La Liguria, sotto la maschera

La Liguria, sotto la maschera IL SUO VOLTO AUTENTICO: ORTI, VICOLI, RIFLESSI DI LUCE E APPARENZE La Liguria, sotto la maschera Il tema del racconto Esigaged in Wrtting dell'inglese Stephen Spender, pubblicato nel 1958, è uno di quei convegni o incontri tra scrittori dei Paesi dell'Ovest e dei Paesi dell'Est, incontri che andavano molto di moda soprattutto al tempo del cosiddetto disgelo. L'azione si svolge a Venezia; a un certo punto i partecipanti assistono alla proiezione di un film di carattere antifascista, la cui trama ha come sfondo la città di Firenze, «una Firme che nessun turista aveva mai visto ni sentito menzionare, senza l'Arno, Senza la Cappella Medicea, senza il "Dotta' di Michelangelo, soltanto edifici di abitazioni alti, simili a caserme, lungo strade larghe, in un paesaggio nudo come una striscia di spiaggia diserta». Penso che lo scrittore abbia voluto alludere al film Cronaca di poveri amanti tratto dal romanzo di Vasco Pratolini. A ogni modo, anche se il racconto elcllo Spender è una feroce satira di cruci tipo di incontri e della loro inutilità (e ciò risalta anche meglio rileggendolo a distanza di venticinque anni) e anche se egli ha volu to forzare gli accenti partigiani e unilaterali del film, tuttavia non c'è dubbio che la Fi renze descritta da Ptatolini o quella dipinta da Ottone Rosai distano migliaia di anniluce dalla Firenze cui i abituato il mondo anglo-sassone, quella cioè del Beato Angelico c di Luca della Robbia, delle Tre Grazie del Botticelli, di Michelangelo, sullo sfondo dei ponti sull'Arno, delle ville in collina, dei ricevimenti presso Contesse dal doppio cognome e dei pranzi in casa degli anglo-beceri. Ma accanto ad un simile concentrato di arte, lubrificata vita mondana e spiritualità, esiste (e spesso a distanza di pochi passi) la Firenze dei vicoli e degli sdruccioli, dalle bottcguccc „seme e soffocanti in cui si affaticano gli artigiani, c'è la Firenze delle case alte alte con le scale ripide intrise di tanfo di bottino, e c'è anche quella periferica dai viaIoni larghi c squallidi, fiancheggiati dai blocchi di caserme-alveari delle abitazioni intensive. Chiedersi se sia più vera l'immagine di Firenze consueta alla cultura anglosassone, o quella sordida, scoperta e descritta da scrittori e pittori locali del nostro secolo, è una domanda futile: ambedue sono, in un certo modo, autentiche anche se parziali, pache la realtà è composta di innumerevoli facce e faccette. L'immagine mentale che ciascuno di noi si forma riguardo ad una località o ad un territorio, grande o piccolo che sia, dipende dai contatti sociali avuti, dalla lunghezza dei soggiorni, dalla conoscenza della cucina locale (dato di somma importanza), dalla possibilità di memorizzare, e distinguere, le varie specie della vegetazione, e di aver visto i colori del cielo nel corso delle diverse stagioni, senza dire poi di situazioni e di nodi socioculturali che, molto spesso, sfuggono anche a chi è del luogo. Per tornare a Firenze, esistono altri suoi aspetti, tutti reali e tangibili, molti dei quali attendono chi li riveli in letteratura e nelle ani figurative: il sua in cui si sta trasformai do la zona attorno a San Lorenzo, le comunità religiose (che nella capitale toscana sono meno addormentate che altrove), gli studiosi di storia e di storia dell'aite nelle biblioteche e nelle Fondazioni. L'immagine che di ciascun luogo si forma in noi è non soltanto selettiva, ma cosi personale che (a livelli non di superficie) è persino impossibile comunicare how does il fui e precisare le cognizioni e le sensazioni su cui essa si basa. Molto raramente poi accade che si venga investiti dall'ondata di un quid inesplicabile, nel quale parrebbe risiedere la più nascosta essenza del luogo in cui capita di passare; a me accadde ncll'accostarmi al cenote, cioè alla sorgente sacra, di Chichcn Itzà nello Yucatàn. Mi sembrò di venir coinvolto in qualcosa di indefinibile, come se la sacralità anzi la numikohià continuasse ad aleggiare là dove per secoli e reconTorima della conquista spagnola e della forzata conversione al cristianesimo, erano stati adorati gli Dei autoctoni. Curiosamente, tali esperienze non avvengono mai nei santuari delle religioni rivelate, bensì in quelli che furono i centri del Paganesimo; esse somigliano a quella che nel suo classico libro del 19)7, Mysticism Sacred and Profane, R. C Zachncr ha definito come appartenenti (secondo me a torto) ad una seconda e inferiore specie. Ma lasciamo da pane casi del genere; definendosi