La scalata «impossibile» della Grande di Lavaredo

La scalata «impossibile» della Grande di Lavarcelo La scalata «impossibile» della Grande di Lavarcelo La cima vinta il 14 agosto del 1933 sui seicento metri di sesto grado della parete Nord - I ricordi di un superstite CORTINA D'AMPEZZO — Cinquantanni fa, 1114 agosto del 1933, tre alpinisti cortinesi, Emilio Comici ed i fratelli Giuseppe e Angelo Dimal, conquistarono, salendo lungo la parete Nord, la Cima Grande di Lava redo : cadeva cosi il •mito dell'inviolabilità» della vetta dolomitica che per anni aveva resistito a ogni assalto. Nel comunicare la notizia, l'agenzia «Stefani» parlò allora di «una impresa memorabile nella storia dell'alpinismo». La maggiore parte degli scalatori del tempo era, infatti, incline a considerare impossibile una ascensione lungo seicento metri di parete con una difficoltà costante di sesto grado: •Quelle pareti verticali — aveva detto nel 1884 l'alpinista Karl Biener — escludono qualsiasi possibilità di riuscita». L'impresa degli scalatori cortinesi era stata preceduta, tra il 1929 e il 1932, da numerosi tentativi compiuti da celebri guide alpine, come Emll Stosser, Hans Steger, Raffaele Carlesso e gli agordini An drlc e Tissi. Due dei protagonisti dell'impresa, Giuseppe Dimai ed Emilio Comici, sono morti — Diinai nel 1946 per malattia e Comici anni or sono precipitando da un dirupo —. Angelo Dimai, invece, che oggi ha 83 anni, risiede ancora a Cortina. «// 12 agosto del 1933 — racconta Angelo — ci incontrammo con Comici al rifugio "Principe" e ci accordammo per riunire gli sforzi nella speranza di riuscire a superare quella parete». •Del gruppo — ricorda Dimai — olirebbero dovuto far parte anche altri due cortinesi, Ignazio Dibona e Angelo Verzi ma all'ultimo momento non poterono seguirci. Il giorno 13 ci apprestammo all'attacco: Giuseppe era in testa, seguito da Comici, io chiudevo la cordata». Ci vollero due ore per percorrere cinque metri. Giuseppe riuscì a vincere il tratto strapiombante . che porta alla «Cengia». ..•Passammo la notte legati ai chiodi e ripartimmo appena ci fu un po'di luce». Alle nove e mezzo del 14 agosto i tre raggiunsero la vetta. Per arrivare in cima, avevano potuto contare solo sulla tecnica alpinistica e l'allenamento. •D'inverno — ricorda ancora Dimai che ha praticato l'alpinismo fino all'età di 50 anni — mi allenavo arrampicandomi su delle corde, sollevandomi sugli stipiti Cortina d'Ampezzo. Le famose Tre Qme di Lavaredo delle porte anche con un dito solo. Se si usano martelli pneumatici, perforatrici, scale di corda e chiodi ad espansione, non è più alpinismo. Il chiodo deve servire solo per sicurezza, dopo che si sono superate certe difficoltà». •Il migliore alpinismo —' conclude Angelo Dimai — era quello nel quale si poteva fare a meno di qualsiasi attrezzo, così come lo esercitava Paul Preuss che diede il suo nome a numerose imprese dolomitiche». In costruzione su alte quote svizzere

Luoghi citati: Ampezzo, Cortina, Tissi