Gobetti in battaglia

Gobetti in battaglia TORNA LA «RIVOLUZIONE LIBERALE» Gobetti in battaglia Alla generazione che usciva dali* guerra, la riedizione della Rivoluzione Itieralt di (ìeibctti, comparsa agli inizi del '48 nelle classiche edizioni inumili ne dei «Saggi» con una prefazione toccante di Umlicrto Morra, sollevava molti più interrogativi di <pumi ne sciogliesse. La Rivoluzione liUr.iL aveva appena spezzato i diaframmi ikll.i dittatura come testata di un battagliero settimanale — di cui si conosceva poco o nulla fino al '45 — molto più come titolo di un saggio di approfondimento storiografico, volto a squarciare i veli di una visione confotmista c agiografica della nostra formazione a nazione e a Stato. Quel sottotitolo poi, «Saggio sulla lotta politica in Italia*, evocava vibrazioni oriancschc mollo più che suggestioni i-.m-lilm.ili o neo-democratiche (l'equivoco di Oriani precursore del fascismo, l'equivoco smentito in partenza da Gramsci, era molto diffuso in quegli anni). Tutto rischiava di confondersi, nella mente del giovanissimo lettore degli anni "47'48. Ix pagine del libro coincidevano in gran panteon articoli pubblicati via via sulla rivista; ma anche per chi avesse assaporalo qualche pagina del periodico gobettiano (difficilissimo a trovarsi) non era facile fissare le differenze, individuare i punti di confluenza o di identità. 1 poi... 11 termine «liberalismo» non cs'ocava fremiti rivoluzionari, corrispondeva alla tcaltà di un partilo die si era collocato sul centro-destra dello schieramento politico, in atteggiamento guardingo o diffidente verso la Repubblica, e aveva in maggioranza professato la scelta istituzionale monarchica Libcialismo e progresso sembravano termini incompatibili (la sinistra liberale era gii in crisi, ancor primi delle elezioni politiche dell'aprile '48). Il partito d'azione, pur bruciandosi nel vivo della lotta, aveva prosciugato tutte le risorse del libcialismo proiettato s'erso una dimensione «rivoluzionaria», in ogni caso .itti.ivi ivi una formula mi Gobetti non aveva mai !tentato, il «tocialitmo-libcrac» (così diverso dal «liberalsocialismo» di Calogero). «Gobettiani», nel partito tollerale, se ne trovavano pochi 0 punti. Ma neanche negli altri partiti si può dire che abbondassero. Al di fuori dei gruppi di fedelissimi di Torino, che si muovevano in direzioni anche diverse e opposte, l'eredità di Gobetti non veniva raccolta con la sicurezza e quasi l'ostentazione che caratterizzava gli altri protagonisti dell'antifascismo. Pctniancva un clic di prublitu.uno, di irrisolto, perfino di sconcertante nella visione gobettiana del problema italiano, e nel modo eli parlarne. 1 crociani di stretta osscrY.'.n.u diffidavano di Ciobctti', 1 continuatori di Adolfo Omodco ricordavano la disamina impietosa del Risorgimento senza croi. Già il fatto die ci fossero voluti tre anni, dalla fine della guerra, perché c|uel libro fosse ristampato (la prima edizione era stata in inuma parte distrutta dai fascisti nel '24) era abbastanza significativo di uno stato d'animo, che propriamente non si poteva definite ■gobettiano». Per chi ricorda quegli anni, non si apre senza commozione la nuova edizione cinaudiana del volume gobettiano, presentato, a trentacinque anni di distanza, come una vera e propria edizione unii a, con un'introduzione puntigliosa e perfino pedante di Ersilia Alcssandronc Pcrona (più la ristampa di un bellissimo profilo di Paolo Spriano): una di quelle edizioni critiche che si riservano normalmente a opere di cento o duecento anni prima. Gobetti £ già un classico? Trentacinque anni di vita, di avanzamenti ma anche di contraddizioni della società italiana sono riusciti a comporre le antinomie lampeggianti elei suo pensiero, a ripresentarci una visione unitaria di quella che fu un'esplorazione essenzialmente rabdomantica della vita italiana? Una cosa è certa: il libro, che appariva cosi suggestivo ma anche cosi incompiuto ai lettori della fine degli Anni Quaranta, rivela oggi, interi, i suoi «segreti". E* un libro che c nato in un certo modo ed è upinKdvliptocpacprRbtlhstsbte«tavMdbcptCddatcmmp uscito dalla tipografia di Cappelli a Rocca di San Osciano in un modo del tutto diverso. K" un libto clic dovcv.» essere di sette parti, ed è risultato di-' viso in quattro capitoli. lì' un libro concepito all'inizio, e proposto dall'autore al direttore della collana, nientemeno che Rodolfo Mondolfo, semplicemente come raccolta di articoli, spaziami in tutti i campi, con quella punta eli superbo eclettismo che caratterizzava l'autore, dall'Italia alla Russia, ed è diventato un libro omogeneo, organico, tutto sull'Italia, senza le stimolanti divagazioni sul «neo-lihcralismo» della rivoluzione sovietica, derivato da una lettura di Campodonico. Già Norberto Bobbio, lo studioso sempre fedele a Gobetti e a quella «certa iditi .