e cri statizzandosi in modi che non siano quelli dei turisti di mas sa o dei lettori di romanzi storici, l'immagine di un detcrminato luogo o regione resta essenzialmente un tatto culturale, legato a un particolare momento storico e alla fase dell'espressione verbale e figurativa ad esso propria. Si tratterà quindi di un'immagine che cambia e si evolve di generazione in generazione, ai anno in anno, e, in ciascuno di noi, di giorno in giorno: vana è quindi l'intenzione di attribuire la qualifica di autentica o errata a quella che (per chi non si adegui allo stereotipo di taluni luoghi comuni) rimane un fatto squisitamente personale. Per molti decenni Videa della Liguria, nella sua zona costiera, rimase per me legata a Genova c all'arte genovese: le architetture dcH'AIcssi, la pietuia del Cambi aso, dello Strozzi, del Castello, del Guidobono, a un tessuto figurati¬ vo di livello altissimo c di impeccabile coerenza. Grazie a frequenti soggiorni nelle località minori delle Riviere di Levante e di Ponente, cominciò ad apparire, sotto questa splendida maschera (che poi si rivelò essere quella dell'oligarchia padrona per secoli della Repubblica di San Giorgio) un volto più autentico della Liguria che non conoscevo né sospettava Furono dapprima certi piccoli ma rigogliosi orti nella zona di Ospcdalctti, ceni vi- coli nella vecchia San Remo, certe puntate verso Dolceacqua (sento dire che c'è chi vuole ora cambiare questo nome stupendo). Poi venne la rilettura del più antico Eugenio Montale, vennero alcune pagine del Peccato di Giovanni Boi ne e quelle di Giorgio Zampa di Villa Montale, apparse nella rivista Pirelli dèi 196) commentate dalle splendide fotografie di Ugo Mulas. E infine venne l'incontro con il pittore Oscar Saccorot ti, nella sua casa a mezza costa vicino a Recco. Di lui conoscevo le delicate acquefoni, sorrette da un tessuto grafico talmente sottile da richiedere, ad esser lette nei modi dovuti, una particolare attenzione; ma poi, in una galleria genovese, mi era occorso di vedere un suo dipinto dal quale ero ri masto molto colpito. Era la parete di una sena in vetro, circondata da vasi in fiore; le lastre trasparenti, pur lascian do intravedere l'interno (dive nulo un atelier) e i suoi conte nuti, riflettevano, quali ombre o fantasmi, le cose circostanti, inclusa la silhouette del pittore col cappello a larghe falde. Era la prima volta che trovavo fissata sulla tela (il titolo del dipinto // cielo nella serra dice già molto) quella realtà fatta di mille immagini e mille cote, tutte fuggevoli ed evanescenti, in cui, tra odore di basilico e di olio appena uscito dalle mole, tra i colori calcinati oppure accesi dai riflessi della risacca, è pervenuta per me a definirsi l'immagine eleila costa ligure, con i venti che sciamano - verso le vette di monti sulle quali io sd che non andrò mai, sempre desiderando di toccarle con i piedi. Volli conoscere l'autore del eruadro, c la mia attesa non fu deludente. Dalla strada asfaltata una scala fatta di rozze pietre scendeva verso l'abitazione, che era stata un semplice frantoio, credo, c che, come tutte le architetture autentiche, dava l'impressione di essere sorta spontaneamente dal suolo, in mezzo ad una vegetazione variegata e non lussureggiante, ma lasciata a se stessa. Scarno e disadorno, il vecchio artista mi apparve formato della medesima sostanza delle sue opere, della sressa gentilezza forte ma evanescente: segno dunrjue di un'assoluta sincerità di mestiere, sollecitato da ragioni esistenziali, non di convenienza. Quel che di autentico e di spontaneo che emanava dalle pareti imbiancate, dal legno del mobilio, dagli oggc.ti, dalla rara omogeneità di gusto dell'insieme (non lussuoso ma Prezioso perché filtrato dalintelligenza) si condensava poi in Raffaella, una creatura femminile provvista di quello speciale sguardo, nostalgicamente dolce, che hanno le donne (molto infrequenti) la cui eccezionale bellezza fisica è stata (lo si avverte a prima vista) sorretta da affetti dati e ricevuti senza avarizia né sottintesi. Ricordo e non ricordo le ore trascorse assieme, i dettagli della casa, gli oggetti, la conversazione; nano si confonde nella memoria di un giorno in cui sentii di venire attrtsauto, toccando l'intima essenza di quella zona dove svanire i la ventura delle venture. Cè chi vede la Liguria nei Cantieri Ansaldo o nei Palazzi di via Garibaldi a Genova; io ■Od lo contraddico né voglio convenirlo, lasciandolo assieme a chi preferisce il muretto di Alassio o ii Casinò di Sanremo. Federico Zeri