in un Paese di italiani, di tedeschi, di irlandesi, di ebrei, di minoranze che vengono dal mondo. Importiamo a occhi chiusi eventi e pregiudizi inglesi, accettiamo e insegniamo tutto come se fossimo ancora colonia. Quando 1 ragazzi arrivano alla rivoluzione americana l'incanto si rompe, ma tardi. Mancano le premesse culturali per vedere il legame fra la formazione della cultura americana e ciò che non è americano. Con la rlvoluzlofrancese c'è un po' di Frància, ma toccata di striscio. I momenti chiave della storia americana sono 11 come statue, molto inglesi, poco americane, quasi per niente illuminate dal cosmopolitismo che pure deve avere guidato gli uomini a cui abbiamo dedicato le statue. Un caduto «Ma, aggiungeva Shirer, l'altro problema, quello di metodo, è ancora più grave. In America i ragazzi non studiano le date (e non le sanno 1 senatori. 1 deputati, i giudici, il governo). Non sono mai in grado di usare la storia come strumento per far luce sul presente». Il peso della televisione si confronta adesso con questo stato di cose (che molti chiamano crisi) e il fervore delle discussioni, che ormai stanno agganciando i ripensamenti della cultura americana con quelli dell'Europa, non potrà che essere utile. Un primo risultato, abbastanza clamoroso e inatteso, la «Storia televisiva» del Vietnam lo ha portato l'altra sera. Ha ricordato ai trenta milioni di spettatori che per ora stanno seguendo la serie (si calcola che arriveranno a novanta prima della fine delle quattordici settimane di programmazione) che il primo caduto americano in Vietnam è stato un giovane funzionario (una 'Spia; si direbbe oggi) dello Oss, il servizio che ha preceduto e generato la da. E' stato ucciso dai francesi in un'imboscata, perché si era ostinato a tenere rapporti con i nazionalisti vietnamiti e, resistendo agli inglesi, a De Gaulle e al silenzio di Truman, aveva progettato l'indipendenza del Vietnam dopo la sconfitta dei giapponesi. A lui sembrava la logica conseguenza della guerra di liberazione condotta dagli alleati in Europa. Tutto ciò avveniva dopo Berlino e dopo Hiroshima, prima di Diem Bien Phu, prima della caduta di Saigon e della tragedia dei •boat people». C'è da sperare che adesso il suo nome entri nei libri di storia. Furio Colombo