Sprechi e tagli di Stato

Sprechi e tagli di Stato Sprechi e tagli di Stato Si delinei sempre più chiaramente che il susseguirli delle vicende politulic nel 1983 condurrà ad un ulteriore dilatarsi del disavanzo del bilancio pubblico dal 15,4 al 16.8 per cento del prodotto nazionale lordo. Si accrescono inoltre le possibilità che nel 1984 questa percentuale cresca di ulteriori 1,5 punti percentuali, raggiungendo la frontiera inesplorata dell'utilizzo quasi totale dei flussi di risparmio familiare da parte della pubblica amministrazione, 11 dibattito di politica economica, all'approssimarsi della scadenza istituzionale del 30 settembre, più che svilupparsi nella direzione cornila dei tagli di spesa — attraverso una correzione legislativa dello Miiin del benessere» — e della definizione di una politica monetaria antiinflazionistica, si indirizza più tradizionalmente verso la ricerca di maggiori entrate e la 'giustificazione» del disavanzo in una o entrambe le sue componenti (entrate e uscite). Queste direzioni di sbocco del dibattito di politica economica appaiono inadeguate ad affrontare gli attuali problemi dell'economia produttiva del paese, disoccupazione in testa. Le maggiori entrate pubbliche potrebbero attenuare l'onere del debito pubblico e controllare le aspettative di sua stabilità nei portafogli delle famiglie, nonché presentare sbilanci più accettabili dalla pubblica opinione internazionale, ma finanzierebbero maggiori sprechi e spingerebbero l'inflazione; gli uni e l'altra peggiorerebbero ulteriormente le condizioni di produzione e lo stato dell'occupazione. Di giustificazioni politiche ne abbiamo sentite in questi anni in quantità doviziosa e forse le abbiamo anche assecondale. Poiché il problema, della caduta produttiva e della disoccupazione, si creda all'effetto di spiazzamento o no, è legato prevalentemente alla qualità della spesa pubblica ed alla quota del risparmio delle famiglie che essa assorbe, il Parlamento (se come si dice, il massimo responsabile di questo stato di cose) o il governo non devono tanto giustifica- re la ulteriore crescila del disavanzo pubblico nel 1983 e 1984, quanto spiegaci:! — visti i risultati — perché scelgono disoccupazione e depressione produttiva. Siamo nell'area del cinismo sociale' o dell'errore? Di giustificazioni economiche ne abbiamo — anche direttamente — prodotte e sentile in quantità superiori a quelle politiche. Potremmo abbandonarci alla facile conclusione polemica che sono appunto queste giustificazioni ad averci condotto nella situazione in cui siamo. Occorre invece controbattere con altri confronti ed argomenti economici. C'osi procedendo possono avanzarsi almeno tre considerazioni. Primo: se si considera il profondo divario tra i redditi pro-capite dei paesi industrializzati la richiesta di equiparare rispetto al prodotto interno lordo la pressione fiscale dell'Italia equivale alla negazione di un principio base dell'equità tributaria: la progressività delle imposte. Chi ha redditi pro-capite più bassi deve pagare aliquote più basse. Secondo quest'ottica, l'italiano é già al di là della normale progressività. Secondo: se il clima dell'economia é inflazionistico e l'obiettivo del governo è la disinflazione, l'aumento delle aliquote, soprattutto di quelle indirette (accusale da alcuni di basMi gettito rispetto all'estero), genera spinte alla traslazione delle imposte e quindi ulteriori pressioni inflazionistiche in un ambiente monetario carico di tensioni e capace quindi di recepirle. Terzo: se é in atto un effetto di spiazzamento del settore privalo da parte del settore pubblico, le maggiori entrate modificano gli strumenti (da finanziari in reali) che lo realizzano concretamente. Il problema da affrontare appare invece quello del riequilibrio tra spesa produttiva e spesa improduttiva, ossia di quella spesa che caratterizza il bilancio attua le del settore pubblico, ma non del suo finanziamento. Solo cosi si riaprirebbero prospettive di accumulazione capitalistica e di crescila dell'occupazione. Il compito a cui é chiamalo un governo che intende seriamente perseguire lo sviluppo nella disinflazionc è quindi quello di ridurre il di savanzo pubblico contenendo la spesa improduttiva, non di aumentate le entrate. Questa ipotesi viene tacciata di illuminismo, come a voler dire di irrealizzabilità. Se sì aderisce a questo modo di pensare, l'ipolcsi opposta cade facilmente nell'accusa di pragmatismo, come a voler dire di accondiscendenza verso la realtà che ha condotto alla degradazione dell'economia produttiva del Paese. Paolo Savona Otto anni di entrate tributarie miliaidi di lue bO ODO } L '1 "«Pelli (liifllr lo ooo • HB'-"i1"'1, ,,m1'm 1,1 £ fM S - IN 2 ' _ tn oio 0 »» 5 CM S — O» *» *•» 1976 1977 1979 1979 1980 98? 1983'

Persone citate: Bo Odo, Paolo Savona

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