-/»/t Italia» che in (min in si esprimeva, aveva avviato la «riscoperta» delle origini del testo gobettiano pubblicando agli inizi del *75, nel primo volume degli «Annali» di Mezzo suolo, le diciotto lettere di Rodolfo Mondolfo a Ciobctti. Con quell'energia elivorante che lo consumava — quasi presagio impaziente di una vi ta brevissima e folgorata — Ciobctti inseguiva uno schema di libro dietro l'altro. Sognava di averli già scritti quasi prima ancora di avelli stesi sulla car ta. Aveva una passione «fisi ca» pi i la carta stampata. Come gli uomini del Risorgi mento, credeva nella funzione prosclitistica, missionaria c animatrice della pagina scritta Non attribuiva la minima mi portanza alla differenza fra •editi» e «inediti». Il fatto die un capitolo fosse già sialo pubblicato in un suo libri non lo distraeva, se questo serviva a una certa architetto ra, a una certa impostazione mentale, a comprendete qui ' medesimo capitolo in un altro libro. Scriveva di getto, con impero e passione ineguaglia bili, ma poi si correggeva, si ntegrava, se necessario si smentiva. lira un cercatore' laico, un uomo senza pregiudiziali, uno spirito credente nella religione sovrana ilei clubbio. La rivista età nata da cinque mesi, ma già il giovane direttore pi-nviv.i ad un libro che ne riprendesse l'insegna fiammeggiante, che si chiamasse ì-a rivoluzione liberale. Siamo nel luglio 1922: il fascismo è allc porte e pochi ne sentono la marcia inesorabile come Ciobctti, critico impietoso delle lacune e delle abdica/ioni lello Stato liberate. Projiosta del luglio 1922; risposta del marzo 192). Niente raccolta, obietta Moniolfo; un libro nuovo, organicamente pensato, senza «frammentarietà discontinua». Moniolfo e dilettole all'antica; legge tutto, ricorda tulio (non è naia l'industtia culturale). Rispedisce il manoscritto a Torino a fine marzo. Ciobctti, il ribelle, è deferentc al maestro dell'ateneo liologncsc, un uomo un po' come Antonio l.iliiinl.i Ciobctti rifondila, anzi riplasmerà il volume. In meglio. Cippi 111 esiterà; invodicrà sempre un pretesto per i ritardi nella pubblicazione. Alla fine, il 7 giugno 1924 (siamo alle porte del delitto Matteotti) si deciderà pu la tiraturarecord di duemila copie. Mondolfo aveva insistito: «Credo the ti sia un urto mietilo di ridatile, almeno da aucl tanto iIh i tempi trititi lo tonunlano». I.i filologia, <|ucsia volta, era necessaiia. Le coire/ioni gobettianc riguardano scritti del '22: anche il famoso profilo di Mussolini risulla radilo|>pi.iin. Quasi tutto è più «storicizzato»; il grande giornalista dà la mano all'uomo clic si accinge all'ultima battaglia per la libertà, con tenacia pari al candore. Anche le ingiusti zie sono temperate; i paradossi filtrati attraverso un giudi zio più amaro e più severo; le invettive- abbandonate. Turati per esempio. Ix: espressioni m\\'*ignoMt stmplictsmo», sul V «arrivismo personali», sul «riformismo immora/t», usale da Collctti sulla recensione a ìjc ite maestre dtl socialismo di Tu rati che proprio Mondolfo aveva pubblicato a llologna, non compaiono più nel capitolo dedicato al socialismo. La distinzione fra sociali smo e marxismo resina netta per Ciobctti il movimento socialista in Italia non era stato mai marxista, cioè mai storici sta, cioè mai moderno. Ma la posizione dello storico tempera l'asprezza del polemista politico (altrettanto aspro coi socialisti che coi repubblicani), lì la storia dell'Italia demiKia fica c antifascista ne avrebbe tratto, alia fine, granile van faggio. Propiio per la cosiru zione di quello Stato democratico sempre sognato da Cìev betti e chic fa tanta fatica a rea lizzarsi in Italia. Ciobctti ci aveva ammonito: «Im Stato non è se non è la lotta». Giovanni Spadolini

Luoghi citati: Italia, Russia, Torino