Silenzi e risa di Gianni Rondolino

Silenzi e risa la nuova comicità' al cinema Silenzi e risa In Danny l'eletto, il bel romanzo di Chaim Potok che Garzanti ha riproposto quest'estate, il giovane Danny, figlio d'un rabbino hassidico estremamente severo e taciturno, tutto compreso nella sua missione di tzaddik, di capo carismatico della sua comunità, dice un giorno all'amico Rcuven, figlio d'un professore universitario, ebreo illuminato e scrittore profondo: «Mio padre non scrive. Legge moltissimo, ma non scrive mai. Dice che le parole travisano quel che si prova veramente in cuore. Non gli piace neppure parlar troppo. É>, parla un mucchio quando studiamo insieme il Talmud, ma altrimenti non dice gran che. Una volta mi spiegò che secondo lui dovremmo parlare tutti quanti in silenzio». "Parlare in silenzio», cioè comunicare attraverso il volto, lo sguardo, il gesto, significa stabilire un contatto intimo, universale, che fa appello al sentimento più che alla ragione, che coglie c trasmette quegli aspetti ineffabili dell'umana esistenza che, appunto, le parole non possono dire. Significa, in altri termini, affidarsi all'«immagine», ristabili re il valore di testimonianza e di conoscenza dell'occhio. E' ciò che avevano chiara mente individuato e sperimentato, giungendo a risultati spesso sorprendenti, alcuni grandi registi c attori del cine ma muto (in cui l'immagine era, ovviamente, predominante su qualsiasi altro elemento del linguaggio filmico). E' ciò che aveva teorizzato nei primi Anni Venti Béla Balàzs quando parlava di «uòmo visibile» a proposito delle possibilità del cinema di mostrare nuovamente l'uomo all'uomo nella sua «autenticità», fuori dei li miri d'una cultura eminentemente verbale e letteraria, come si era venuta diffondendo un po' dappertutto dopo l'invenzione della stampa. E' ciò che, quarantanni più tardi, avrebbe riproposto, in termini nuovi e provocatori, Jean-Luc Godard in un film per. molti, versi esemplare, La donna è donna. Ed è ciò che, oggT^; si può intravedere ih talune manifestazioni di quella comicità cinematografica di matrice ebraica che, fino a pochi anni fa, pareva costruita quasi esclusivamente sulla parola. Si pensi a Jerry Lewis o a Woody Alien, c a tutta la tra-' dizione comica americana che risale ai fratelli Marx e agli attori di teatro (di «parola») che li hanno preceduti e seguiti, sino all'iconoclasta Lenny Brace. Si pensi, cioè, all'importanza che la parola, dai giochi verbali alla battuta di spirito, ha avuto ed ha nella costruzione d'una comicità al centro della quale sta l'attorepersonaggio-maschera, punto Woody Alien, di Levine (Copyright N.V. Revtew or Boote. Opera Mundi e per l'Italia -La Stampa.) focale d'una rappresentazione della realtà umana e sociale che attraverso di lui si mostra nei suoi risvolti comici e grot teschi. Ora, sono proprio Lewis e Alien a indicare una nuova strada, o meglio a recuperare un modello di comicità non verbale, la cui intensità drammaturgica ha per modello l'opera di Charlie Chaplin e il personaggio di Charlot. Una comicità che si manifesta nel volto, nello sguardo, in una gestualità ridotta all'essenziale, addirittura in una staticità di comportamento che trasforma una immagine cinematografica, cioè dinamica, in una semplice fotografia. (Non si spiegherebbe altrimenti l'uso abbondantissimo di fotografie che Woody Alien fa nel suo bellissimo Zelig). Chi ha presente i film di Alien, per lo più costruiti sul personaggio logorroico del l'uomo timido che usa la parola come arma di difesa, ed anche d'attacco, può rimanére sconcertato nel vedere, in ZeZig, il ribaltamento della situazione. II protagonista parla poco o non parla affatto, spesso jn secondo piano, deli lato. Ciò che balza in primo piano, invece, è il suo volto, " suoi: occhi, il suo «silenzio», che si carica, a poco a poco, d'una drammaticità inconsueta, che sfiora la tragedia. Ci si ricorda d'un altro volto, d'un altro sguardo, d'un altro silenzio carico di tensione drammatica: quello di Charlot nella sequenza finale di Luci della città. E' la rappresentazione ci nematografica dell'ineffabilità dei sentimenti. E chi ricorda i film di Jerry Lewis (uno dei maestri di Al len) e il suo personaggio che a a à y e parla a sproposito e fa boccacce e disquisisce assurdamente sui fatti della vita — come ce ha ripresentato recentemente Robert Benayoun nel bel programma televisivo che la Rai trasmette in queste settimane — che cosa può dire della sua apparizione determinante nel'"ultimo film di Martin Scorsese Re per una notte} Un personaggio muto, impassibile, chiuso in una sua tragica solitudine esistenziale, che contrappone all'invadenza dell'aspirante attor comico Robert De Niro la dignità del grande attore, il silenzio come indice saggezza, di raggiunta maturità. , Cè insomma in Woody Alien e in Jerry Lewis, sia pure in modi e forme differenti, non soltanto il recupero d'una grande tradizione comica non verbale o l'indicazione d'una nuova strada percorribile in direzione opposta alla dilagante volgarità della comicità contemporanea, ma anche un bisogno individuale di approfondimento, di meditazione. Prevale, in altre parole, la ricerca d'una maggiore autenticità che si ottiene scavando più a fondo nel personaggio, giungendo all'«anima» attraverso lo sguardo. Ed è questo percorso introspettivo che essi ci indicano usando il silenzio oggi, come un tempo avevano usato la parola; Può sembrare un'indicazione di poco conto, una variante suggestiva della vasta gamma di facoltà comiche che essi hanno dimostrato di possedere. Invece, a ben guardare, è il risultato d'un lungo cammino conoscitivo, il punto d'arrivo, per il momento, d'una indagine del comportamento umano in differenti situazioni sociali che aveva dato, nei film precedenti, soluzioni parziali. Anche perché, i volti immobili, silenziosi, penetranti di Jerry Lewis e di Woody Alien, come appaiono in Re per una notte e in Zelig, sono ben più d'una "variante comica»; sono l'immagine vivente della condizione- tragica dell'uomo contemporaneo. Guardarli attentamentc, come essi guarda-1 no gli altri e se stessi, significa stabilire un contatto autentico con l'uomo nella sua dimensione al tempo stesso esistenziale e storica. E' il punto d'incontro del' comico col tragico, il momento del disvelamento della «verità». La conquista del silenzio è, per questi comici che hanno sempre fatto grande uso ed abuso di parole, l'approdo alla sfera dei sentimenti al di là della ragione. Perché, come scrive Chaim Potok, "le parole sono malfide, travisano ciò ch'I nel cuore, nascondono il cuore, il cuore parla per tramite del silenzio». . Gianni Rondolino

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